3+2, dieci anni dopo

Le riforme della didattica fra trauma e razionalizzazione.

di Mario Morcellini 

Ho già avuto modo di sottolineare, proprio sulle pagine di questa rivista, la centralità dei temi legati a università e ricerca: importanti misure anti-recessione e, di fatto, investimenti indispensabili a un moderno modello di welfare, ispirato al benessere e all’innovazione culturale della società italiana. Un modello di “stato sociale” che scelga di confrontarsi, cioè, con l’innalzamento qualitativo della domanda di sapere, cultura e consumi degli italiani, promuovendo l’accesso allargato ai “beni di cittadinanza” propri della modernità.

In particolare, in un momento di sfide decisive per il paese e per il sistema università, urge rilanciare il dibattito sul significato culturale delle riforme intraprese e sugli effetti presenti e futuri di queste ultime contro il declino, intercettando l’esigenza – ormai largamente condivisa – di istituzionalizzare un’autonoma riflessione accademica sui processi riformistici che riguardano la vita degli atenei.

In particolare, l’inizio di un nuova legislatura conferma la didattica fra i temi più caldi del riformismo universitario. A quasi dieci anni di distanza dalla riforma inaugurata dal D.M. 509/1999, un nuovo riordino degli ordinamenti (D.M. 270/2004) interpella oggi l’innovazione dei modelli di insegnamento, delle culture didattiche e delle aspettative di studenti e docenti universitari.

Un confronto che coinvolga ad ampio raggio la comunità universitaria dovrebbe concorrere, di fatto, a rilanciare la riflessione sulla qualità formativa, sollecitando il protagonismo, la progettualità e la capacità degli atenei di “fare sistema” nei confronti della politica, del sistema imprenditoriale, del territorio. Come pure a collegare strategicamente il riordino degli ordinamenti didattici agli altri temi-chiave del riformismo delle ultime due legislature: questioni di incalzante attualità che attengono al modello culturale di università e alle sue “missioni” possibili, come valutazione, internazionalizzazione, reclutamento dei docenti, diritto allo studio e orientamento, consolidamento della piattaforma formazione-lavoro e, non ultimo, rilancio dell’esperienza del “terzo ciclo” (dottorato di ricerca) a livello internazionale.

Pensare la didattica

Come noto, nella stagione dell’autonomia, avviata in Italia alla fine degli anni 1980, gli atenei si sono trovati a fronteggiare un complesso imponente di cambiamenti istituzionali e del contesto esterno: un riposizionamento organizzativo e culturale di portata sistemica, che vede emergere al centro il valore strategico dell’innovazione didattica e l’identità dell’università come comunità formativa.

La storia di questi anni parla chiaro. La riforma degli ordinamenti (D.M. 509/1999) ha innescato cambiamenti che, lungi dall’essersi conclusi e consolidati, si pongono ancora come cantiere aperto: ciascun corso di studio e l’offerta formativa nel suo insieme hanno dovuto adeguarsi a nuove e più complesse regole del gioco, improntate a una logica fondata sull’autonomia e sulla responsabilità delle scelte. Al di là degli innegabili limiti applicativi e dello stress organizzativo sugli atenei, occorre inoltre riconoscere che l’introduzione del cosiddetto “3+2” è stata decisiva nell’abbassare le barriere all’entrata e all’uscita per giovani e adulti, rivelandosi così un “moltiplicatore” della domanda degli studi anzitutto sul piano della percezione simbolica.

Di fatto, la riforma didattica ha portato a maturazione una serie di fermenti inediti sul fronte della domanda degli studi: anzitutto, il contenimento della dispersione studentesca, ma anche una nuova crescita delle immatricolazioni, dopo un declino quasi decennale cominciato nei primi anni 1990 e anche da parte dei giovani neodiplomati. Va inoltre segnalato l’aumento di laureati, studenti-lavoratori e lavoratori-studenti, iscrizioni “tardive”, ritorni all’università e, non ultimo, l’exploit – e ora il consolidamento di un mercato formativo – del post-lauream (Master, Corsi di Alta Formazione eccetera).

