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Square, l’azienda creata da uno dei fondatori di Twitter, consente di accettare pagamenti con carta di credito attraverso lo smartphone. Una novità che potrebbe cambiare in modo inaspettato la realtà delle transazioni bancarie.

di Jason Pontin

Nella Silicon Valley, dietro ogni startup che si rispetti c’è una storia di fondazione. Era il Natale del 2008 e Jack Dorsey, inventore e presidente di Twitter era in visita a casa dei genitori. In quel momento non aveva particolari legami. Twitter contava già 5 milioni di utenti, ma in ottobre Dorsey era stato rimpiazzato come amministratore delegato dal più chiacchierato dei cofondatori della società, Evan Williams, il personaggio che, grazie ai soldi guadagnati con una precedente azienda ceduta a Google, aveva dato inizio allo sviluppo della nuova rete di comunicazione. Interrogandosi su ciò che avrebbe potuto fare in futuro, Dorsey sentiva che sarebbe stata una cosa grande e complessa. L’economia era in piena recessione, ma era convinto che proprio quello fosse il momento giusto per iniziare una nuova avventura. «Tutto è stato spazzato via e si può ripartire da capo», spiega oggi.

Nella città di St. Louis entra in contatto con un suo conoscente, Jim McKelvey, un altro imprenditore seriale. «Jim era stato il mio primo datore di lavoro nel settore delle tecnologie», racconta Dorsey, che all’età di quindici anni scriveva per conto di McKelvey software per CD-ROM. «Non ci sentivamo da anni, ma subito abbiamo deciso che volevamo tornare a lavorare insieme. Ancora non sapevamo su che cosa, ma a quel punto ci parlavamo ogni settimana. Un giorno, a febbraio, Jim mi ha telefonato e mi ha detto: “ho appena mancato un affare da tremila dollari perché non sono in grado di accettare denaro sulla carta di credito”».

Anche McKelvey era diventato un semi-pensionato delle tecnologie: di lavoro faceva il soffiatore di vetro. «In quella occasione stavo cercando di piazzare un rubinetto in vetro a una signora che risiedeva a Panama e dal mio studio non ero in grado di trattare un pagamento con American Express. Nel pomeriggio stavo parlando con Jack sul mio cellulare ed ero colpito dall’ironia della mia situazione: avevo in mano tutto l’hardware necessario per perfezionare una vendita, eppure…»

«Ce ne stavamo lì, prosegue Dorsey, «con quei potenti computer incollati all’orecchio (entrambi utilizziamo iPhone) e così cominciai a chiedermi: “Perché Jim non è riuscito a concludere quella transazione?” E, quando venne a trovarmi a San Francisco, ci mettemmo intorno a un tavolo insieme a un programmatore per cercare di capire come avremmo potuto effettuare una transazione diretta con una carta di credito». Ci volle un mese per sviluppare il primo prototipo, anche se Dorsey ammette che in origine non aveva la minima idea di come procedere. IPhone, come fu appurato in seguito, non conteneva esattamente tutto l’hardware necessario per accettare un pagamento; McKelvey dovette prima sviluppare un lettore di banda magnetica che consentisse materialmente la strisciata con la carta del cliente. Dorsey invece sviluppò il software necessario per il server che avrebbe gestito la transazione, mentre Tristan O’Tierney si occupò dell’applicazione per iPhone.

Nel marzo del 2009 i fondatori diedero una dimostrazione del sistema nel corso di un incontro a porte chiuse organizzato dalla banca di investimento privata Allen&Company. Poi fecero il giro di tutte le importanti società di carta di credito che sarebbero state loro partner, mostrando lo stesso prototipo. Nel successivo mese di novembre furono raccolti i primi dieci milioni di dollari di finanziamento. E il primo di dicembre su Twitter apparve il primo messaggio di “@jack”: «è con profonda emozione che vi presento la nostra nuova società chiamata @Square…».

