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Monitorare il cambiamento per interpretare il futuro. è diventato questo il compito più delicato degli analisti sociali di fronte all’exploit delle tecnologie comunicative e di quella che viene definita società dell’informazione e della conoscenza. Il cambiamento della comunicazione è ormai all’assalto della società italiana e, di fatto, incalza la nostra capacità di interpretarne le trasformazioni a tutti i livelli: la famiglia, l’economia, la cultura, lo spazio delle istituzioni pubbliche.

Ma quelle dell’information society (IS) sono trasformazioni che non ricevono ancora un’adeguata coltivazione umanistica e in cui troppo peso è stato spesso lasciato a impostazioni deterministiche, sbilanciate su una presunta centralità degli aspetti di natura tecnologica. Nel dibattito sull’IS, la forza carismatica dell’hardware ha finito così per avere la meglio sul riconoscimento dell’«intelligenza sociale» sottostante all’innovazione tecnologica, del software antropologico che legittima l’occorrenza stessa della moderna società dell’informazione. D’altra parte, è una letteratura che ha spesso enfatizzato gli aspetti di discontinuità, mentre molte delle contraddizioni e dei limiti che hanno segnato il processo nazionale di penetrazione del digitale e, più in generale, dell’IS rivelano evidenti analogie con l’affermazione delle precedenti industrie culturali. Con l’epoca in cui le vecchie tecnologie erano nuove. Le letture deterministiche finiscono infatti per danneggiare la comprensione completa del fenomeno: esagerando la portata delle macchine, spostando l’epicentro delle rivoluzioni comunicative dalle persone sulle tecnologie, il digitale finisce per essere interpretato semplicemente come l’ultima fase di sviluppo tecnologico.

Senza cadere in rivendicazioni corporative, bisogna ricordare il rischio di perdere di vista l’aspetto più profondo del nuovo «MediaEvo»: l’attenzione al cambiamento delle persone. «Essere digitali» come essere più competenti nella gestione del rapporto con il mondo; e, dunque, «essere digitali» come essere più liberi.

Al contrario, i mutamenti tecnologici ed espressivi sono graduali e si insediano sulle culture comunicative preesistenti, finendo per ereditarne contraddizioni e prospettive di sviluppo nel medio e lungo termine. L’essenza dell’innovazione tecnologica è dunque di per sé dinamica, e va colta anzitutto in riferimento a una condizione di incessante mediamorfosi: «rivoluzioni» comunicative che oggi hanno luogo in contesti geografici e produttivi sempre più glocal e rispetto ai quali i territori locali non mancano di giocare un ruolo determinante, anche se probabilmente sottodimensionato dal punto di vista di analisi che tendono invece a privilegiare soprattutto i cambiamenti di portata globale.

Anche da questo punto di vista, la velocità e le proporzioni della diffusione del digitale rendono più acuto un problema di fondo: quello di un’adeguata contestualizzazione sociale delle tecnologie da parte della ricerca. Ciò significherebbe tener conto di un più ampio spettro di questioni, quali l’attenzione all’impatto dell’innovazione tecnologica sui territori locali, la problematizzazione del loro valore positivo in termini di sviluppo (non solo economico) della comunità e dei singoli, il modo in cui i nuovi media finiscono per ridisegnare estensivamente il paesaggio espressivo della vita quotidiana e delle stesse istituzioni.

Rispetto a questo scenario, occorre riconoscere che non siamo affatto al tramonto dei «vecchi» mezzi di comunicazione. Assistiamo piuttosto a un pluralistico allargamento dei flussi e delle opportunità culturali nell’IS, verso una più radicale possibilità di personalizzare le scelte individuali di fronte alla «vetrina» dell’informazione e della comunicazione.