A fronte di uno scenario promettente – nel quale tuttavia, secondo il CNVSU, dal 2005 già si introducono elementi di controtendenza, o almeno di affaticamento dei parametri – gli atenei sono oggi più che mai chiamati a mobilitarsi sul tema della qualità degli studi, investendo soprattutto sulla razionalizzazione dell’offerta. Come noto, i curricula si avviano a essere gradualmente rimodulati, in linea con l’importante progetto di riordino e razionalizzazione degli ordinamenti didattici in atto da quest’anno negli atenei (D.M. 270/2004 e decreti attuativi). D’altra parte, un netto segnale di cambiamento nella concezione della qualità dell’offerta universitaria si deve ai recenti provvedimenti normativi che definiscono un nuovo setting di “requisiti necessari” tesi a rilanciare la qualità dell’offerta formativa e, in particolare, il valore della trasparenza: un principio, quest’ultimo, già al centro delle politiche di assicurazione della qualità (quality assurance) promosse in sede europea.

Sono passaggi decisivi per contrastare alcune ben note derive nell’applicazione dell’autonomia didattica: anzitutto, la tendenza alla “coriandolizzazione” dell’offerta didattica e alla frammentazione spesso incontrollata di moduli, crediti e relativi carichi didattici; come pure una proliferazione di corsi di studio non sempre sufficientemente coordinati alle istanze provenienti dal territorio e dal mondo delle professioni e, di fatto, spesso non sostenuti da adeguati standard di trasparenza dell'”albero formativo” nei confronti degli studenti.

Si tratta di debolezze strutturali del processo di rinnovamento sulle quali è necessario insistere con verifiche sistematiche e, di fatto, richiamare l’attenzione della comunità universitaria. Anche per riconoscere, con la serenità spesso carente in questi anni, che molte disfunzioni sono da attribuire a un’applicazione dell’autonomia didattica troppe volte fuorviante rispetto al dettato normativo. Non agli intenti di una riforma pensata per portare il paese in Europa.

Una strategia di innovazione, oltre le riforme

Sul piano della consapevolezza dei processi di cambiamento, la scommessa della qualità formativa chiama in causa, in primis, la centralità delle politiche di valutazione e accreditamento, vera chiave di volta della modernizzazione di sistema. Inoltre, soprattutto alla luce delle tante trasformazioni succedutesi nell’ultimo decennio, va oggi più che mai incoraggiata la volontà degli atenei di avviare autonomi percorsi di tematizzazione e ricerca sui propri processi distintivi di funzionamento, ivi inclusa la verifica dell’efficacia delle riforme e della qualità della didattica.

è invece eloquente il ritardo con cui la comunità accademica, sede per eccellenza della conoscenza e del sapere, ha assunto la propria particolare realtà organizzativa e culturale come un potenziale oggetto di analisi scientifica. Questione di reticenza, autoreferenzialità, o semplice incapacità di guardare a quel che è troppo vicino? è già questo un nodo che meriterebbe una seria auto-riflessione.

In questo contesto, la comunità docente dimostra di avere ormai metabolizzato il valore strategico della “manutenzione”: una politica di gestione del cambiamento che prospetta, già nel breve termine, l’esigenza di spingersi ben oltre un ritocco puramente inerziale dell’offerta formativa in base ai recenti decreti di riordino delle classi di laurea previsti dal D.M. 270/2004. Del resto, proprio sull’approdo normativo del 270 occorre segnalare il lavoro dei Tavoli tecnici costituiti dal Ministero e, in particolare, il ruolo propositivo dell’Interconferenza dei Presidi nel promuovere un interessante modello di auto-riforma regolato dall’autonomia universitaria, in un clima di “concertazione” storicamente poco frequentato nel contesto dell’accademia.

