Ripensare il PIL

L’intima connessione tra crescita e prosperità nazionale è uno dei principi più preziosi dell’economia, ma oggi con i cambiamenti climatici, le altre pressioni ambientali e le prove che enormi settori della popolazione non ottengono i benefici propagandati da un’economia apparentemente solida, molti mettono in dubbio questa connessione.

di David Rotman

Gran parte di questa critica alla crescita, ed eventuale “decrescita”, sfida il buon senso economico. Si basa su una visione semplicistica: consumiamo troppo, quindi il pianeta sta esaurendo le risorse. Ma un recente libro dal titolo Fully grown; why a stagnant economy is a sign of success riflette sulle priorità che i politici e gli economisti attribuiscono a una rapida crescita. In questo testo, Dietrich Vollrath, un economista dell’Università di Houston, sostiene che la lenta crescita negli Stati Uniti non è in realtà nulla di cui preoccuparsi. Piuttosto, è il risultato della nostra prosperità ed è, nel complesso, una buona cosa.

La misura convenzionale della crescita dagli anni 1930 è stato l’incremento del PIL, il valore di beni e servizi prodotti nell’economia. Negli ultimi due decenni, il PIL pro capite negli Stati Uniti è aumentato di circa l’1 per cento all’anno, in netto calo rispetto alla media del 2 per cento per gran parte del XX secolo. Il rallentamento ha preoccupato gli economisti, spingendo uno di loro, Robert Gordon, a scrivere un tomo di 700 pagine, The rise and fall of American Growth, in cui ha sostenuto che l’innovazione non è più quella di una volta.

L’ottimismo di Vollrath è radicato in quelle che vede come le due principali cause del rallentamento. La prima è una popolazione che invecchia, soprattutto a causa del minor numero di nascite; di conseguenza una forza lavoro in contrazione significa meno crescita del PIL. La seconda è che gran parte dell’economia si sta spostando dalla produzione a servizi come l’assistenza sanitaria e i progressi della produttività nei servizi sono notoriamente lenti.

Entrambi questi megatrend, sostiene Vollrath, sono il risultato diretto del nostro successo. I tassi di fertilità sono diminuiti quando le donne sono diventate più istruite e benestanti e hanno ottenuto un maggiore accesso alla contraccezione. La spesa per i servizi è aumentata quando le persone hanno ottenuto i beni materiali necessari (chi ha bisogno di un altro frigorifero? Si può andare a cena fuori).

Ciò che rende particolarmente interessante l’analisi di Vollrath è che esclude ciò che alcune persone attribuiscono al rallentamento della crescita: la mancanza di innovazione. Molti fattori influenzano la produttività, egli sottolinea, e anche se l’innovazione sta diventando sempre più costosa e complessa, abbiamo aumentato i finanziamenti alla ricerca, mantenendo il passo; pertanto, conclude Vollrath, un rallentamento dell’innovazione non sembra “essere una spiegazione plausibile per il rallentamento della crescita”.

Il rovescio della medaglia è questo: non possiamo fare affidamento su un’ondata di nuove brillanti tecnologie per riavviare una solida crescita economica. Le scoperte nell’IA, nella stampa 3D, nell’informatica quantistica sono impressionanti, egli scrive, ma non tali da far pensare a “effetti profondi sul tasso di crescita dell’economia”. E a suo parere, tutto ciò è positivo. Il tasso di crescita non dovrebbe essere “usato per giudicare il progresso o il benessere della nostra economia e società”.

Alcuni, forse anche molti, economisti potrebbero avanzare obiezioni a queste conclusioni, in particolare all’affermazione che l’innovazione nell’intelligenza artificiale e altre tecnologie avanzate non darà un grande impulso alla crescita futura. È vero che non è successo fino a oggi, ma non significa che non accadrà in futuro. In questo podcast, Erik Brynjolfsson spiega in dettaglio perché questo aumento di produttività non è ancora apparso.

Tuttavia, la tesi di fondo di Vollrath rimane intatta: dobbiamo ripensare l’idea di una rapida crescita economica come obiettivo finale. E se il PIL non si sta traducendo nei benefici a cui miriamo – una migliore salute, meno danni all’ambiente, una maggiore felicità – abbiamo bisogno di altre misure per quantificare i progressi.

Come si può vedere nel video sul recente panel di Davos si è parlato a lungo di come valutare i progressi dell’economia. Particolarmente interessanti sono gli interventi di Mariana Mazzucato sul concetto di “valore” e dei modi per definirlo e misurarlo, e quello di Brynjolfsson che spiega come ci sia bisogno di una nuova misura di “benessere” ed elabora la sua proposta per trarre vantaggio dalle tecnologie digitali .

Sarà fondamentale poiché le nuove tecnologie come l’IA svolgono un ruolo fondamentale nell’economia ed è indispensabile riflettere su ciò che vogliamo veramente da loro. Solo in questo modo si andrà oltre le misure standard della crescita del PIL per arrivare un sistema che valuti il tipo di progresso di cui abbiamo bisogno per la prosperità condivisa e per risolvere grandi problemi come i cambiamenti climatici.

(rp)

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