Come funziona Square per effettuare un pagamento

è una luminosa giornata invernale di gennaio quando arrivo nei nuovi uffici di Square, che occupano un intero piano della ex sede del quotidiano “San Francisco Chronicle”. Dall’impiegata, che mi ha fatto da Cicerone ricevendo i miei complimenti per l’arredamento, vengo a sapere che Dorsey è uno che tiene a questo tipo di cose. Nella sua azzeccata definizione, il quartier generale di Square ha adottato lo stile “Apple incontra Mad Man”: lunghe file di tavoli da lavoro bianchi con grandi monitor Macintosh, circondati da aule per conferenza con pareti di vetro, lampade moderniste e carta da parati a motivi geometrici. Il pavimento è in cemento levigato: i pannelli in legno originari della redazione del “Chronicle” sono stati preservati. La maggior parte dei banchi è vuota: c’è spazio per crescere.

In una delle sale per conferenza Jack Dorsey, snello 34enne dal tono di voce tranquillo e misurato e poco incline al sorriso (infrequente, ma sempre gentile), rivela di essersi presto reso conto delle molte buone ragioni per le quali una persona qualunque non è in grado di accettare pagamenti con carta di credito: il sistema di pagamento che sottende a questi strumenti è straordinariamente complesso, opaco e costoso. Quello che più conta è che da questa complessità traggono vantaggio pochi gruppi di interesse. «Se mi venisse in mente di aprire un caffè e volessi accettare le carte di credito, dato che ormai più nessuno utilizza il contante o gli assegni, dovrei prima superare questo incredibile attrito», spiega Dorsey. Per prima cosa è necessario aprire presso una banca o una cosiddetta ISO (Independent Sales Organization, organizzazione indipendente di vendita) un conto corrente come esercizio commerciale. La richiesta implica un controllo sul credito, che può durare una settimana. Si devono versare costi di avviamento compresi tra i 35 e i 40 dollari. Bisogna munirsi di terminali utente specifici, che possono costare fino a 900 dollari per un dispositivo mobile senza fili. Il costo delle transazioni parte comunque da somme tra i 15 e i 25 dollari al mese, anche quando i clienti non effettuano alcun acquisto.

«Allora eccomi qui», continua Dorsey, «con il mio bravo registratore di cassa, una semplice calcolatrice con il cassetto per il denaro, acquistato da Costco a 700 dollari. Accanto al registratore c’è questa orribile scatola in cui inserire le carte di credito. E quando finalmente qualcuno mi ordina un cappuccino devo battere sulla prima scatola l’importo, ridigitare la stessa cifra sulla scatola della carta di credito, dare da firmare al cliente il pezzo di carta uscito dalla seconda scatola e la ricevuta che esce dalla prima, per cui ti ritrovi con due scontrini e tutto è un gran casino».

«E questo solo per cominciare», aggiunge Keith Rabois, responsabile operativo della società Square ed ex direttore dello sviluppo in PayPal e LinkedIn. «Il funzionamento dell’industria del pagamento è una cortina di fumo. Tutti cercano di attirarti con tassi molto bassi, come l’1,7 per cento di margine sulla singola transazione, ma i tassi reali sono molto più elevati». Accettare un pagamento con una carta di debito pesa sul negoziante in misura inferiore; un pagamento effettuato con American Express può richiedere il versamento del 2,79 per cento di commissione; ma una carta di credito, che impone ai negozianti di finanziare le proprie campagne di compensazione della clientela, arriva a caricare il 4 per cento.

L’innovativo sistema di pagamento Square fa piazza pulita di tutto ciò. Niente verifica della solvibilità, niente hardware, nessun costo fisso. Square addebita il 2,75 per cento più 15 centesimi per ciascuna transazione, una commissione composita che le serve per ripagare i circuiti delle carte di credito e assicurarsi un profitto. Ed è tutto.

Rabois passa a una dimostrazione del funzionamento del suo prodotto. Dopo aver collegato un riquadro di plastica bianca di un paio di centimetri di lato alla presa audio dell’iPhone, lancia una app, inserisce un codice e mostra una semplice schermata grigia. Al giornalista la demo di Square costa una spesa di due dollari: Rabois prende la mia carta American Express, la fa scorrere sul lettore, anch’esso chiamato “Square”, “riquadro”. Magicamente il lettore converte in segnale elettrico i dati magnetici custoditi nella carta; la app trasforma questo segnale in un file criptato; il telefono trasmette il file ai server della centrale operativa Square, che immettono i dati della transazione nella rete del sistema globale dei pagamenti. A quel punto compare una seconda videata, altrettanto semplice, che mi invita a siglare un campo di conferma con la punta del dito. Mi viene chiesto se preferisco un ricevuta per posta o via SMS e io scelgo la prima, inserendo il mio indirizzo. Una schermata finale mi annuncia che la transazione è andata a buon fine e pochi secondi dopo la ricevuta è arrivata nella mia casella.

