La dipendenza energetica europea

Più della metà dell’energia consumata in Europa viene da Paesi extraeuropei e nell’ultimo decennio questa quota ha registrato un aumento generalizzato.

di Luca Longo

Più della metà dell’energia consumata in Europa viene da Paesi extraeuropei e nell’ultimo decennio questa quota ha registrato un aumento generalizzato. L’Italia, importando il 76.9% del suo fabbisogno energetico, si trova a contendere con Malta, Lussemburgo, Cipro, Irlanda, Belgio e Lituania il poco invidiabile primato di Paese europeo con la più elevata dipendenza energetica dall’estero.

Secondo gli ultimi dati disponibili Eurostat, la produzione primaria dell’Unione Europea nel 2013 ammontava a 789.8 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (TEP). Negli ultimi dieci anni, la produzione globale europea è scesa del 15.4% dai 933.8 TEP registrati nel 2003. La tendenza alla decrescita è costante con l’unica eccezione del 2010, che ha visto una lieve risalita rispetto al crollo del 2009 causato dall’avvio della crisi economica e finanziaria mondiale. Questa tendenza negativa è imputabile sia all’esaurimento delle fonti primarie disponibili sia all’aumento dei costi connessi allo sfruttamento delle riserve residue. E’ facile prevedere che questa tendenza proseguirà quando entreranno in statistica i dati dell’ultimo anno e mezzo e, in particolare, gli effetti del crollo del prezzo del petrolio da 115 a 37 $ al barile negli ultimi 18 mesi corrispondenti al ritorno sui valori di scambio registrati nel 2004.

La produzione di energia primaria europea proviene da un pacchetto diversificato di fonti di energia. La principale in termini quantitativi è l’energia nucleare, con il 28.7% del totale. L’Uranio permette alla Francia di essere la principale produttrice di energia del continente, con una quota del 17.1% sulla produzione totale UE e davanti a Germania (15.3%) e Regno Unito (in vistoso calo ma ancora al 13.9%). L’energia francese, infatti, deriva per l’80.9% dal solo nucleare. La fissione dell’atomo sostiene anche il Belgio col 75.2% e la Slovacchia col 64.1%; mentre in metà degli stati membri della UE, Italia compresa, l’energia nucleare prodotta è zero.

Fra le altre fonti energetiche disponibili, il carbone contribuisce per il 19.7% mentre al gas naturale ed al petrolio vanno rispettivamente il 16.7 ed il 9.1% della produzione totale UE.

La restante quota del 24.3% viene da energie rinnovabili. Ma entrando nel dettaglio si osserva che oltre due terzi di questa provengono dalla semplice combustione a basso rendimento di biomasse e altri scarti, il 6.7% dal solare mentre il resto viene dall’energia idroelettrica, eolica e geotermica.

La crescita della produzione di energia primaria da fonti rinnovabili è stata superiore a quella di tutte le altre forme di energia, con un aumento relativamente costante per l’intero decennio considerato. Dal 2003 la produzione di energia da fonti rinnovabili è cresciuta del 88.4%. Anche se molto resta da fare per centrare gli obiettivi ribaditi nel dicembre 2015 a Parigi da COP 21.

Sempre nell’ultimo decennio, le altre fonti di energia primaria sono risultate tutte in flessione: dal petrolio greggio (-54.0%) al gas (-34.6%) ai combustibili solidi (-24.9%). Anche l’energia nucleare prodotta è calata, seppure in modo più contenuto (-12.0%).

Il calo nella produzione di carbone, lignite, petrolio greggio, gas e, più recentemente, di energia nucleare ha causato un aumento alle importazioni di energia primaria per soddisfare la domanda, anche se la situazione si è stabilizzata in seguito alla crisi economica e finanziaria. Nel 2013 le importazioni europee superano le esportazioni di circa 909 milioni di TEP.

Si nota una correlazione tra i volumi di energia importata e la popolazione residente. Infatti, le nazioni più popolose sono anche le maggiori importatrici di energia con la sola eccezione della Polonia che continua a sfruttare le sue riserve di carbone. Nel 2013, anche la Danimarca, che fino ad allora era l’ultimo Paese europeo esportatore di energia, ha ottenuto un saldo negativo.

