Nonostante le sanzioni che impediscono gli accordi con le compagnie petrolifere straniere, Mosca intende sfruttare autonomamente gli immensi giacimenti di risorse naturali individuati nel Mare del Nord, ricorrendo a tecnologie nazionali e a un più stretto presidio militare.
di Sebastiano Fusco
Il viceministro della Difesa della Federazione Russa, Dmitrij Bulgakov, ha recentemente annunciato che entro l’anno saranno completati i lavori per le infrastrutture militari necessarie allo schieramento di truppe nell’Artico. “Al momento i lavori in programma sono stati realizzati per il 70 per cento. Siamo sicuri che tutti gli impianti indispensabili per dislocare le nostre truppe sulle isole nella regione artica saranno ultimati entro il 2015”, ha precisato Bulgakov. Il primo dicembre scorso è stato reso operativo il comando della Regione militare artica, nel quartier generale della Flotta del Nord, situato nella penisola di Kola, a Severomorsk, che proprio a causa della base navale è stata decretata “città chiusa”. Poche settimane prima, il presidente Vladimir Putin aveva annunciato l’imminente entrata in servizio di due brigate artiche, dotate di speciali attrezzature tecnologicamente avanzate, da affiancare alle unità della difesa aerea. Da mesi fanno rotta verso le isole artiche della Nuova Siberia convogli della Flotta russa del Nord, scortati da aerei ed elicotteri dell’Aviazione e assistiti da rompighiaccio a propulsione nucleare. Trasportano personale, mezzi militari ed equipaggiamento del gruppo tattico della Flotta che, a partire da quest’anno, rimarranno dislocati nel territorio per costituire una base permanente che controlli la rotta settentrionale, la via marittima più breve tra l’Europa e l’Asia, che passa appunto attraverso i mari dell’Oceano glaciale artico.
Grandi ricchezze naturali da difendere
Sempre il primo dicembre 2014, il ministero della Difesa russo ha diffuso il documento che traccia l’attività dell’anno in via di conclusione e descrive gli obiettivi per il 2015. Nel documento si definisce prioritaria la difesa degli interessi nazionali nell’Artico sin da quest’anno. Il neo-costituito Comando strategico prevede di condurre una serie di manovre e spedizioni artiche dei gruppi navali, e di lavorare al coordinamento dell’attività delle unità militari dislocate nella regione. Accanto alla valorizzazione della Regione artica, la Flotta del Nord provvederà alla difesa degli interessi economici e politici della Russia in altre aree marittime, compreso l’Atlantico e il Mediterraneo. Il capo di stato maggiore delle forze di terra russe, generale Oleg Saliukov, ha detto che le unità “provvederanno al pattugliamento della zona costiera settentrionale, alla sorveglianza degli impianti e dei territori lungo i litorali dei mari del nord e del Mar glaciale artico ed alla sicurezza della navigazione per la rotta settentrionale, ma in primo luogo avranno il compito di dimostrare in maniera convincente la presenza militare della Russia nelle regioni artiche”. La rinnovata attenzione della Russia per l’Artico è giustificata dalla necessità di difendere gli interessi di Mosca nella regione, a livello di ricchezze naturali. Le risorse d’idrocarburi recuperabili nei territori sotto sovranità russa vengono stimate in 106 miliardi di tonnellate di petrolio equivalente, più della metà di tutte le riserve di petrolio e di gas dell’intera regione. Nell’artico russo sono stati individuati finora 60 grandi giacimenti d’idrocarburi, 43 dei quali in territorio russo. Il 27 settembre scorso, la compagnia petrolifera russa Rosneft ha reso nota la scoperta nel Mare di Kara di un giacimento petrolifero che, si stima, racchiuda 87 miliardi di barili, parte di una zona che potrebbe avere riserve equivalenti a quelle dell’Arabia saudita. Giacimenti di gas di eccezionale portata sono stati scoperti nei Mari di Barents e di Kara. Sono venuti inoltre alla luce notevoli depositi di rame, nichel, cobalto, platino, barite e apatite. Ma per Mosca la regione rappresenta molto più di una promessa di ricchezze future. Già oggi l’Artico garantisce il 60 per cento della produzione di petrolio, il 95 per cento del gas, oltre il 90 per cento del nichel e del cobalto, il 60 per cento del rame, il 96 per cento del platino, il 100 per cento di barite e apatite, minerali dai quali si traggono le importantissime terre rare. Risorse che, nel complesso, costituiscono un quarto delle esportazioni russe e oltre il 12 per cento del Pil.
Effetto “russificazione” dei giacimenti dopo le sanzioni
Le sanzioni statunitensi ed europee all’industria petrolifera russa hanno bloccato, per ora, l’ambizione delle compagnie occidentali del settore di sfruttare insieme con Mosca le riserve celate dall’Oceano artico. Le trivellazioni, però, non sono certo destinate a fermarsi, hanno chiarito il governo di Mosca e le principali compagnie di stato russe: “Proseguiremo da soli. Porteremo avanti le trivellazioni il prossimo anno e quelli successivi”, ha dichiarato Igor Sechin, presidente del colosso petrolifero statale Rosneft. Le sanzioni occidentali puntavano, tramite l’arresto dei trasferimenti tecnologici, a impedire che la Russia potesse sfruttare le risorse naturali artiche. Mosca ha risposto con una serie di tempestivi piani per la “russificazione” delle tecnologie e delle apparecchiature impiegate dall’industria estrattiva. La soluzione per lo sfruttamento delle risorse petrolifere artiche “sta anzitutto nella nostra base industriale”, ha dichiarato l’ex primo ministro russo Evgenij Primakov. Il paese ha giù superato uno scoglio importante: nel settembre scorso, una joint venture guidata da Exxon ha confermato la presenza di riserve petrolifere ingenti nel settore russo dell’Oceano Artico; Mosca ha dunque la certezza di poter estrarre dalla regione quantità di petrolio tali da giustificarne lo sfruttamento commerciale. Rosneft aveva stretto joint venture con diverse compagnie occidentali, ma le sanzioni comminate lo scorso settembre hanno sospeso gli accordi. Il colosso russo ha reagito approntando piani per proseguire le operazioni senza l’apporto fondamentale delle major occidentali: ha acquistato piattaforme per la trivellazione artica dalla norvegese North Atlantic Drilling e ha avviato colloqui per il trasferimento di piattaforme cinesi dal Mar Cinese Meridionale. La primavera scorsa, quando già la minaccia delle sanzioni incombeva sulla Russia, Rosneft ha acquistato il business russo-venezuelano delle trivellazioni di Weatherford. Una ulteriore e progressiva “russificazione” del settore, secondo gli esperti, appare inevitabile.
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