Ecco tutto ciò che serve per effettuare un pagamento con Square. Creare un conto personale per accettare i pagamenti è solo un poco più complicato. Non si deve far altro che scaricare dallo Store di Apple o dall’Android Market la specifica app per iPhone, iPad o per qualsiasi dispositivo Android; leggere le condizioni di contratto; inserire il nome, indirizzo, numero di telefono e codice fiscale americano; e rispondere a una serie di domande personali per verificare la propria identità. Due giorni dopo verrà consegnato per posta un lettore Square gratuito, ma è possibile accettare un pagamento fin da subito, avendo cura di inserire manualmente il numero di carta di credito insieme alla data di scadenza, al codice di sicurezza e al codice postale del titolare. Attraverso un messaggio di mail, l’esercente viene invitato a fornire il codice bancario del suo conto corrente accedendo a un sito Web sicuro.

Tutte queste operazioni appaiono sorprendentemente accattivanti. Square è una tecnologia elegante: il fluire della procedura di pagamento e del resto dell’applicazione si cristallizza in pochi, essenziali passi. Di per sé l’applicativo Square comporta pochissime funzioni. L’enfasi sull’essenzialità viene direttamente da Dorsey che ammette: «Sono sempre stato bravo a semplificare le cose». La sua filosofia è che il design industriale ottiene la fiducia dei clienti solo mettendosi completamente da parte, quasi sparendo.

«In genere si pensa al design come a qualcosa di visivo, ma per me è una questione “redazionale”: che cosa dobbiamo rimuovere per andare all’essenza di ciò che si sta cercando di fare? Quello che amo in un prodotto davvero ben ingegnerizzato è che non si deve pensare a questo prodotto. Steve Jobs è un grande redattore: quando si usa un iPhone la forma si fa da parte e si deve pensare solo al contenuto. La stessa cosa è successa con Twitter. Con Square, cerchiamo di accettare dei pagamenti. Dobbiamo rivolgerci a due gruppi di persone: i nostri clienti, gli esercenti, e i loro clienti, i consumatori. Vogliamo che il commerciante sia focalizzato sul pagamento da accettare. Per quanto riguarda me, l’acquirente, voglio poter essere in grado di entrare in un bar, gustarmi il mio caffè e uscire, dovendo chiedere al massimo se ho già saldato il conto o no».

Rapporti di Square con i clienti

Square è figlio di due tendenze, una tecnologica, l’altra sociale: la proliferazione dei dispositivi digitali connessi a una rete e il declino dei pegamenti in contante in favore delle carte di credito (grafici a pag. 69).

Inserire un lettore magnetico nella presa audio di un telefonino di ultima generazione è un modo ancora più intelligente di gestire un pagamento con carta. Ma Square non è una azienda che produce hardware: il presupposto di tutto è che in futuro saranno sempre più numerosi i telefonini con lettore incorporato; forse tecnologie emergenti come le comunicazioni near field, a cortissimo raggio, capaci di trasmettere le informazioni attraverso brevi distanze, elimineranno del tutto i lettori. La piccola appendice di plastica escogitata da Square ha poca importanza; serve solo per rendere evidente la possibilità di accettare un pagamento per chiunque possegga un telefono cellulare. Square è una azienda di software che ha ideato una modalità innovativa, di rivoluzionaria semplicità, per processare un pagamento elettronico.

Il brand ha già attirato l’interesse di una grande quantità di persone che si dicono entusiaste di quello che dopotutto è solo un servizio finanziario. Al programma pilota, lanciato subito dopo l’annuncio di Dorsey apparso su Twitter, hanno aderito 50 mila persone. Tra ottobre, data di lancio ufficiale, e dicembre Square ha attivato centomila conti esercente. Nel solo mese di gennaio le attivazioni sono state 65 mila. Rabois afferma che oggi l’azienda confida di raggiungere il miliardo di dollari di transazioni entro il 2011 (non sarà facile, al momento vengono processati dai 2 ai 10 milioni di dollari a settimana).

