Perché gli Stati Uniti non potranno tornare al lavoro entro Pasqua

C’è una lacuna nei dati che potrebbero aiutarci a capire l’epidemia di Covid-19, ma sfortunatamente, questa mancanza è stata male interpretata dai politici.

di Michael Reilly

Il presidente Donald Trump è impaziente di risolvere l’epidemia di Covid-19. Il 24 marzo ha espresso la speranza che, entro Pasqua, il 12 aprile, gli Stati Uniti possano “riaprire tutto e ripartire”. Per la maggior parte degli esperti di salute pubblica, si tratta di poco più di una fantasia. La Cina ha impiegato due mesi di blocco rigorosamente imposto per far scendere il flusso di nuovi casi.

La provincia di Hubei ha iniziato ad allentare le restrizioni ai movimenti proprio questa settimana. Negli Stati Uniti, al contrario, solo alcuni stati e contee hanno ordinato di stare a casa, e il primo provvedimento, in California, risale appena alla settimana scorsa. L’America ha ormai superato la Cina in casi confermati di Covid-19, con oltre 85.000 al momento della stesura di questo documento, e la curva sta accelerando.

Anche se gli Stati Uniti imponessero (e fossero in gradi di imporre) un blocco in stile cinese tra oggi e Pasqua, la diffusione della malattia non rallenterebbe abbastanza da giustificare l’eliminazione delle restrizioni e, dopo la loro fine, il tasso di nuove infezioni potrebbe salire alle stelle di nuovo.

In un autorevole rapporto pubblicato la scorsa settimana, i ricercatori dell’Imperial College di Londra hanno predetto che per tenere sotto controllo la pandemia, paesi come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti dovranno mantenere le distanze sociali per periodi da due a tre mesi alla volta, con un mese di tregua, fino a quando non verrà trovato un vaccino o una cura, forse 18 mesi.

Eppure negli ultimi giorni un modesto, ma crescente coro di esperti “scettici” ha suggerito che tali misure potrebbero essere inutilmente draconiane. In realtà, potrebbero esserci un numero insospettabile di casi non registrati di Covid-19: persone con coronavirus che non hanno sviluppato sintomi, o ne hanno di lievi.

Se questo fosse vero, sarebbe un dato di grande importanza. Innanzitutto, significherebbe che la malattia uccide molto meno del 3-4 per cento dei contagiati, come suggerito da alcuni numeri preliminari. Forse, dicono alcuni di questi esperti, non è molto più pericoloso dell’influenza, che ha un tasso di mortalità media di circa lo 0,1 per cento.

In secondo luogo, significherebbe che potremmo essere molto più vicini di quanto pensiamo alla cosiddetta immunità di gregge, il punto in cui talmente tante persone hanno il Covid-19 da frenare il tasso di nuove infezioni perché il virus ha difficoltà a trovare nuovi ospiti da infettare. Entrambi questi fattori significherebbero che potremmo riavviare l’economia e la normale vita sociale molto prima.

Le prove a sostegno di tali affermazioni sono frammentarie, ma non trascurabili. Adam Kucharski, un epidemiologo della London School of Hygiene & Tropical Medicine, ha citato questa settimana su “Twitter”, alcuni studi preliminari relativi alla nave da crociera Diamond Princess, ai voli di evacuazione e alle altre situazioni di crisi in cui esistono dati affidabili sul contagio.

In quella crociera sfortunata, circa il 50 per cento di tutte le infezioni sembra essere stato asintomatico, mentre altre ricerche suggeriscono che il tasso si dovrebbe avvicinare a 1 su 5 casi. In una ricerca che ha approfondito la diffusione del virus a Wuhan prima che la città fosse isolata, si sostiene che quasi il 90 per cento dei casi totali non è documentato (Ciò non equivale a dire che questo 90 per cento sia asintomatico, ma suggerisce che il virus ha una sostanziale capacità di circolare inosservato).

Uno studio dei ricercatori dell’Università di Oxford, pubblicato il 24 marzo, indica che fino a metà della popolazione britannica potrebbe già essere infetto. (Si veda figura 1)

Figura 1

Il grafico vuole mostrare quante persone nel Regno Unito potrebbero essere state contagiate dal SARS-CoV-2 in base a diverse caratteristiche presunte del virus. Il nuovo studio, condotto da Sunetra Gupta, una epidemiologa teorica, si basa su delle ipotesi. La docente dell’Università di Oxford ha preso il numero effettivo di decessi per le epidemie di Covid-19 in Italia e nel Regno Unito e ha dedotto il numero di contagi necessari a provocare quei decessi, usando una serie di ipotesi sulla velocità con cui il virus si diffonde (R0 nel grafico, vale a dire un numero più elevato indica una diffusione più rapida) e la percentuale di persone che presenta sintomi gravi.

