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L’Europa dà un giro di vite alle auto elettriche cinesi

La Commissione europea avvierà un’indagine anti-sovvenzioni contro le case automobilistiche cinesi, che potrebbe portare a un aumento dei dazi sulle importazioni di veicoli elettrici.

Arriva un freno per le aziende cinesi di veicoli elettrici. Il 13 settembre, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha annunciato che la Commissione sta avviando una “indagine anti-sovvenzioni sui veicoli elettrici provenienti dalla Cina”.

La mossa, che potrebbe avere serie conseguenze per le case automobilistiche globali, era in preparazione da tempo.

Negli ultimi anni, la Cina è diventata un importante esportatore di automobili, soprattutto grazie al dominio del Paese nella produzione di veicoli elettrici. MG, un tempo marchio britannico di auto sportive che dal 2005 è di proprietà di un’azienda cinese, ha registrato il secondo più alto incremento di quota di mercato in Europa nella prima metà del 2023, mentre anche altre aziende cinesi, come BYD e Nio, hanno registrato importanti guadagni nel mercato europeo. Questa crescita ha messo in allarme l’industria automobilistica nazionale del continente, che è responsabile di oltre il 6% dell’occupazione totale nell’Unione Europea.

“A mio parere, questo annuncio è solo la prima di numerose misure che l’Europa prenderà in considerazione per proteggere la sua industria locale”, afferma Felipe Muñoz, analista senior della società di consulenza londinese JATO Dynamics.

Al di là della concorrenza, l’indagine ha anche una valenza politica, sostiene Ilaria Mazzocco, senior fellow del Center for Strategic and International Studies e coautrice di un recente rapporto sulle esportazioni cinesi di veicoli elettrici. “Penso che sia una risposta alle preoccupazioni che l’Europa sia troppo dipendente dalla Cina”, dice, “e che i benefici della decarbonizzazione stiano arrivando più alla Cina che all’Unione Europea”.

A prescindere da come andrà a finire, un’inchiesta ufficiale potrebbe danneggiare l’espansione del settore dei veicoli elettrici cinesi in un momento critico. È la prima volta nella storia che i marchi automobilistici cinesi hanno una discreta possibilità di battere i marchi stranieri sul loro territorio nazionale, come ha riferito MIT Technology Review a febbraio. Ma l’indagine, e potenzialmente altre che arriveranno da altri Paesi che cercano di competere nel campo dei veicoli elettrici, potrebbero fermare la loro espansione prima ancora che inizi seriamente. Già nelle prime 24 ore dopo il discorso della von der Leyen, SAIC e BYD, le due aziende automobilistiche cinesi che hanno ottenuto i migliori risultati in Europa, hanno visto i loro titoli scendere di oltre il 3%.

Un panorama competitivo in evoluzione

La preoccupazione alla base dell’indagine è l’impatto dei veicoli elettrici cinesi sull’economia europea, in particolare sull’industria automobilistica leader a livello mondiale.

Tradizionalmente, l’Europa ha esportato in Cina molte più auto di quante ne abbia importate, ma il surplus commerciale è diventato negativo per la prima volta nel dicembre 2022. Poiché la Cina è riuscita ad avere la meglio nella tecnologia dei veicoli elettrici e delle batterie, sia i marchi cinesi sia quelli occidentali, come Tesla, hanno incrementato la loro capacità di produzione di veicoli elettrici all’interno della Cina, e alcuni dei prodotti vengono poi inviati per la vendita in Europa.

L’Europa è attualmente un mercato di esportazione ideale per i veicoli elettrici cinesi, sostiene Zhang Xiang, analista dell’industria automobilistica cinese e visiting professor presso lo Huanghe Science and Technology College. Gli europei sono più benestanti rispetto a utenti degli altri mercati e ricevono sussidi più elevati dal governo per l’acquisto di veicoli elettrici, osserva, e i sussidi compensano i pesanti costi di spedizione delle auto. Ecco perché quasi la metà delle auto esportate dalla Cina viene venduta sul mercato europeo, spiega Zhang.

Dato il notevole vantaggio della Cina nel commercio di auto elettriche, sembra improbabile che le case automobilistiche europee possano recuperare rapidamente il ritardo sul fronte tecnologico, per cui il vantaggio della Cina è destinato a crescere.