Ayr Muir, fondatore della Clover Food Lab, una società che gestisce una catena di punti di ristoro mobili e un ristorante nell’area di Boston, è uno dei partecipanti al progetto pilota organizzato da Square. «I sistemi di carta di credito sono tremendi», afferma Muir, laureato presso il MIT e la Harvard Business School ed ex consulente per McKinsey. «Per noi esercenti le organizzazioni di vendita (ISO) sono oscure, poco trasparenti, praticano tassi troppo esosi e alla fine si è costretti a pagare molto più di quello che si pensa. Tutto è così caro. Avevamo tutti un iPhone o un iPad a di-sposizione e disporre di uno strumento di pagamento alternativo ci sembrava un’ottima idea».

Ma il sistema è stato concepito per servire a una categoria di utenza ancora più ampia rispetto ai piccoli esercenti come Muir, che già dispongono di un terminale mobile di pagamento. Le ambizioni nutrite da questa startup sono praticamente senza limiti. Secondo Rabois i primi clienti potenziali sono quei 27 milioni di americani che non sono in grado di accettare una carta di credito come strumento di pagamento. In più ci sono altri 33 milioni di persone che occasionalmente devono vendere un bene o un servizio e vengono pagati in contanti e assegni. Ci sono milioni di titolari di una attività che come Muir hanno già un Pos, un terminale di pagamento, ma vogliono disporre di soluzioni mobili più semplici. Inoltre Square è intenzionata a offrire i propri sistemi di pagamento fuori dagli Stati Uniti, già a partire dal 2012.

Per Dorsey è una questione di ubiquità. «Con Square accadrà quello che è avvenuto con Twitter», riflette. »Stiamo costruendo una utility, una rete di servizio. Square è in grado di passare dal singolo esercizio commerciale – chi vuole vendere il divano su un sito di piccoli annunci o vuole dare lezioni di piano – allo studio professionale di un avvocato, di un medico, di un arredatore, fino ai punti vendita già affermati come i bar o i ristoratori ambulanti».

L’elenco di convinti utilizzatori, che si allunga ogni giorno di più, il grande potenziale di mercato e la notorietà del suo fondatore, hanno fatto di Square uno delle prede più ricercate per i finanziatori della Silicon Valley. Nel complesso la startup ha raccolto 37,5 milioni di dollari da fondi come Sequoia Capital, Khosla Ventures, J.P. Morgan Chase e una lunga sequela di imprenditori famosi e “angeli” investitori, molti dei quali amici personali di Dorsey (nella Valley è opinione diffusa che la sostituzione di “@jack” da parte di “@ev” a Twitter sia stata una grave ingiustizia). Il “Wall Street Journal” ha riportato una valutazione di Square a 240 milioni di dollari, una somma enorme per una azienda così giovane.

Un altro genere di consenso è arrivato dalle grandi corporations che stanno ingrossando le fila del settore dei pagamenti mobili. VeriFone ha lanciato Payware Mobile, Intuit GoPayment; TF Payments ha inventato FocusPay: tutti sistemi che permettono di accettare pagamenti con carta di credito collegando un lettore allo smartphone. Queste grandi aziende hanno seguito le stesse linee di tendenza che hanno generato una iniziativa come Square e sanno che l’ammontare dei pagamenti mobili su scala mondiale ha raggiunto un totale di 79 miliardi di dollari nel 2010. Totale che dovrebbe aumentare a 119 miliardi nel 2011 (grafici a pag. 69).

Rabois afferma di non essere preoccupato dalla concorrenza da parte dei più grandi. L’hardware proposto può assomigliare a quello escogitato da Square, ma nessuno sta offrendo un sistema di pagamento davvero innovativo. Come i tradizionali ISO, si limitano a piazzare sul mercato dei conti correnti per esercenti, accompagnandoli con la complessità, la mancanza di trasparenza e le spese fisse dei metodi convenzionali. «Mi preoccupo piuttosto di questioni interne, come offrire un prodotto completamente privo di difetti», sottolinea Rabois.

I problemi tecnici dell’avviamento

Rabois fa bene a preoccuparsi, perché sul lancio di Square hanno pesato diverse difficoltà iniziali.

