Una breve storia dei meme

All’inizio sembravano poco più di uno scherzo, ma ora stanno diventando delle vere armi da battaglia.

di Joan Donovan

Nell’ottobre 2016, un mio amico ha appreso che una delle sue foto di matrimonio era apparsa in un post su una bacheca dell’estrema destra. L’immagine era stata modificata per sembrare una pubblicità per la campagna di Hillary Clinton e sembrava appoggiare l’idea di arruolare donne nell’esercito. Un nostro comune amico ha visto per primo questa immagine e gli ha inviato un messaggio: “Ummm, l’ho visto su Reddit, l’hai postata tu?”

In realtà non ne sapeva nulla. La foto era stata presa dal suo album di nozze online, ma ormai non poteva fare più nulla. Quindi, invece di protestare, lo ignorò e proseguì con la sua vita. A differenza dei suoi amici che ne ridevano, io, come esperto manipolazione e disinformazione sui media, ho capito subito che il mio amico era diventato carne da cannone in una “guerra dei meme”, vale a dire l’uso di slogan, immagini e video sui social media per scopi politici, spesso impiegando disinformazione e mezze verità.

Mentre oggi tendiamo a pensare ai meme come a immagini divertenti online, Richard Dawkins ha coniato il termine nel 1976 nel suo libro The Selfish Gene, in cui ha descritto come la cultura viene trasmessa attraverso le generazioni. Nella sua definizione, i meme sono “unità di cultura” che si muovono attraverso la diffusione delle idee. I meme sono particolarmente significativi online perché Internet li cristallizza come artefatti della comunicazione e accelera la loro distribuzione attraverso le sottoculture.

È importante sottolineare che, quando i meme sono condivisi, perdono il contesto della loro creazione, insieme alla loro paternità. Svincolati dall’intenzione di un autore, diventano proprietà collettiva della cultura. Pertanto, i meme assumono una vita propria e nessuno deve rispondere per idee trasgressive o odiose.

E mentre molte persone pensano ai meme come a un intrattenimento innocuo – commenti divertenti e irriverenti sugli eventi attuali – ora siamo in una fase molto diversa. Le guerre di meme sono una caratteristica costante della nostra politica e non vengono utilizzate solo dai troll di Internet, ma da governi, candidati politici e attivisti in tutto il mondo.

La Russia ha utilizzato meme e altre manipolazioni sui social media per influenzare le elezioni statunitensi nel 2016, usando una “fabbrica” di troll nota come Internet Research Agency per seminare contenuti pro-Trump e anti-Clinton su varie piattaforme online. Entrambe le parti coinvolte in conflitti territoriali come Hong Kong e Cina, Gaza e Israele, India e Pakistan stanno usando meme e propaganda virale per influenzare le opinioni pubbliche locali e internazionali.

Nel 2007, per esempio, mentre faceva campagna elettorale per il presidente, John McCain iniziò scherzosamente a cantare “Bomb bomb bomb, bomb bomb Iran” sulla melodia della popolare canzone dei Beach Boys Barbara Ann. Per McCain, un falco sul caso iraniano, era un modo per parlare di una possibile guerra usando la tattica ben consumata dell’umorismo e della familiarità: facile da liquidare come uno scherzo, in realtà un promemoria minaccioso del potere militare degli Stati Uniti.

Tuttavia, il meme ha avuto un effetto controproducente, in quanto lo slogan è stato diffuso dai militanti di organizzazioni civili, che lo hanno fatto diventare virale. Il suo avversario, Barack Obama, ha così ottenuto un sostegno gratuito da persone che erano più brave a creare contenuti persuasivi rispetto al personale della sua campagna elettorale.

Il successo virale dei meme ha portato i governi a provare a imitare il genere nella loro propaganda. Queste campagne sono spesso rivolte ai giovani, come il programma “Warriors Wanted” incentrato sui social media dell’esercito americano, o la campagna dell’esercito britannico che prende in prestito il linguaggio visivo dei manifesti di reclutamento secolari per prendere in giro gli stereotipi millenari. Questi messaggi pubblicitari sono stati lanciati all’inizio di quest’anno e hanno incrementato il reclutamento.

Tuttavia, un simile utilizzo dei meme non rispecchia il nodo principale della questione: i meme realmente importanti sono senza autore. Si diffondono spontaneamente in rete.

Campagne di meme militari molto più autentiche provengono dagli stessi soldati, come quelli che fanno riferimento al pasticcione idiota noto semplicemente come “Carl”. Membri e veterani dei servizi statunitensi gestiscono siti Web che ospitano barzellette e immagini che descrivono la realtà della vita militare e raggiungono uno scopo non così diverso da quello della propaganda ufficiale.

Spesso raffigurano soldati armati dalla testa ai piedi e servono per evidenziare, anche nelle battute, l’enorme capacità distruttiva delle forze armate. A loro volta, tali meme sono stati trasformati in campagne di marketing commerciale, come quella di Valhalla Wear, un’azienda di abbigliamento di proprietà di ex militari.