A partire da questo, i ricercatori hanno determinato quanta parte della popolazione sia stata contagiata: la proportion susceptible dell’ordinata. Le linee arancioni e gialle sono quelle che hanno attirato l’attenzione dei media, perché suggeriscono che tra un quarto e metà della popolazione del Regno Unito potrebbe già essere stata contagiata.

Se l’ipotesi fosse vera, sarebbe una scoperta drammatica. Ma al momento rimane solo una possibilità. Il nodo del problema consiste appunto in questa carenza dei dati a disposizione. Considerando che la maggior parte dei paesi ha portato avanti i test con grande lentezza e gran parte delle persone chiede un test solo quando ha sintomi evidenti della malattia, è ovvio che ci siano più casi di quelli ufficiali. Quello che non possiamo sapere, perché non stiamo testando abbastanza persone, è se ce ne sono tre volte di più, 10 volte di più o 100 volte di più.

Questo è l’argomento degli “scettici”. A loro parere, i casi che stiamo vedendo rappresentano solo la punta grave di un grandissimo iceberg di casi lievi o asintomatici che, come pensano la maggior parte degli esperti, l’inizio di un’ondata di casi gravi. In un articolo su “STAT”, l’epidemiologo di Stanford John Ioannidis ha definito la pandemia una costruzione legata a una serie di prove artefatte e ha indicato che i dati della Diamond Princess e di altre situazioni mostravano una malattia molto meno mortale.

Alcuni colleghi di Ioannidis ne hanno condiviso la linea di pensiero in un articolo per il “Wall Street Journal”. Ioannidis ha scritto: “Se la pandemia viene meno, da sola o a causa delle misure prese, il distanziamento sociale a breve termine può risultare sopportabile. Per quanto tempo, tuttavia, dovranno essere mantenute queste misure se la pandemia si diffonde in tutto il mondo senza sosta? Come fanno i politici a dire che i vantaggi dei loro provvedimenti sono superiori agli svantaggi?”.

Le diverse prospettive rappresentano un dibattito assolutamente legittimo e salutare tra gli scienziati su una malattia emergente che è nota al mondo da soli quattro mesi. Il problema è l’interpretazione che ne danno i politici. Ioannidis ha pubblicato il suo articolo il 17 marzo. Pochi giorni dopo, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha scritto un tweet in cui sosteneva che dopo i 15 giorni di blocco si sarebbe dovuto assolutamente ripartire.

Gli scettici, in realtà, non stanno dicendo “Uscite da casa”, ma invitano a testare più persone per scoprire se i dati a disposizione siano giusti o poco veritieri”. Ciò significa non solo testare le persone per confermare una diagnosi di Covid-19, una pratica ancora limitata in gran parte degli Stati Uniti, ma anche analisi del sangue a campione della popolazione per registrare la presenza di anticorpi che dimostrano l’avvenuto contagio in passato.

Si tratterebbe di una specie di sondaggio seriologico condotto su alcune migliaia di persone per valutare la situazione dell’intero paese, che dovrebbe fornire una stima affidabile di quale percentuale della popolazione ha subito il contagio e si è ripresa. I test sugli anticorpi sono in procinto di essere ampiamente diffusi nel Regno Unito e possono essere utilizzati a casa da chiunque. Insieme a studi più rigorosi, potrebbero fornire i dati vitali di cui abbiamo bisogno per capire la diffusione del virus e il modo migliore per combatterlo.

Tutti vogliono tornare al lavoro. Tutti vogliono poter uscire e andare al ristorante, al bar o fare una passeggiata. Ma farlo senza sapere se stiamo contribuendo alla diffusione di un virus che potrebbe uccidere molte persone nella nostra comunità sarebbe irresponsabile.

Gupta e il suo team lo stanno dicendo da tempo. I notiziari in genere non menzionano i titoli degli articoli scientifici per una buona ragione: utilizzano un linguaggio tecnico poco comprensibile ai cittadini. Gupta e il suo team, invece, sono decisamente chiari: “I principi fondamentali della diffusione dell’epidemia evidenziano la necessità immediata di indagini sierologiche su larga scala per valutare lo stadio dell’epidemia di SARS-CoV-2”. Inequivocabile.

Foto: Getty Images

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