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Rosetta è il satellite europeo destinato entro l’anno a depositare il suo lender Philae sul nucleo della cometa CG (il nome completo è 67P/Churyumov-Gerasimenko). Ne seguiremo le vicende durante i prossimi mesi, sino al conseguimento dell’obiettivo, previsto per novembre, quando Philae comincerà a perforare la superficie del corpo celeste.

di Alessandro Ovi

Andrea Accomazzo, Operation Director Rosetta, nella Sala di Controllo a Darmstad, esulta all’arrivo del segnale del risveglio di Rosetta.

C’era aria di attesa il 20 gennaio di quest’anno, a Darmstadt, nella sala Controllo di ESOC (European Space Operations Control). Quel giorno Rosetta, il satellite europeo destinato entro l’anno a depositare il suo lander Philae sulla cometa CG (il nome completo è 67P/Churyumov-Gerasimenko), doveva svegliarsi da un letargo di 18 mesi. Era stata programmata a quel sonno quando, superato Giove, si era addentrata in un’orbita troppo lontana dal Sole per trarne sufficiente energia a mantenere cariche le sue batterie e accesi i suoi strumenti.

Il suo vagare nello spazio era tutto pilotato, a parte poche e piccole spinte autonome di correzione, dai campi gravitazionali del Sole e dei pianeti. Negli ultimi anni solo la gravità l’aveva portata dove era, e dove doveva essere. Raggiunto il punto più lontano dal Sole, stava tornando indietro, ma non per venire a casa.

Doveva essere pronta a mettersi nella scia della cometa che sarebbe passata da quelle parti, avvicinarsi, girarle attorno e trovare l’assetto giusto perché Philae, il lander a quattro zampe che portava con sé, potesse sganciarsi e andare a depositarsi sulla sua superficie.

Mano a mano che il segno del risveglio su uno schermo verde, un picco su un piatto segnale di rumore, tardava a comparire dopo il momento atteso, il nervosismo cresceva.

L’amico Berndt Feuerbach, grande scienziato tedesco, presidente dell’Adisory Board ESAC di cui anche io facevo parte, racconta che c’era silenzio in sala e che, dopo 20 minuti dal momento previsto per il risveglio di Rosetta, gli era arrivato un sms di Thomas Reiter, il più famoso astronauta europeo, che con un’aria apparentemente distaccata (solo un astronauta può averla così) gli chiedeva: «Siamo un po’ in ritardo Berndt?». «Aspettiamo, Thomas, aspettiamo. è così lontana e ha tante cose da fare prima di dirci che è sveglia. Aprire i pannelli, scaldarsi un po’, puntare verso la Terra la sua antenna, provare a trasmettere, e magari non ci riesce al primo tentativo…».

Dopo pochi minuti, per fortuna, lo spike tanto atteso, un picco sullo schermo verde, diceva a tutti che Rosetta si era svegliata. Un grande applauso in sala ha coperto le parole di Andrea Accomazzo, capo delle operazioni, che diceva con i pugni al cielo: «è fatta, si è svegliata». Abbracci, sollievo in sala, un senso di trionfo, anche se nulla di paragonabile alla prima volta che un Apollo riemerse con i suoi tre astronauti dal silenzio dell’altra faccia della Luna, o alla voce di Jim Lovell, comandante di Apollo 13, dopo i minuti di black out nel rientro in atmosfera, alla fine della Odissea dalla Luna, dopo l’esplosione nel modulo di servizio.

Ma una certa commozione c’era. Rosetta era una grande, ambiziosa speranza dell’attività spaziale europea, che ce la aveva fatta a svegliarsi, dopo essere stata messa in letargo da un impulso lanciato da Accomazzo da una potente stazione in Australia. Una cosa bella e importante. Successivi segnali informavano che i pannelli solari si erano aperti, che le batterie avevano cominciato a ricaricarsi, che era ripresa la rotazione su un asse per rendere equilibrata l’esposizione al Sole.

Insomma, Rosetta era pronta a mettersi attivamente in caccia della cometa per mandare Philae a esplorarla. Il problema di Philae non sarà stato quello di arrivare sulla superficie, ma di restarci. Una cometa, infatti, ha una gravità così bassa che la cosa più probabile per Philae sarebbe quella di rimbalzare dalla sua superficie e non poterci tornare mai più. Ma Philae ha un’ancora. Accomazzo ha pensato a tutto.

Ne riparleremo nelle prossime settimane…