La pelle di vetro

di Giuseppe Gigli, Alessandro Cannavale, Michele Manca

Una casa con vetri camaleontici sulle facciate, che cambiano colore per soddisfare le più svariate esigenze funzionali e/o estetiche, pronti a instaurare un dialogo continuo con l’ambiente circostante, recependo le variazioni di radiazione solare incidente così da modulare l’intensità e il colore della luce trasmessa in maniera intelligente. E ancora vetri capaci di produrre energia elettrica a partire dalla medesima radiazione solare, filtrata o assorbita. Se non bastasse, così intelligenti da utilizzare la stessa energia accumulata per alimentare all’occorrenza moderni sistemi di illuminazione costituiti da sottili pellicole a LED organici direttamente integrati nelle lastre di vetro.

Gli studi condotti presso il Centro di Nanotecnologie Biomolecolari dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT), in sinergia con i ricercatori del Laboratorio Nazionale di Nanotecnologie (NNL) del CNR-INFM di Lecce, sono orientate allo sviluppo di sistemi smart multifunzionali direttamente integrati in componenti edili avanzati, con l’obiettivo di offrire all’involucro edilizio del futuro la capacità di soddisfare, contemporaneamente, molteplici requisiti nell’ottica dell’ecoeffectiveness.

Si tratta di sistemi che si avvantaggiano delle eccezionali opportunità offerte dal recente sviluppo delle nanotecnologie e, soprattutto, possono essere realizzati mediante processi a basse temperature che ne rendono possibile l’utilizzo su supporti plastici e/o flessibili. In particolare, la conversione fotovoltaica della radiazione incidente ha luogo per mezzo di celle solari di terza generazione a colorante organico (o organometallico), dette Dye Sensitized Solar Cells (DSSC).

Gli studi sull’impiego elettrochimico di coloranti organici nel campo del fotovoltaico ebbero un vero e proprio punto di svolta nel 1991, allorché fu pubblicato su «Nature» un articolo del professor Michael Greatzel dell’ école Polytechnique Fédérale di Losanna, oggi riconosciuto come il padre delle DSSC, in cui veniva illustrata per la prima volta una cella solare costituita da un fotoelettrodo mesoporoso, reso sensibile alla luce mediante un colorante metallorganico.

Tale fotoelettrodo, costituito da un film di biossido di titanio con spessore dell’ordine dei 10-20 µm, presenta un’elevatissima area superficiale (circa 300 m2/g) stimabile circa 1.000 volte superiore rispetto all’area della superficie proiettata su cui è depositato. In questi dispositivi, la luce viene catturata e trasformata in energia elettrica mediante una reazione chimica che coinvolge, da una parte, le molecole del colorante di cui è stata precedentemente «imbevuta» la superficie del film di biossido di titanio e, dall’ altra, una soluzione elettrolitica (che può essere anche allo stato di gel) interfacciato con la superficie di un controlettrodo di platino che funge da catalizzatore. Le DSCC vengono pertanto catalogate come celle «fotoelettrochimiche»: a differenza dalle tradizionali celle solari al silicio o, più in generale, a semiconduttore inorganico, la conversione della radiazione solare non si realizza mediante la presenza di una – o più – giunzione pn, bensì avviene per mezzo di una reazione elettrochimica innescata dall’ assorbimento di un fotone.

è utile mettere in evidenza come all’interno di una cella DSSC il colorante organico adsorbito dal biossido di titanio svolga un ruolo paragonabile a quello svolto dalla clorofilla nel processo di fotosintesi nelle foglie. Le caratteristiche del colorante determinano non solo l’efficienza di captazione (e quindi le performance di fotoconversione), ma anche l’aspetto estetico della cella (colore, trasparenza, design). Inoltre, a riprova dell’estrema versatilità di questa tecnologia, alcuni ricercatori del CNR di Messina hanno recentemente realizzato delle celle DSSC addirittura impiegando dei pigmenti naturali quali quelli presenti nel succo d’arancia rossa di Sicilia o nella buccia delle melanzane.

A oggi, una cella DSSC è in grado di produrre energia elettrica dal sole con un’efficienza massima del 12 per cento. Ma il vero punto di forza di questa classe di dispositivi risiede nel fatto che sfruttano sistemi e tecnologie di fabbricazione estremamente più semplici e flessibili rispetto a quelli legati alla produzione del silicio.

