Realizzare il sogno della fusione magnetica

Un dispositivo creato per riprodurre la potenza del Sole e ottenere una grande quantità di energia a emissioni zero.

di Poornima Apte

È vero: il carbonio ha alimentato gran parte dell’industria così come la conosciamo, ma ormai il suo destino è chiaro. È necessario decarbonizzare per combattere l’accelerazione del cambiamento climatico.

Tra l’ampio ventaglio di fonti energetiche alternative disponibili c’è anche la fusione magnetica, una fonte di energia priva di emissioni di carbonio e molto più efficiente: un solo grammo di isotopi di idrogeno comunemente usati nel processo genera infatti la stessa quantità di energia di 11 tonnellate di carbone.

L’ispirazione nasce dal Sole
Il Sole è una fucina di fusione magnetica, dove gli atomi di idrogeno si uniscono per formare elio e rilasciare energia. Il Sole utilizza sia l’alta temperatura sia la pressione per mettere in moto il processo di fusione magnetica. Riesce a raggiungere queste condizioni grazie alla massa e ai forti campi gravitazionali. La temperatura, di quasi 100 milioni di gradi centigradi, e la pressione creano un plasma in cui l’atomo di idrogeno non è più in grado di trattenere i propri elettroni. In questo modo, il nucleo caricato positivamente può fluttuare.

Normalmente, due corpi caricati positivamente non si fondono a causa delle forze elettrostatiche di repulsione. Tuttavia, sul Sole le particelle ad alta energia superano questa forza e riescono a fondersi con le loro controparti.

Il risultato? Ancora più calore. È questo tipo di processo ad ispirare gli scienziati. La fusione magnetica funziona bene sul Sole, dove le forze gravitazionali forniscono il combustibile necessario per raggiungere temperature vertiginose. Ma riprodurre condizioni simili sulla terra richiede uno sforzo enorme.

Il tokamak, dispositivo inventato in Unione Sovietica negli anni ’50, potrebbe essere la soluzione.

Costruito nel sud della Francia, l’International Thermonuclear Experimental Reactor (ITER), l’ultima versione del tokamak, è il risultato della collaborazione tra 35 paesi. Promette di essere il primo tokamak a testare la scalabilità della fusione magnetica al di fuori del laboratorio, in centrali elettriche funzionanti.

L’elenco dei requisiti per rendere la fusione magnetica una fonte di energia a lungo termine è lungo e variegato. Mentre sul Sole le reazioni scaturiscono dalla temperatura e dalla pressione, i processi per ottenere la fusione magnetica sulla terra sono limitati principalmente dalla difficoltà a ottenere le alte temperature necessarie per raggiungere lo stato di plasma, confinare il plasma generato in uno spazio ristretto, in modo che possa avvenire la fusione, e, infine, raccogliere l’energia generata trasformandola in elettricità.

La fusione a confinamento magnetico (MCF) è uno dei metodi più comuni per riscaldare il plasma fino alla fusione magnetica. Tra i tanti sistemi che usano l’approccio MCF, il tokamak ha dimostrato di essere il più affidabile. Come il progetto ITER mira a dimostrare, potrebbe anche essere la via più promettente per ottenere una fusione magnetica controllata.

Rappresentazione schematica del Tokamak

Un’occhiata al suo interno
Un tokamak è costituito da una camera interna a forma di ciambella (geometricamente un toroide), dove l’idrogeno fa la sua magia. Il nome un po’ bizzarro deriva da un acronimo russo che si traduce in “camera toroidale a bobine magnetiche”. La forma a ciambella del contenitore impedisce alle particelle di fuoriuscire dalle estremità, muovendosi invece in cerchi continui. Una camera da vuoto avvolge questo strato interno per isolare l’estremità della camera, in modo che nessuna particella estranea possa interferire con il processo.

L’intero marchingegno è circondato da bobine magnetiche realizzate con superconduttori, vista la loro capacità di generare forti campi magnetici con pochissima potenza assorbita. Applicano le forze necessarie per confinare il plasma a 100 milioni di gradi e impedirne la fuoriuscita.

Il campo magnetico generato lungo tutta la circonferenza del toroide impedisce agli elettroni vaganti di urtare le pareti. Le forze magnetiche perpendicolari addensano ulteriormente il plasma, portando i nuclei caricati positivamente abbastanza vicini da consentire loro di superare le forze elettrostatiche e dunque di fondersi.

