20 anni di attacchi di droni: un fallimento

La tecnologia ha dimostrato la sua incapacità di raggiungere gli obiettivi preposti senza provocare morti tra i civili. Perché non viene ammesso ufficialmente?

di Emran Feroz

Dopo che i talebani hanno conquistato Kabul a metà agosto, per le strade è apparso un uomo con la barba nera e un kalashnikov. Ha visitato ex politici e ha tenuto un sermone durante la preghiera del venerdì nella storica moschea Pul-e-Khishti della capitale. Ma l’uomo non era un semplice combattente talebano tra decine di migliaia di altri: era Khalil ur-Rahman Haqqani, un leader talebano di spicco nella rete Haqqani, la famigerata ala militare del gruppo. 

Dieci anni fa, gli Stati Uniti hanno messo una taglia di 5 milioni di dollari sulla sua testa, quindi sono circolati molti commenti sulla sua possibilità di spostarsi apertamente per Kabul. A settembre i talebani lo hanno persino nominato ministro dei rifugiati dell’Afghanistan. Ma ciò che i pettegolezzi e gli editoriali non hanno menzionato è che la vera sorpresa non sono state le apparizioni pubbliche di Haqqani, ma il fatto che negli ultimi due decenni l’esercito americano riteneva di averlo ucciso in un attacco con droni.

Chiaramente Haqqani è vivo e vegeto. Sorge spontanea una domanda: se Khalil ur-Rahman Haqqani non è stato ucciso, chi era la vittima? La solita risposta blanda è “terroristi”, una risposta ora istituzionalizzata dai più alti livelli delle agenzie di sicurezza degli Stati Uniti. Ma gli ultimi giorni del ritiro degli Stati Uniti dall’Afghanistan hanno dimostrato che non è necessariamente vero. Il giorno dopo un attacco alle truppe al brulicante aeroporto di Kabul, per esempio, gli Stati Uniti hanno risposto con un attacco “mirato” di droni nella capitale. 

In seguito è emerso che l’attacco aveva provocato la morte di 10 membri di una famiglia, tutti civili. Una delle vittime aveva prestato servizio come interprete per gli Stati Uniti in Afghanistan e aveva pronto un visto speciale per gli immigrati. Sette vittime erano bambini. Il quadro non corrispondeva alla generica storia di successo inizialmente raccontata dall’amministrazione Biden.

Tuttavia, questo attacco è stato diverso dagli altri. Per anni, la maggior parte delle operazioni aeree condotte dagli Stati Uniti si è svolta in località remote e rurali dove i fatti difficilmente potevano essere verificati e poche persone potevano recarsi sul posto. Questa volta l’attacco ha avuto luogo nel mezzo della capitale del paese e giornalisti e investigatori hanno potuto facilmente verificare tutto ciò che gli Stati Uniti affermavano. 

In primo luogo, i canali televisivi locali afgani, come Tolo News, hanno mostrato i familiari delle vittime. Con così tanta attenzione al ritiro dall’Afghanistan, anche i media internazionali hanno cominciato ad occuparsene. Un rapporto dettagliato del “New York Times” ha costretto Washington a ritrattare le sue precedenti affermazioni. “È stato un tragico errore”, ha detto il Pentagono durante una conferenza stampa, ammettendo che l’attacco aveva ucciso civili innocenti senza alcun legame con l’ISIS.

In effetti, l’ultimo attacco americano di droni in Afghanistan, l’ultimo atto intimidatorio di alto profilo, è stato stranamente simile al primo. Il 7 ottobre 2001, gli Stati Uniti e i loro alleati invasero l’Afghanistan per rovesciare il regime dei talebani. Quel giorno si verificò la prima operazione di droni nella storia. Un drone armato Predator sorvolò la provincia meridionale di Kandahar, roccaforte dei talebani, che era la casa del mullah Mohammad Omar, il leader supremo del gruppo. 

Nel tentativo di uccidere Omar, sono stati sparati due missili Hellfire contro un gruppo di afgani barbuti in abiti larghi e turbanti. Ma in seguito, il corpo del mullah non è stato trovato tra loro. Omar ha eluso i presunti droni precisi per più di un decennio, finendo per morire per cause naturali in un nascondiglio a poche miglia da una grande base statunitense. Invece, l’America ha lasciato una lunga scia di sangue afghano nei suoi tentativi di ucciderlo insieme ai suoi accoliti.

“La verità è che non siamo riusciti a distinguere tra combattenti armati e agricoltori, donne o bambini”, ha spiegato Lisa Ling, un ex tecnico di droni che nel passato ha collaborato con l’esercito americano. “Questo tipo di guerra è sbagliato a tanti livelli”.

Secondo l’organizzazione per i diritti umani Reprieve, più di 1.100 persone in Pakistan e Yemen sono state uccise tra il 2004 e il 2014 durante la caccia a 41 obiettivi. La maggior parte di questi bersagli sono uomini ancora vivi, come Haqqani, o il leader di Al-Qaeda Ayman al-Zawahiri, che ha appena pubblicato un altro libro, mentre migliaia di persone sono state uccise dai droni al posto suo. 

Già nel 2014, il Bureau of Investigative Journalism con sede a Londra ha rivelato che solo il 4 per cento delle vittime dei droni in Pakistan è stato identificato come militante legato ad Al-Qaeda. Ha inoltre sottolineato che la stessa CIA, responsabile degli attacchi nel paese, non conosceva l’affiliazione di tutti coloro che sono stati colpiti. “Hanno identificato centinaia di persone uccise come semplici combattenti afgani o pakistani o sconosciuti”, afferma il rapporto

Eppure molti funzionari militari e politici statunitensi continuano a parlare bene dei droni. Anche i gruppi di militanti presi di mira si sono uniti: da un paio d’anni i talebani usano droni commerciali armati per attaccare i loro nemici, dipingendo i droni come tecnologicamente superiori, proprio come avevano fatto i funzionari americani prima di loro. “Il sistema di puntamento del drone è molto preciso”, ha detto recentemente al giornalista afghano Fazelminallah Qazizai un membro dell’unità di droni dei talebani

I talebani non hanno le stesse risorse di droni degli Stati Uniti. Non sono supportati da una rete globale di operatori ed esperti meteorologici e non hanno una stazione di trasmissione satellitare come quella della base aerea di Ramstein in Germania, che è stata descritta come il cuore della guerra dei droni statunitense nei documenti forniti da Daniel Hale, un ex analista dell’intelligence poi diventato un informatore (Hale ha rivelato prove che dimostrano che la maggior parte delle vittime dei droni in Afghanistan erano civili. In cambio è stato condannato a 45 mesi di carcere).

Ma anche se non hanno gli stessi mezzi degli Stati Uniti, anche i talebani sono convinti che i droni siano le armi perfette. “Lavoriamo per la nostra ideologia”, ha detto a Qazizai un operatore di droni talebani. Anche se sanno che gli attacchi mancano regolarmente i loro obiettivi, i talebani, proprio come gli Stati Uniti, sembrano avere una fede cieca nella tecnologia. 

Emran Feroz è un giornalista indipendente, fondatore di Drone Memorial, un memoriale virtuale per le vittime civili degli attacchi dei droni. 

Immagine di: John Moore / Getty Images

(rp)

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