I partecipanti al progetto pilota hanno dovuto attendere più del dovuto prima di ricevere il loro terminale Square. Quando i lettori sono finalmente arrivati, non erano molto facili da usare. Dato che la testina utilizzata per la lettura dei dati era molto più piccola rispetto alle testine convenzionali, spesso i dati della carta non venivano acquisiti e il negoziante era costretto a effettuare ripetutamente la strisciata. Inoltre, la prima versione di Square non poteva lavorare con i bordi metallici che fanno da antenna per l’Apple iPhone4 e molti utenti, per colmo di ironia, dovevano ricorrere al trucco di un pezzo di carta da frapporre tra il lettore e il telefonino. Non mancavano neppure i problemi sul versante della gestione del rischio frodi: per ridurre la potenziale esposizione, nei primi tempi Square imponeva un limite di 100 dollari come ammontare massimo delle transazioni, limitando molto le possibilità di impiego.

Alcuni dei primissimi clienti erano rimasti delusi della presenza di questi difetti. «Ero costretto a strisciare le carte, due, tre, anche sette volte», ricorda il responsabile della Clover, Muir, «mi sentivo molto goffo». Pur plaudendo alla semplicità del servizio escogitato da Square, Muir dice che, a suo parere, «dovrebbe fare solo due o tre cose, ma tutto deve essere perfetto». Nella lista dei desiderata compaiono la velocità, l’affidabilità e una maggiore “equità di prezzo”. Le commissioni applicate, prosegue l’esercente, non dovrebbero superare quelle pubblicizzate dagli ISO e dalle banche: per chi vende un tramezzino a 5 dollari un tasso pari al 2,75 per cento più 15 centesimi è troppo caro. Square potrebbe replicare che la reale entità delle commissioni versate supera la soglia del 2,75 per cento per molte transazioni, ma questi costi non appaiono per la scarsa trasparenza del sistema. «Se provate a parlare con loro», sottolinea Dorsey, «la maggior parte degli esercenti ignora quanto stanno effettivamente pagando». Muir però chiude osservando che «il settore dei pagamenti è molto confuso e qualcuno dovrà pur risolvere il problema, ma non so se si tratterà di Square, Verifone o qualcun altro». Al momento si serve di Square solo per le emergenze, in caso di guasti al terminale principale.

La dirigenza di Square afferma di aver rimediato ai problemi iniziali, ma non intende rinunciare alla formula della commissione composita. McKelvey, fino a poco fa responsabile dell’hardware sviluppato da Square, ha ingrandito le dimensioni del lettore e i suoi ingegneri hanno migliorato la capacità di trattamento del segnale da parte della app: oggi per leggere una carta basta quasi sempre una sola strisciata. Square ha rinunciato al limite di 100 dollari come importo massimo transato, alquanto impopolare, e al suo posto ha introdotto un concetto di “soglia”: un utente che accetti pagamenti per più di mille dollari a settimana non viene ripagato immediatamente: se viene scelta l’opzione per cui i fondi devono essere stornati all’esercente, la somma viene trattenuta per trenta giorni. Questa soglia viene innalzata quando il cliente fornisce a Square una serie di informazioni aggiuntive o se si dimostra affidabile nel tempo (un altro genere di informazione, dopotutto).

Dorsey sostiene con forza di non essere eccessivamente preoccupato degli eventuali errori commessi dalla sua azienda. «Penso anzi che dobbiamo fare moltissimi errori e farne tesoro», afferma. «Gli errori sono una gran cosa se i clienti non vengono danneggiati».

Le prospettive di Square e il valore dei dati

Il rubinetto in vetro di McKelvey, un oggetto molto bello, spiraleggiante e color oro-arancio, oggi si trova nel quartier generale dell’azienda, installato dietro il bancone di un bar. Dorsey lo ha acquistato da McKelvey, pagando con Square.

Rendere semplice e trasparente un sistema che prima era complesso e opaco può avere un valore e una sua bellezza, ma non è questo che fa di Square un caso tanto interessante. All’origine del suo fascino c’è la possibilità di digitalizzare i pagamenti oggi effettuati in contanti o con assegni e di analizzare i dati per estrarne informazioni preziose. «Il 94 per cento delle transazioni avvengono off line», precisa Dorsey, scuotendo il capo al pensiero delle opportunità.