A lungo termine, si potrebbe arrivare a un punto in cui BYD sarà in grado di vendere le sue auto in modo redditizio in Europa, pur mantenendo il prezzo inferiore al costo di produzione per le aziende automobilistiche europee, sostiene John Lee, ricercatore con sede a Berlino e direttore della società di consulenza East West Futures. E questo, aggiunge, significherebbe la rovina per i brand del Vecchio Continente: “Se non si riesce a vendere a un prezzo che sia competitivo rispetto ai propri rivali senza perdere soldi con la produzione, si entra in una spirale mortale”.

La minaccia dei concorrenti cinesi è così pressante che, secondo gli osservatori, potrebbe essere una circostanza di vita o di morte per noti marchi europei come Volkswagen, la più grande casa automobilistica del mondo.

“Il crollo della Volkswagen è uno scenario estremo, ma plausibile, e poi ci sono gli effetti a cascata”, afferma Lee. “Il settore dell’auto in Europa è piuttosto transnazionale. I pezzi di ricambio vengono prodotti nell’Europa orientale e centrale, con la Germania come hub. Ciò significa che c’è un potenziale flusso di effetti verso la Polonia, l’Ungheria e altri luoghi che producono componenti”.

Accuse di concorrenza sleale

Finora, gli unici dettagli ufficiali noti sull’indagine sono le parole pronunciate dalla von der Leyen nel suo discorso: “I mercati globali sono inondati da auto elettriche cinesi economiche. E il loro prezzo è tenuto artificialmente basso da enormi sussidi statali”.

Sarà compito della Cina dimostrare che il prezzo dei veicoli elettrici cinesi non è sovvenzionato. Sarà un’impresa ardua, poiché è risaputo che il continuo sostegno statale è stato un fattore determinante per il successo dell’industria cinese dei veicoli elettrici.

Mentre il sussidio più esplicito del governo cinese – un credito d’acquisto una tantum per i consumatori – è terminato nel 2022, ci sono molti altri sussidi impliciti ancora in vigore nel Paese, afferma Mazzocco. Ad esempio, crediti fuori mercato, azioni fuori mercato, tariffe negoziate per l’affitto di terreni e sgravi fiscali ad hoc concessi dai governi locali.

“Un anno fa abbiamo cercato di quantificare la spesa per la politica industriale dei veicoli elettrici in diversi Paesi e abbiamo scoperto che il credito fuori mercato è stato lo strumento più significativo utilizzato in Cina, ed è stato massiccio rispetto a tutti gli altri Paesi”, afferma l’autrice. “Quindi penso che se vogliono trovare dei sussidi, li troveranno”.

Se l’indagine dovesse accertare che le aziende cinesi godono effettivamente di un vantaggio sleale, i funzionari europei potrebbero istituire un dazio d’importazione più elevato sui veicoli elettrici cinesi. Secondo Alicia Garcia-Herrero, capo economista per l’Asia-Pacifico di Natixis, una società di gestione degli investimenti, che in passato ha fornito consulenza alla Commissione europea, un’indagine completa potrebbe durare circa un anno.

Il parallelo storico più vicino è l’indagine dell’UE del 2012 sulle sovvenzioni statali cinesi nel settore dei pannelli solari. L’indagine ha quasi portato a una tariffa del 47% sui pannelli solari importati dalla Cina, ma la controversia commerciale è stata risolta all’ultimo minuto.

La Cina potrebbe non essere così fortunata questa volta, afferma Garcia-Herrero. In quel caso, il governo cinese ha fatto leva sul suo impatto sulle aziende europee e ha permesso loro di convincere i politici a fare marcia indietro. Ma le aziende automobilistiche europee, più preoccupate per la loro sopravvivenza, sono meno propense a moderare le indagini.

Il dilemma dei marchi automobilistici europei

In linea di massima, le case automobilistiche europee trarrebbero vantaggio dall’indebolimento della concorrenza cinese, ma colpire le aziende cinesi potrebbe anche ritorcersi contro in qualche modo; molti marchi europei hanno investimenti significativi in Cina o collaborano con marchi cinesi.