Si prevede che le DSSC permetteranno nei prossimi anni di produrre energia elettrica al costo di 0,5 EUR/Wp a fronte dei quasi 2 EUR/Wp dei pannelli al silicio. Ci si spiega agevolmente perché gli investimenti in progetti di ricerca e sviluppo sulle DSSC abbiano conosciuto un trend di costante crescita negli ultimi dieci anni.

A questo punto è facile intuire le ragioni che stanno rendendo le celle DSSC estremamente appetibili nell’ambito del cosiddetto Building Integrated Photovoltaics. Una cella DSSC, infatti, può lavorare anche in condizioni di luce diffusa (cielo nuvoloso) e non richiede un preciso angolo di inclinazione fisso all’atto dell’installazione dell’impianto correlato alla latitudine del luogo, come invece accade per i pannelli al silicio. Ciò consente di ampliare gli ambiti di impiego, dalle semplici coperture degli edifici ai parapetti, le facciate fotovoltaiche, le pensiline, le tende, le tensostrutture e persino alle autovetture e alle vele di imbarcazioni.

Partendo dalla struttura di una DSSC e sostituendo il controelettrodo di platino con un sottile film di ossido di tungsteno (materiale già noto per le sue proprietà elettrocromiche), si può realizzare invece una cella cosiddetta fotoelettrocromica (PECC, PhotoElectroChromic Cell). Una cella PEC consente di modificare opportunamente la trasparenza di una lastra di vetro in ragione della radiazione solare incidente, senza richiedere di essere alimentata elettricamente. è la stessa radiazione solare incidente a fornire l’input per la variazione cromatica, una volta che siano state fissate le caratteristiche di colore e trasparenza desiderate.

Uno degli aspetti più innovativi della ricerca che si sta svolgendo a Lecce, nell’ambito della Piattaforma Energia dell’Istituto Italiano di Tecnologia, è rappresentato dall’idea di integrare differenti tecnologie in dispositivi smart multifunzionali, capaci di produrre energia elettrica e al contempo di fornire un efficace controllo e/o schermatura della radiazione solare. E non solo. Si pensa anche alla possibilità di produrre luce artificiale sul lato interno della facciata mediante l’utilizzo di sorgenti ultrasottili a tecnologia OLED. L’integrazione di queste tecnologie permetterà nei prossimi dieci anni di fornire risposte sempre più efficaci alle molteplici criticità tutt’oggi incombenti nell’ambito della progettazione di involucri edili che si richiede essere sempre più performanti ed ecoefficienti.

Un involucro edilizio, dunque, intelligente, dinamico, in continuo dialogo con l’ambiente che circonda l’edificio, capace di conseguire comfort e risparmio energetico. Tra le prerogative essenziali di questi dispositivi – che possiamo chiamare anche fotovoltacromici – dunque ci sono l’autoconsistenza energetica, dal momento che possono produrre l’energia necessaria al loro funzionamento, e il funzionamento di tipo «smart», ossia la capacità di rispondere dinamicamente a uno stimolo esterno, come la luce, o la temperatura.

è innegabile come il vetro, sin dai suoi primi impieghi in ambito architettonico, si sia sempre caratterizzato come un materiale prezioso, incastonato in facciata, dalla valenza quasi magica, per la sua interazione unica con la luce visibile. Frank Lloyd Wright sottolineava la centralità dell’involucro trasparente quando scriveva: «La qualità interna di uno spazio dipende in misura prioritaria dalla quantità di spazio esterno che riesce a penetrare grazie alla luce e alla trasparenza». Si pensi anche alle policrome vetrate gotiche o alla perfetta simmetria luminosa dei rosoni romanici. Fino all’utopia della trasparenza della Glasarchitektur e alle più recenti sperimentazioni di Thomas Herzog e Toyo Ito.

Oggi la sfida è più delicata. Al vetro si chiede di interagire con l’ambiente, come un derma artificiale, in modo smart e in chiave sostenibile. Gli si chiede, infatti, di agire da filtro trasparente, da punto di ingresso della luce, da sistema di schermatura, da sistema di accumulo di energia. E persino da supporto multimediale di informazioni. Le nanotecnologie hanno raccolto questa sfida.

Related Posts
Total
0
Share