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Il tentativo di replicare il funzionamento della mente simulando su un computer i meccanismi del cervello ha ancora dei limiti evidenti. Che non si potranno colmare a breve

MIT Technology Review Italia

Due anni fa, un team dell’Allen Institute for Brain Science di Seattle, negli Stati Uniti, ha mappato la struttura 3D di tutti i neuroni presenti in un campione di un millimetro cubo del cervello di un topo: ne hanno contati più di 100.000 (un milionesimo di quelli umani) oltre a più di un miliardo di connessioni tra di loro.

Hanno registrato le informazioni corrispondenti sui computer, inclusa la forma e la configurazione di ciascun neurone e delle diverse connessioni, che hanno richiesto due petabyte di spazio di archiviazione, raccogliendo 100 milioni di immagini di 25.000 sezioni estremamente sottili del minuscolo campione.

L’estrazione e l’archiviazione dei dati, tuttavia, non è l’unica sfida. Perché un computer replichi le modalità di funzionamento del cervello, dovrebbe accedere a tutte le informazioni memorizzate in un lasso di tempo molto breve: le informazioni dovrebbero essere archiviate nella sua memoria ad accesso casuale (RAM). Ma se provassimo a memorizzare la quantità di dati raccolti dai ricercatori nella RAM di un computer, questa occuperebbe 12,5 volte la capacità del più grande computer a memoria singola (un computer basato sulla memoria, anziché sull’elaborazione) mai costruito.


Una semplice regola per l’archiviazione delle informazioni è assicurarsi di avere spazio sufficiente per contenere tutte le informazioni che si devono trasferire prima di iniziare. In caso contrario, è necessario stabilire esattamente l’ordine di importanza delle informazioni e la loro organizzazione interna, il che è tutt’altro che semplice nel caso dei dati cerebrali.

In mancanza di questi dati, si potrebbe esaurire lo spazio prima del completamento del trasferimento, danneggiando presumibilmente il funzionamento della stringa informativa. Inoltre, tutti i dati dovrebbero essere archiviati in almeno due (se non tre) copie, per prevenire le conseguenze disastrose di una potenziale perdita.

Un altro problema è che, per replicare completamente la struttura 3D della rete di neuroni nel minuscolo pezzo di cervello di topo, si è dovuto procedere a una suddivisione in 25.000 sottili sezioni di tessuto perché le informazioni nel cervello sono memorizzate nel minimo dettaglio nella struttura fisica delle connessioni tra i neuroni. Si tratta di un’impresa altamente improbabile suddividere l’intero volume del cervello, circa 1.26 milioni di millimetri cubi, con precisione tale da poterlo poi correttamente “rimontare”.

Un altro elemento che gioca un ruolo importante è il tempo. Dall’età di 20 anni, il nostro cervello perde 85.000 neuroni al giorno. Una specie di suicidio collettivo, ma che non mette a rischio le nostre capacità di pensiero in quanto si tratta per la maggior parte di neuroni che non sono coinvolti in nessuna fase della elaborazione delle informazioni. 


Inoltre, abbiamo quasi 100 miliardi di neuroni all’età di 20 anni, e con un tale tasso di abbandono, abbiamo semplicemente perso il 2-3 per cento dei nostri neuroni all’età di 80 anni. Ma la domanda che si pone è quale sarebbe l’età giusta per scansionare e archiviare i dati? E’ più vantaggioso “fotografare” una mente di 80 anni o una di 20 anni? 

Ci sono vantaggi e svantaggi. Una mente giovane mancherebbe di molti ricordi ed esperienze, ma un trasferimento su un computer in età avanzata correrebbe il rischio di immagazzinare una mente che non “funziona” al meglio. Pur ammettendo di risolvere questi problemi, ci troveremmo comunque di fronte a una grande incognita: come funziona?

Dopo la domanda “cosa” (quali informazioni ci sono?) e la domanda “quando” (quando sarebbe il momento giusto per trasferirle?), la più difficile è la domanda “come”. In realtà, però, alcune cose sono risapute. I neuroni comunicano tra loro direttamente o tramite superfici di scambio chiamate sinapsi, vale a dire segnali elettrici che vengono convertiti in segnali chimici, per attivare o disattivare il neurone successivo. 

Per sapere quali tipi di connessione si applicano tra due neuroni, si devono applicare tecniche molecolari e test genetici. Ciò significa ancora una volta fissare e tagliare il tessuto a fette sottili, spesso uccidendolo. Ma questo modo di procedere non è necessariamente compatibile con il taglio necessario per ricostruire la struttura 3D.

Capire come comunicano i neuroni è un ulteriore strato di informazioni, il che significa che è necessaria molta più memoria rispetto all’incalcolabile quantità precedentemente prevista. Quindi la possibilità di caricare sui computer le informazioni contenute nei cervelli è assolutamente remota e potrebbe essere per sempre fuori portata

Ma se anche tutte le difficoltà fossero risolte e il cervello potesse essere letteralmente “copiato” in un computer, spiega in un articolo su “The Conversation” Guillaume Thierry, professore di Neuroscienze Cognitive all’Università di Bangor, l’immagine mentale trasferita non sarebbe più viva della macchina che la ospita. Questo perché gli esseri viventi come gli esseri umani e gli animali esistono perché sono vivi. 

“L’affermazione può sembrare banale”, dice Thierry, “ma non è così. La mente è legata a un corpo che si alimenta di sensazioni fisiche: cambiamenti nella frequenza cardiaca, respirazione e sudorazione, che a loro volta possono essere percepiti e contribuire all’esperienza interiore. Come funzionerebbe un computer senza un corpo?

Il cervello integra senza soluzione di continuità e costantemente i segnali di tutti i sensi per produrre rappresentazioni interne, fa previsioni su queste rappresentazioni e alla fine crea consapevolezza cosciente in un modo che per noi è ancora un mistero totale. Senza l’interazione con il mondo, per quanto sottile e inconscio, come potrebbe la mente funzionare anche solo per un minuto? E come potrebbe evolversi e cambiare? Se la mente, artificiale o meno, non ha input o output, allora è priva di vita, proprio come un cervello morto.

“Si potrebbe obiettare”, continua Thierry, “che la mente umana può essere trasferita in un sofisticato robot dotato di una serie di sensori in grado di vedere, udire, toccare e persino annusare e assaporare il mondo e che questo robot sarebbe in grado di agire, muoversi e parlare”.

Ma anche allora, è teoricamente e praticamente impossibile che i sensori e i sistemi motori richiesti forniscano sensazioni e producano azioni identiche o addirittura paragonabili a quelle fornite e prodotte dal corpo biologico. E come collegare sensori artificiali alla copia digitale della mente vivente? E il pericolo dell’hacking? O del guasto hardware? Gli androidi sognano ancora pecore elettriche.

Immagine: Pixabay, Tumisu

(rp)