Al momento nessun paese europeo è autosufficiente dal punto di vista energetico. Le importazioni arrivano principalmente dalla Russia, storicamente il principale fornitore di petrolio greggio e di gas naturale. Nel 2006 è diventata anche il principale venditore di combustibili solidi (con una quota del 28.8%) sul mercato europeo, superando l’Australia e la Colombia. Il 33.5% del petrolio greggio e il 39.3% del gas naturale consumati in Europa provengono, infatti, dalla Russia.

La sicurezza nell’approvvigionamento di energia primaria dell’Europa può essere a rischio se le importazioni provengono in larga misura da un numero ridotto di Paesi. Più di due terzi (69,1 %) delle importazioni di gas naturale provengono, infatti, dalla Russia o dalla Norvegia. Analogamente, nel 2013 il 53.8 % delle importazioni di petrolio greggio viene da Russia, Norvegia e Arabia saudita, mentre il 73.1 % delle importazioni di carbone viene ancora dalla Russia, insieme a Colombia e Stati Uniti.

La nuova crisi diplomatica fra Arabia Saudita e Iran, innescata dalla prima con l’esecuzione di un sacerdote Sciita, ha l’evidente obiettivo di aumentare le tensioni in medio oriente e rallentare il ritorno sul mercato del petrolio iraniano. Questo dovrebbe influenzare l’Europa solo marginalmente – a causa di un temporaneo aumento delle quotazioni del greggio – dato che, proprio a causa dell’embargo, non si approvvigiona dall’Iran da quasi un decennio.

In questi ultimi dieci anni, altre nazioni si sono aggiunte agli importatori consolidati, seppur con quote relativamente modeste rispetto al totale delle importazioni: si tratta in particolare della Nigeria, del Kazakhstan e dell’Azerbaigian – per le importazioni di petrolio greggio – e di Qatar e Libia per le importazioni di gas naturale. Grazie ai risultati esplorativi record di Eni – un miliardo e duecento milioni di barili equivalenti scoperti nel solo 2015, fra questi il giacimento supergigante di Zohr in Egitto e quello di Nkala Marine in Congo – si può sperare che la situazione italiana possa migliorare nonostante la persistente instabilità politica in Libia e in buona parte dell’Africa dove Eni è il principale operatore.

Le fonti rinnovabili coprono il 23.7% dei consumi elettrici europei, in Italia si arriva al 33.7% e si può immaginare che un ulteriore impegno in questo settore possa portare a centrare l’obiettivo individuato dalla direttiva 2009/28/CE che stabilisce pari al 17% la percentuale dei consumi energetici totali italiani che, entro il 2020, deve giungere da fonti rinnovabili.

La distribuzione sul territorio nazionale delle fonti rinnovabili per la generazione di elettricità mostra la prevalenza dell’idroelettrico nelle regioni montuose e dell’eolico al Sud. La produzione elettrica da biomasse è sostanzialmente uniforme, mentre la Toscana è l’unica regione a sfruttare l’energia geotermica.

Nel complesso, la dipendenza della UE dalle importazioni di energia è arrivata al 53.2% del totale partendo da meno del 40% negli anni ’80. Per quanto riguarda petrolio, gas e carbone, la dipendenza complessiva è rispettivamente del 9.9%, 13.3% e 9.2%.

L’Italia si trova ad acquistare all’estero oltre tre quarti del suo fabbisogno energetico, pari a 124.7 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio nel 2013. In sostanza, ogni anno dobbiamo importare più di 2 tonnellate di olio equivalente per ciascun abitante. La maggior parte di queste forniture proviene da Paesi con alta instabilità politica quando non apertamente in guerra. Nel caso della Russia, a complicare i rapporti ci sono anche le sanzioni che il comitato dei rappresentanti permanenti degli Stati membri presso la UE ha da poco prorogato fino al 31 luglio 2016.

(MO)

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