Il «passaggio al futuro» emerge con straordinaria espressività anzitutto in un punto: il microcosmo della famiglia e, in particolare, l’universo giovanile. A partire dalla stessa camera dei ragazzi che diventa, per certi aspetti, la metafora di un epocale salto generazionale: le tecnologie segnano i confini di una sorta di «area extra-territoriale» della casa, di difficile accesso per i genitori. Ma, come dimostra l’indagine Federcomin-Anie 2005 (presentati nel maggio scorso), è vero pure il contrario: la stanza dei figli diventa anche lo spazio privilegiato per l’alfabetizzazione informatica all’interno della famiglia. Una specie di «zona franca» di incontro intergenerazionale e di sconfinamento tra vecchi e nuovi universi comunicativi.

Ma non possiamo accontentarci di una «mitologia del progresso» basata sulla visione delle tecnologie come motore e volano del cambiamento culturale. Occorre invece rivalutare l’importante risvolto umanistico, espressivo e persino «spirituale» delle rivoluzioni comunicative contemporanee. Di fatto, giovani e adulti alla ricerca dell’informazione trovano, nelle opportunità offerte dalle reti tecnologiche, un ampliamento dei propri mondi vitali e della potenziale sintonia con gli universi di significato altrui. Nella nuova comunicazione passano, cioè, i valori e le relazioni sociali.

Le nuove generazioni usano le tecnologie, la comunicazione, Internet come una risorsa-chiave per la costruzione di sistemi di identità e di relazioni con l’ambiente esterno, come canali vitali di conoscenza del mondo. Fino a qualche anno fa si trattava di una novità radicale, che differenziava profondamente le nuove generazioni dagli adulti. Mentre oggi si moltiplicano i momenti di «trascinamento» degli adulti negli spazi tecnologici e spirituali dei giovani. I trend attuali illustrano, per esempio, un allargamento della platea di internauti non più solo tra i giovanissimi, ma all’interno di un arco generazionale molto più ampio che va dai 10 ai 44 e, addirittura, 54 anni. Secondo i già citati dati Federcomin-ANIE, i picchi di fruizione vengono comunque toccati tra i giovani di 18-24 anni (37,1 per cento di navigatori) e 25-35 anni (29,7 per cento).

Si tratta di «numeri» che mettono in luce soprattutto un punto: la tendenziale contaminazione tra le enclave tecnologiche e culturali dei giovani e quelle degli adulti. Si prepara forse un mondo nuovo, basato sulla qualità dello scambio e delle interazioni tra le persone, nel momento in cui le reti tecnologiche diventano risorse fondamentali per costruire «sintesi» dinamiche di saperi, valori e relazioni. A un tempo, nel fenomeno dell’IS non mancano prevedibilmente tensioni più controverse, quale quelle della disuguaglianza e del conflitto. Ebbene, anche il fatto che lo sviluppo del digitale si innesti su differenze culturali, di reddito ed età – determinando nuove forme di leadership sociale e il rischio di altre disuguaglianze – raramente è riuscito a tradursi in una soddisfacente rappresentazione empirica da parte della ricerca.

Proprio la sottovalutazione del tema del digital divide, come riproposizione delle nuove ferite sociali e dei condizionamenti connessi al capitale culturale, suggerisce la sensazione complessiva di una letteratura scientifica sul digitale spesso senza paradigmi forti, caratterizzata da punti di riferimento culturali e disciplinari difficili, contrastanti, talvolta addirittura salottieri. Ma, comunque, ancora «aperti».

La storia del digitale nel nostro paese conferma anzitutto una straordinaria attitudine delle tecnologie a fungere da agenti moltiplicatori di mobilità: testimonia in questo senso il fatto che l’originario deficit di modernizzazione e integrazione nella gestione produttiva e nelle politiche di sviluppo dell’IS non si sia automaticamente tradotto in una contrazione della capacità del digitale di spostare la società italiana e le sue istituzioni verso l’innovazione.

Al tempo stesso, è evidente che l’allargamento e il rinnovamento del «parco macchine» non bastano a sostenere le profonde mutazioni sociali in atto. Le rivoluzioni che il nostro paese si prepara ad affrontare non sono riconducibili a soluzioni puramente tecnologiche. Occorre invece valorizzare una visione sistemica e politiche pubbliche avanzate per l’innovazione in modo da garantire la crescita armonica di tutte le componenti sociali. Le pubbliche amministrazioni, il privato, le imprese dell’ICT e soprattutto i cittadini e le famiglie diventano i principali attori del cambiamento.

