Skip to main content

Alcuni deputati e senatori del Congresso americano hanno avanzato una proposta di legge per aumentare in modo considerevole i finanziamenti per la ricerca scientifica e lo sviluppo tecnologico come risposta alla pandemia. 

di David Rotman

Il gruppo bipartisan comprende il democratico Chuck Schumer, il senatore repubblicano conservatore Todd Young, il rappresentante Ro Khanna (un democratico della Silicon Valley) e il rappresentante Mike Gallagher, repubblicano del Wisconsin. Il disegno di legge, dal nome Endless Frontiers Act, amplierebbe notevolmente i finanziamenti per “scoprire, creare, commercializzare e produrre nuove tecnologie“.

È un atto legislativo di grande peso. I membri del Congresso chiedono 100 miliardi di dollari in 5 anni per finanziare AI, robotica, automazione, produzione avanzata e altre “aree critiche”. Sono previsti la ristrutturazione della National Science Foundation, che diventerebbe la National Science and Technology Foundation, e lo stanziamento di 10 miliardi di dollari per 10-15 hub tecnologici regionali (si veda link sulla necessità di questi hub). La rivista “Science” fornisce un ottimo resoconto dei costi del progetto.

I proponenti sono chiaramente preoccupati che il Paese stia perdendo la sua capacità tecnologica. Sottolineano, infatti, che gli Stati Uniti si collocano attualmente al nono posto nel mondo nella spesa totale in ricerca e sviluppo e al dodicesimo in termini di politiche di sostegno pubblico.

Nel disegno di legge si spiega che il recente boom della tecnologia ha lasciato fuori gran parte del Paese: “Oltre il 90 per cento della crescita dell’occupazione nel settore dell’innovazione della nazione negli ultimi 15 anni è stata generata in sole 5 città principali”.

A mio avviso, l’errore è dare la colpa alla “concorrenza straniera” per i problemi che ha l’ innovazione degli Stati Uniti. Pur non citando la Cina, nel suo preambolo il disegno di legge insiste sul fatto che il ruolo degli Stati Uniti come “il leader globale inequivocabile nell’innovazione scientifica e tecnologica” è messo in discussione da altri paesi, alcuni dei quali stanno rubando i nostri segreti commerciali e “investono in modo aggressivo nella ricerca fondamentale e commercializzazione per dominare i settori tecnologici chiave del futuro”.

La prima affermazione è vera solo in parte, e non nella misura in cui molti politici vorrebbero far credere. La seconda, può essere definita correttamente competizione – una specie di feticcio americano o almeno così si dice – o semplicemente progresso. A parte questo, però, viene riconosciuto che i punti di forza dell’innovazione del paese hanno creato la sua prosperità economica e molti dei suoi posti di lavoro, sebbene la ricchezza non sia stata ampiamente condivisa e il progresso costante non sia affatto scontato.

All’inizio del mese una coppia di economisti, Benjamin Jones della NorthWestern University e Pierre Azoulay del MIT, ha pubblicato un articolo su “Science” che chiedeva un serio Pandemic R&D Program sostenuto dal governo che avrebbe finanziato e coordinato una vasta gamma di interventi in più settori, dallo studio dei vaccini alla scienza dei materiali, nel tentativo di arginare il virus. Gli autori non definiscono i termini del finanziamento, ma invitano a guardare ai risparmi economici che deriverebbero, per esempio, dalla rapida scoperta di un vaccino.

Una delle lezioni tratte dalla pandemia di covid è che il sistema di innovazione degli Stati Uniti non è così robusto e inattaccabile come molti potrebbero pensare. Possiamo giustamente mettere sotto i riflettori sull’incompetenza del governo federale e sull’incapacità di rispondere rapidamente con test, dati condivisi e produzione accelerata di maschere e ventilatori. 

Ma la pandemia ha anche messo in luce l’incapacità del settore tecnologico del Paese di mobilitarsi rapidamente e fornire soluzioni in molte aree critiche. Finalmente qualcuno si è reso conto di queste debolezze, anche se ci è voluta una pandemia mortale per realizzare questa consapevolezza.

Immagine: Pixabay