Alimentare le reazioni
Una miscela di deuterio e trizio, varianti isotopiche dell’idrogeno, costituisce la base per le reazioni di fusione magnetica nel tokamak: è infatti la combinazione più efficace per raggiungere le condizioni ottimali necessarie. Mentre il deuterio è disponibile in abbondanza, il trizio scarseggia. Le prove iniziali preleveranno il trizio dalla limitata quantità disponibile. Successivamente, il tokamak ITER prevede di testare un modello autosufficiente di produzione del trizio avvolgendo la camera rivolta verso il plasma con una serie di strati protettivi (detti blanket, o mantelli) contenenti litio.

La fusione D-T crea elio e neutroni ad alta energia che vengono assorbiti da uno degli isotopi del litio (il 6Li) presenti nel mantello per generare trizio ed elio. Il trizio che si forma in questo modo può essere pompato nel tokamak come combustibile.

Raggiungere temperature elevate
Nel tokamak, il plasma raggiunge le alte temperature di cui ha bisogno attraverso una serie di meccanismi di riscaldamento interni ed esterni. Per prima cosa, sono i campi magnetici stessi a produrre calore, riscaldando il plasma. A questi si aggiunge una tecnica chiamata “iniezione di fasci di neutri” dove le particelle neutre vengono trasferite in un mezzo apposito, facendo sì che reagiscano con il plasma e producano calore.

Il tokamak ITER accelera le particelle di deuterio cariche, le fa passare attraverso un neutralizzatore per privarle della loro carica e le inietta quindi nel plasma. Le particelle neutre riscaldano il plasma trasferendo la loro energia. Alla fine, anche le particelle neutre diventano parte del plasma. Forti campi magnetici confinano il plasma in modo che avvenga la fusione dell’idrogeno. Un refrigerante che circonda il mantello di litio cattura tutto il calore generato e lo raccoglie per produrre elettricità.

Vantaggi e svantaggi
Anche le sfide fanno parte dell’equazione. I materiali superconduttori che generano i campi magnetici desiderati raggiungono lo stato di superconduttore solo a temperature molto basse. Ma allora, come raffreddare le bobine in un ambiente a temperatura così elevata? Il trizio è radioattivo e, anche se si prevede che la sua gestione non sia troppo complessa, bisogna comunque tenerne conto nella costruzione di un tokamak. La macchina potrebbe perdere plasma, con il rischio di danneggiare l’impianto.

Percorsi alternativi alla fusione magnetica
Il metodo MCF non è l’unica via per la fusione magnetica. Il metodo della fusione a confinamento inerziale (Inertial Confinement Fusion – ICF) utilizza infatti un laser a impulsi che porta un pellet di combustibile ad alte densità. Le onde d’urto degli impulsi del laser riscaldano il plasma.

Esiste poi un ulteriore approccio alla fusione, chiamato Magnetized Target Fusion: una combinazione dei due metodi, quello magnetico e quello inerziale, in cui i campi magnetici confinano il plasma e lo riscaldano con il laser o con un metodo alternativo. Nell’ambito del metodo MCF, è stato di nuovo preso in considerazione il cosiddetto stellarator, che assomiglia molto al tokamak.

Sebbene esistano sottili differenze tra i due sistemi, la principale riguarda la forma delle bobine magnetiche, che determina il modo in cui lo stellarator applica le forze magnetiche al plasma. Le bobine dello stellarator sembrano un braccialetto deformato. A causa di questa forma complicata, che a sua volta influisce sull’efficacia delle forze magnetiche, lo stellarator è più complicato da costruire di un tokamak. Il Wendelstein 7-X MCF in Germania è uno stellarator che sembra pronto a conquistare la scena.

Allo stato attuale, il tokamak è il favorito in campo, soprattutto perché la ricerca, nel corso dei decenni, ha consolidato la sua promessa. Il progetto ITER, ad esempio, sarà in grado di fornire una potenza 10 volte maggiore (500 MW) di quanta ne assorbirà. La struttura testerà la produzione di trizio utilizzando mantelli di litio.

L’aspetto più interessante di ITER è che affronterà i problemi del mondo reale. Si cercherà infatti di capire come portare i suoi processi alla scala di un impianto industriale, risolvendo prima eventuali difficoltà.

ITER ha subito ritardi e costi crescenti: nel 2016, i coordinatori del progetto hanno richiesto altri 5 miliardi di euro, oltre ai 18 miliardi già spesi, per costi di personale e attrezzature. ITER ha inoltre riprogrammato il primo trial con il plasma dal 2020 al 2025. Quando finalmente il trial sarà eseguito, il progetto potrebbe darci un’idea della reale possibilità di portare sulla terra la promessa del Sole.

(lo)

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