Secondo un’analisi dei dati di Mazzocco, la metà dei veicoli elettrici esportati dalla Cina sono in realtà prodotti da aziende straniere o da joint venture. Nei primi sei mesi del 2023, il 39,2% delle esportazioni cinesi di veicoli elettrici erano Tesla, mentre le joint venture tra aziende europee e cinesi ne rappresentavano il 9,5%.

“Le aziende occidentali che producono in Cina rappresentano una parte molto significativa di queste esportazioni. E allo stesso tempo sono anche le aziende che queste tariffe dovrebbero proteggere. Si crea quindi uno strano dilemma”, afferma Mazzocco.

Anche all’interno dell’Europa i marchi hanno incentivi diversi a causa delle diverse relazioni con il mercato cinese. I marchi tedeschi, tra cui Volkswagen, hanno aumentato i loro investimenti nel Paese, compresi quelli nella produzione di veicoli elettrici; nel frattempo Stellantis, che possiede marchi come Jeep, Chrysler e Peugeot, si sta ritirando dal mercato cinese.

I diversi livelli di esposizione sono importanti perché se la Commissione europea dovesse istituire dei dazi, è quasi certo che la Cina reagirà con qualche tipo di contromisura, che a sua volta danneggerebbe i marchi europei che hanno un rapporto più profondo con il mercato cinese.

La svolta politica

Per molto tempo, l’Europa si è dimostrata più amichevole nei confronti delle aziende cinesi rispetto agli Stati Uniti. Questo è uno dei motivi per cui i marchi cinesi di veicoli elettrici hanno scelto il Vecchio Continente come prima tappa per espandersi nei mercati occidentali.

“Lo si vede dal numero di marchi cinesi disponibili negli Stati Uniti: zero. Mentre in Europa ci sono già più di 15 marchi cinesi”, afferma Muñoz, analista con sede a Londra. Ma questa cordialità si è sviluppata quando gli europei non vedevano la minaccia dei marchi automobilistici cinesi. “Mi piacerebbe vedere quanto questa amicizia continuerà quando i marchi cinesi conquisteranno nuove quote di mercato”, afferma Muñoz.

Anche l’ambiente politico europeo è diventato più critico nei confronti della Cina, il che “costringe i politici ad adottare misure come questa”, afferma Lee.

“Negli ultimi anni c’è stato un forte inasprimento nei confronti della Cina”, afferma, “e questo è un contesto politico rilevante per adottare misure più ambiziose e lungimiranti in un settore particolare, come quello dei veicoli elettrici, che hanno come obiettivo la Cina”.

Tuttavia, l’Europa non ha chiuso le porte alla Cina nella stessa misura in cui le hanno chiuse gli Stati Uniti, almeno non ancora, il che significa che l’indagine antisovvenzioni potrebbe condurre le aziende cinesi su due strade molto diverse.

Se le tensioni geopolitiche tra Europa e Cina continueranno a crescere, i marchi cinesi di veicoli elettrici potrebbero semplicemente essere disinteressati a investire in Europa, così come per ora si sono astenuti dall’entrare nel mercato statunitense.

“Se la porta dell’Europa viene chiusa, i marchi cinesi di veicoli elettrici dovranno scegliere i mercati più piccoli, come il Sud-Est asiatico, il Sud America e il Medio Oriente”, afferma Zhang. “Sarà un duro colpo per il processo di globalizzazione delle auto cinesi”.

D’altra parte, indagini come questa possono essere viste come un invito per le aziende cinesi a insediarsi nei Paesi europei. Alcune aziende cinesi di veicoli elettrici sono già in fase esplorativa per la costruzione di fabbriche in Europa. Se si realizzassero questi piani, non solo si dimostrerebbe il loro contributo all’occupazione e alla fiscalità locale, ma si eviterebbero anche le future tariffe doganali. “Ci sono stati annunci sulla costruzione di fabbriche cinesi, ma dobbiamo ancora vederli realizzati”, afferma Muñoz.

In ogni caso, l’indagine potrebbe avere un effetto a catena, avverte Garcia-Herrero. Altri Paesi, come il Brasile, hanno ambizioni di creare un’industria nazionale di veicoli elettrici e potrebbero ispirarsi alle autorità di regolamentazione europee nel colpire la Cina. “Almeno i Paesi che sono in grado di produrre i propri veicoli potrebbero iniziare a fare lo stesso”, afferma l’esperta.

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