In particolare, al di là degli imperativi normativi e del fascino seduttivo della tecnologia, le istituzioni hanno intrapreso da più di un decennio, e ormai anche in ambito locale, un processo di ridefinizione della comunicazione istituzionale e di riorganizzazione dei servizi pubblici in vista di un rapporto più diretto e trasparente con il cittadino. Ma le politiche di cambiamento delle pubbliche amministrazioni devono sempre accompagnarsi alla maturazione degli stili di vita e dei valori dei singoli. Studi recenti – e torno a citare i dati dell’indagine Federcomin/Anie – dimostrano che la mobilità tecnologica della famiglia resta a tutt’oggi nettamente superiore al dinamismo che è possibile riscontrare presso le imprese o le istituzioni pubbliche. Sono dati che si avviano a diventare un documento espressivo del percorso italiano verso l’innovazione e che, di fatto, rispondono al crescente interesse pubblico e scientifico che, anche nel nostro paese, si sta sviluppando attorno ai temi dell’evoluzione tecnologica della famiglia, delle imprese e delle pubbliche amministrazioni.

D’altro canto, lo sviluppo democratico dell’IS non può prescindere da una rinnovata assunzione di responsabilità da parte del sistema educativo: alla scuola e alla formazione è affidata il compito di livellare e prevenire asimmetrie e sperequazioni sul piano dell’accesso individuale. Solo se adeguatamente ancorata alla cultura di base e soprattutto alla partecipazione scolastica e terziaria, la comunicazione dimostra infatti il potere positivo di cambiare le persone e la società, conducendo i soggetti verso condizioni e stili di vita straordinariamente più ricchi e appaganti. Nella società dell’informazione e delle reti digitali, la prospettiva utopica di un’intellettualizzazione diffusa della società prende così forma tangibile nel principio della formazione – inclusa quella degli adulti – come principale infrastruttura per l’esercizio allargato della cittadinanza. Una risorsa tanto più vitale di fronte alla crisi delle altre agenzie di socializzazione.

Il mito un po’ usurato del villaggio globale – inteso come cancellazione delle differenze sociali, economiche e culturali a livello mondiale – si può oggi riformulare in termini di facilitazione dell’accesso alle reti tecnologiche e, dunque, di alfabetizzazione digitale. Occorre, quindi, l’attivazione di una concreta politica di welfare simbolico, capace di superare le posizioni estreme – l’entusiasmo e la celebrazione della tecnologia, da un lato, così come il timore e l’inquietudine, dall’altro – interpretando l’innovazione tecnologica come un’opportunità di crescita della persona e, quindi, della società, al pari dell’acquisizione di competenze basilari come leggere e scrivere. Una visione che, oltre l’accezione primaria e strumentale, può assumere una dimensione funzionale, come qualsiasi pratica attiva della cultura: capace quindi di aiutare le persone a fronteggiare la complessa varietà di situazioni comunicative tipiche della nostra società.

Il rischio, sempre presente, di un inasprimento delle disuguaglianze sociali la dice lunga sul fatto che il mondo della politica, della formazione e, non ultimo, degli intellettuali, non sempre hanno affrontato adeguatamente le proprie responsabilità in termini di progettazione e gestione del futuro del paese. è invece il momento di operare sempre più decisamente in questa direzione: l’attivazione di politiche pubbliche di riduzione del digital divide, l’efficienza del sistema formativo e, infine, l’allestimento di un sistema di monitoraggio e verifica – anche locale – sulle tappe di sviluppo dell’IS, sono mete oggi irrinunciabili all’interno di un disegno responsabile e strategico di sviluppo socioculturale del nostro paese.

Perché si compia il passaggio successivo: quello a una società della comunicazione che garantisca ai soggetti sociali un pieno diritto di cittadinanza nelle reti tecnologiche e, dunque, nel futuro.