Più in generale, cambiamenti radicali come quelli in atto sul fronte della didattica chiamano in causa un più ampio concetto di responsabilità. L’accelerazione dei processi di mutamento rende dunque necessario il perseguimento delle nuove “missioni” dell’università in uno scenario di crescente accountability: vale a dire, di sistematico impegno degli atenei a legittimare la qualità dell’offerta e a render conto dei risultati alla società, con modalità “aperte” e trasparenti.

Di fatto, soprattutto un punto è ormai chiaro: in una realtà formativa scossa dalla “tempesta” di un cambiamento senza posa, soprattutto i giovani rischiano di diventare più facilmente vittime che protagonisti dell’innovazione. Del resto, c’è già troppa precarietà nell’aria di questa società per infliggere solo flessibilità compulsiva anche al tempo degli studi; il modello di sviluppo che urge all’università italiana è invece oggi quello che sappia intelligentemente dotarsi di protocolli di accompagnamento e condivisione culturale del cambiamento fra docenti e studenti. è difficile negare che soprattutto questi ultimi avrebbero diritto a un minimo di stabilità delle cornici culturali e formative di riferimento e, di fatto, a un’adeguata “manutenzione” delle riforme, invece delle continue “inaugurazioni” che, negli anni recenti, si sono rincorse da parte della politica e dai governi.

Non ci sfugge che l’Europa e il futuro implicano la volontà di una riprogettazione continua. Ma occorre non dimenticare che questa è più facile alla disposizione dell’adulto e dell’insegnante, piuttosto che alla “testa dolce” di chi è dentro il processo di formazione e vive l’incertezza caratteristica dell’età degli studi.

Dieci anni dopo il 3+2

I tempi sono dunque ormai maturi affinché gli atenei italiani possano avviare una riflessione sistematica sull’innovazione didattica nel post-riforma e sul modello formativo del 3+2. è quanto dimostra un nuovo clima di interesse e confronto sui paradigmi della formazione e sulla cultura della riforma, anche in vista dell’attuale appuntamento delle università italiane con il riordino delle classi di laurea ai sensi del D.M. 270/2004 e successivi decreti attuativi.

Non a caso, la didattica è il tema chiave sul quale, nel corso del 2007, hanno insistito sia alcuni importanti provvedimenti ministeriali, sia una serie di appuntamenti pubblici che hanno visto il coinvolgimento degli atenei e dei principali attori del cambiamento. è in questo contesto che si inserisce l’iniziativa di una ricerca-intervento di ampio respiro sull’autonomia didattica, promossa alla Sapienza di Roma dalla Facoltà di Scienze della Comunicazione sulla base di una pluriennale esperienza d’indagine sui temi dell’innovazione e comunicazione universitaria e di una collaborazione continuativa con il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR).

Avviato nel gennaio 2007, il progetto di ricerca-intervento Dieci anni dopo il “3+2”. La riforma didattica nella percezione di studenti, docenti e media punta a ricondurre al terreno dell’analisi scientifica e al confronto interno alla comunità universitaria un giudizio troppo spesso sbrigativo sul 3+2 e, di fatto, sulla qualità dei processi formativi nell’università post-riforma.

L’iniziativa prevede un disegno di ricerca a “matrice”, articolato in sotto-unità tematiche e in un ciclo di incontri seminariali, con un ampio coinvolgimento di docenti, ricercatori, studenti e altri testimoni privilegiati a livello nazionale. Focus della ricerca, la ricostruzione del clima culturale sulla riforma didattica nell’informazione e nell’opinione pubblica e, in particolare, l’esplorazione in profondità di quello che resta il tradizionale “cono d’ombra” in gran parte delle indagini disponibili a livello nazionale: le percezioni del cambiamento da parte dei diversi attori e stakeholders del “patto formativo”, primi fra tutti studenti e docenti.

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