Conscio del potere dei meme generati dalla gente comune per servire la narrativa della propaganda di uno stato, nel 2005 un maggiore del Corpo dei Marines di nome Michael Prosser ha scritto una tesi di laurea intitolata Memetica: un’industria in crescita nelle operazioni militari statunitensi, in cui chiedeva la formazione di un “centro di guerra” che avrebbe arruolato persone per produrre e condividere meme come un modo per influenzare l’opinione pubblica.

L’idea di Prosser non è diventata realtà, ma il governo degli Stati Uniti ha riconosciuto la memetica come una minaccia. A partire dal 2011, l’Agenzia per i progetti di ricerca avanzata della difesa ha offerto 42 milioni di dollari in sovvenzioni per la ricerca su ciò che chiamava “social media nelle comunicazioni strategiche”, con la speranza che il governo potesse rilevare “messaggi intenzionali o ingannevoli e disinformazione” e creare contromisure per combatterli.

Eppure quella ricerca non è servita alla DARPA per combattere la campagna di disinformazione della Russia del 2016. La sua diffusione è stata scoperta solo da giornalisti e accademici. Questa carenza ha rivelato un difetto fatale nella sicurezza nazionale: gli agenti stranieri sono quasi impossibili da rilevare quando si nascondono all’interno della popolazione civile, a meno che le aziende di social media non cooperino con lo stato per monitorare gli attacchi.

La foto del matrimonio del mio amico fornisce un buon esempio di come qualcosa di apparentemente banale come un meme possa essere trasformato in una potente arma politica. Nel 2016, una bacheca di Reddit, r/The_Donald, era una nota fabbrica di meme per tutto quello che riguardava Trump. Immagini e slogan sono stati sottoposti a beta test e perfezionati lì prima di essere distribuiti da sciami di account su piattaforme di social media. Famosi slogan virali lanciati da The_Donald includevano quelli che avevano a che fare con il “Pizzagate” e la cospirazione dietro all’omicidio di Seth Rich.

La foto del mio amico è stata utilizzata per un’operazione di guerra memetica chiamata #DraftMyWife o #DraftOurDaughters, che mirava ad associare falsamente Hillary Clinton a un rilancio della proposta di legge. La strategia era semplice: gli autori prendevano immagini dai materiali ufficiali della campagna digitale della Clinton, così come immagini online come quelle del mio amico, e le alteravano per far sembrare che la Clinton avrebbe arruolato donne nell’esercito se fosse diventata presidente.

Se qualcuno avesse fatto una ricerca online, avrebbe scoperto che la Clinton aveva effettivamente parlato a giugno 2016 a sostegno di un disegno di legge che includeva una disposizione che rendeva le donne idonee a essere arruolate, ma solo in caso di emergenza nazionale. Il disegno di legge è stato approvato, ma è stato successivamente modificato per rimuovere tale requisito. Questo è ciò che ha reso subdolo #DraftMyWife: era basato su un nocciolo di verità.

Meme come questo spesso usano un processo di continuo rilancio della notizia chiamato “trading up the chain”, descritto dall’imprenditore dei media Ryan Holiday nel suo libro Trust Me, I Lying. Le campagne iniziano con dei post in blog o altri canali di notizie con toni moderati. Se tutto va bene, qualcuno degno di nota diffonderà inavvertitamente la disinformazione tramite tweet, il che porta alla copertura informativa su larga scala.

#DraftMyWife è stato definito quasi subito una bufala e la vicenda è stata chiarita sul “Washington Post” e sul “Guardian”. Il problema è che prendersi la briga di correggere campagne di disinformazione come queste può ottenere l’obiettivo opposto, vale a dire diffondere il meme, in un processo chiamato amplificazione.

I meme online rendono le truffe e le operazioni psicologiche facili da realizzare su scala internazionale. Dovremmo vederli come una grave minaccia. La buona notizia è che una proposta di legge al Congresso degli Stati Uniti prevede la formazione di una commissione nazionale per valutare la minaccia rappresentata da agenti nazionali e stranieri che manipolano i social media per finalità illecite.

Però, concentrarsi solo su questi “agenti” non coglie la sostanza del fenomeno, per lo stesso motivo per cui le campagne di reclutamento militare ispirate ai meme hanno mancato l’obiettivo. La guerra memetica funziona solo se coloro che la combattono possono contare su un’enorme partecipazione pubblica per diffondere i meme e oscurare i loro autori originali.

Quindi, piuttosto che seguire i creatori di meme, i politici e le istituzioni che cercano di contrastare il fenomeno potrebbero rafforzare le istituzioni che creano e distribuiscono informazioni affidabili – media, università, agenzie governative non-partigiane e così via – mentre il sistema di cyber-difesa statunitense collabora con le piattaforme online per togliere spazio a chi diffonde i messaggi manipolatori.

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