Sicuramente è questo il vero motivo per cui gli investitori di Square sono tanto interessati. Gideon Yu, che è stato responsabile finanziario di Facebook e tesoriere di Yahoo e oggi è uno dei partner di Khosla Ventures, trascorre un giorno alla settimana a curare gli interessi del suo fondo. A suo parere, «i problemi complessi sono necessari, ma non sufficienti per creare una opportunità. In futuro, saranno l’informazione e i relativi vantaggi analitici che Square è in grado di offrire a costituire il principale motore di creazione del valore».

Nessuno, in azienda, è in grado di misurare il reale “valore” di queste informazioni. è opinione diffusa che una volta che i servizi di Square saranno adottati su ampia scala potranno succedere cose sorprendenti, come è avvenuto a Twitter quando è diventato un fenomeno così diffuso. Yu propone questo esempio: «Si pensi a ciò che da solo potrebbe diventare un business da un miliardo di dollari: la possibilità di combinare i dati relativi alle transazioni effettuate, alla posizione geografica, alle relazioni sociali e analizzarli per ottenere un quadro molto più variegato e multidimensionale della propensione alla spesa».

Dorsey ipotizza un altro scenario. «L’aspetto più interessante è il dato. Si immagini di disporre di una statistica stile Google Analytics per la vostra caffetteria, non solo il numero di persone che hanno acquistato il vostro cappuccino, ma quali ore della giornata sono le più affollate e quanti clienti hanno acquistato dei biscotti insieme al cappuccino. Informazioni che oggi hanno solo i siti Web, che forse solo catene come Starbucks e Peet’s possono parzialmente avere, ma che la maggior parte dei negozi non hanno. Gli esercizi commerciali hanno bisogno di informazioni per crescere. Informazioni con cui si possono prendere decisioni critiche. Siamo i soli a disporre di dati dettagliati su quanto viene venduto o acquistato».

Dorsey comincia a parlare di tutte queste più ampie opportunità quando arrivo all’ultima domanda, la più difficile e personale: perché Square dopo Twitter? «Le mie radici sono nelle transazioni in tempo reale», afferma. Ed è vero: dopo avere abbandonato la New York University, aveva traslocato a Oakland per sviluppare software di instradamento di messaggi. «Mi piacciono queste operazioni di basso livello. Twitter è stato pensato per ridurre al minimo l’attrito sui canali di comunicazione. Ma di innovazioni che riguardano il settore delle comunicazioni ce ne sono a bizzeffe negli ultimi cento anni e molte di loro nascono da progetti bellissimi. Mentre non possiamo dire la stessa cosa per i pagamenti. Quando penso alle tante opportunità di ridisegnarli, per andare alla loro essenza, non mi risulta che altri abbiano mai realizzato qualcosa del genere». Dorsey mi chiede di cercare di visualizzare per un istante una mappa in tempo reale di come la gente sta spendendo il suo denaro e conclude: «L’acquisto è il migliore indicatore dell’interesse nei confronti di qualcosa».

L’intervista è finita ed è l’orario di fine lavoro del venerdì. Vengo invitato a restare per il “Town Square”, l’incontro aziendale che conclude la settimana negli uffici di Square. Le sedie vengono disposte in circolo, le bottigliette della birreria locale vengono stappate, si beve del vino. è in occasioni come queste che Dorsey incita i suoi dipendenti. Ma oggi, in omaggio alla propria filosofia manageriale del CEO che indossa i panni del redattore Zen, rimane a lungo in silenzio, accontentandosi di ascoltare gli impiegati che parlano del loro lavoro. Dorsey si limita a presentare i dati sul volume e il numero delle tran-sazioni processate; il responsabile della grafica aziendale illustra i piccoli ritocchi apportati a un logotipo già austero; uno degli addetti alle relazioni con la clientela mostra il funzionamento dell’interfaccia per l’assistenza on line.

Il tipico gruppo di giovani cool: i ragazzi con i loro occhiali Buddy Holly e i jeans a cavallo basso ostentano pizzetti e tatuaggi; le ragazze, che indossano scarpe basse e jeans attillati, portano tutte la frangetta. E i tatuaggi. Se questa fosse Brooklyn, sarebbero un gruppo di artisti disincantati. Ma questa è San Francisco, qui tutti lavorano per una startup tecnologica e io li ho ascoltati mentre applaudivano gli improvvisati conferenzieri, apertamente sinceri nel loro entusiasmo per Jack Dorsey e il suo sogno: mettere un po’ di bellezza nei pagamenti.