A furia di media

Nel suo nuovo libro dedicato agli attuali scenari della comunicazione, Alberto Contri riflette sulle conseguenze del passaggio dalla comunicazione “da uno a tutti” alla comunicazione “da tutti a tutti”, sottolineando i rischi del sovraccarico informativo e della frammentazione identitaria.

di Giordano Ventura

Dopo essere assurto tre anni fa agli onori delle cronache, perché apparentemente in contraddizione con la simpatia manifestata per i cosiddetti media sociali (i media non mediatizzati), oggi un video virale della Coca Cola è entrato di prepotenza nella saggistica più accreditata: in particolare in un libro di Alberto Contri, esperto di comunicazione integrata, che, con un titolo un poco enigmatico (McLuhan non abita più qui?, Bollati Boringhieri 2017) fa il punto sullo stato attuale della rivoluzione mediatica. Un punto ricco di luci e di ombre, anche perché, nella incessante accelerazione del progresso tecnologico, sembra ormai inevitabile la sensazione di trovarsi sempre in mezzo al guado: sempre in metamorfosi e quindi sempre fuori tempo.

In quel video, la gente, giovani e vecchi, resta tutta immersa nella propria ossessione mediatica, con gli occhi e le mani sugli innumerevoli schermi di varie dimensioni e funzioni di cui è costellata la odierna vita quotidiana, nonostante le più affascinanti suggestioni circostanti, paesaggi, ambienti, persone. Solo quando a tutti viene posto intorno al collo uno di quei collari che si mettono agli animali dopo un intervento alla testa, ricominciano a riscoprire le parole e le cose del mondo.

Il pendolo, naturalmente, continua a oscillare, talvolta puntando verso la mediazione tecnologica, che offre tante opportunità conoscitive e operative, ma rischia anche di perdere di vista il rapporto tra virtuale e reale, e talvolta puntando verso la immediatezza interpersonale, che scalda il cuore, ma rischia anche di freddarlo senza rimedio.

Tra l’esserci e il non esserci della comunicazione si gioca – come rileva Derrick de Kerckhove, in una delle varie presentazioni del libro – il problema della cosiddetta post verità, cioè di una referenzialità tutta affidata alla presunta testimonianza di chi c’è o dice di esserci, dal momento che, se tutto è mediato, nessuna esperienza può riguardarci davvero.

Di fatto, aggiunge Bruno Ballardini, non ci siamo ancora ripresi dalla tempesta televisiva, che sembrava consentirci di essere dovunque, senza esserci davvero – consolandoci con la possibilità di trasformare lo spettacolo televisivo in una occasione di conversazione – e ci ritroviamo a fare i conti con una nuova ondata mediatica, quella dei new e social media, che tendono ad assorbire e metabolizzare mediaticamente anche la conversazione, monopolizzando tutti, o quasi, i flussi relazionali. E poi ci lamentiamo del calo demografico!

Un calo demografico che, almeno su un piano metaforico, non preoccupa Domenico De Masi, il quale anzi intende cavalcare la tigre mediatica anche dal punto di vista relazionale, per quanto spesso si tratti di relazioni paradossalmente platoniche. Forse non il migliore dei mondi possibili, conclude De Masi, ma certamente migliore dei mondi passati, ognuno dei quali, per altro, avrebbe potuto manifestare la stessa convinzione.

Ma tant’è: sembra che non si riesca a prescindere dalla ormai vecchia contrapposizione tra apocalittici e integrati, anche se la valutazione di Umberto Eco non si risolveva in un giudizio sulla rivoluzione culturale allora (negli anni Sessanta) in corso, ma in una riflessione sui rapporti tra cultura alta e cultura bassa.

In questo senso si può interpretare anche il titolo che chiama in causa McLuhan: il quale aveva intuito come ogni tecnologia, e soprattutto quelle della comunicazione, cambino il modo di vivere. E però ce se ne rende conto solo quando il cambiamento è già avvenuto e ogni discussione in proposito non serve che a manifestare da quale parte vogliamo stare: se dal punto di vista del “testo” – di una partecipazione creativa, ma poco consapevole – o da quello del “commento” – di una critica presa di distanza, che però non consente di cambiare la situazione.

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