La carne sintetica in cucina: sì o no?

La carne etica, rispettosa dell’ambiente e prodotta in serie potrebbe rivelarsi un sogno irrealizzabile

Mangeresti carne coltivata in laboratorio? Sono circa 80 (all’ultimo conteggio) le aziende hanno deciso di esplorare l’idea di creare prodotti a base di carne utilizzando cellule muscolari e adipose coltivate in vasche di laboratorio. Promettono molto, ma saranno in grado di mantenere quanto promesso?

Al recente evento ClimateTech del MIT Tech Review, il mio collega James Temple ha intervistato Pat Brown, CEO di Impossible Foods. L’azienda vende forme alternative di carne a base vegetale progettate per essere il più realistiche possibile. Il prodotto più famoso dell’azienda è il famoso hamburger “sanguinante”. Quando gli è stato chiesto cosa pensasse della carne “prodotta su base cellulare”, Brown ha risposto: “Certamente non li vedo come concorrenti”.

Ho anche letto una serie di articoli pubblicati sulla rivista scientifica Nature Food un paio di settimane fa, in cui gli autori esploravano in modo più dettagliato gli argomenti a favore e contro la carne di laboratorio.

L’altro motivo per cui ho mi sono trovata a pensare alle alternative alla carne è che le vacanze invernali si stanno avvicinando, e poiché non mangio carne, è mio compito trovare un’alternativa che tutti, compresi i miei figli più esigenti e il papà amante della carne, possano apprezzare. A proposito di cibi impossibili.

Ma torniamo alla carne fatta crescere in laboratorio. Ci sono molte ragioni per cui, teoricamente, coltivare carne nei bioreattori di un laboratorio sarebbe un’idea geniale. Tanto per cominciare, saremmo in grado di ridurre le pratiche di allevamento intensivo degli animali, spesso brutali e disumane. Allevare animali in condizioni anguste può creare le condizioni perfette per la diffusione di malattie capaci di infettare persino gli esseri umani.

E anche l’uso di antibiotici per evitare tali focolai di malattie è incredibilmente problematico. Si stima che circa il 70% degli antibiotici che utilizziamo per trattare le infezioni nelle persone siano utilizzati anche negli animali da allevamento.

E tutti i microrganismi che diventano resistenti agli antibiotici come risultato di questo utilizzo intensivo possono finire nei raccolti, nel suolo, nei fiumi e nelle persone, causando potenzialmente malattie incurabili e fatali. Almeno 1,2 milioni di persone sono morte per infezioni resistenti agli antibiotici nel 2019, ad esempio.

Anche il processo di produzione della carne è terribile per l’ambiente. L’allevamento di animali è responsabile di una parte significativa delle nostre emissioni di gas serra. Utilizziamo più di un terzo della terra abitabile del nostro pianeta per allevare animali, terra che potrebbe tornare a divenire foresta e assorbire emissioni. La distruzione delle foreste per l’agricoltura può lasciare molte specie, molte delle quali in pericolo, senza una casa. E decimare la biodiversità.

La risposta più semplice, ovviamente, è eliminare dalla nostra dieta la carne e i prodotti animali di ogni generale. Ma sebbene esistano alternative a base vegetale, molti non le trovano appetibili. Studi provenienti da Stati Uniti, Europa e Australia suggeriscono che solo una piccola minoranza delle persone che scoprono l’impatto ambientale della carne è disposta a rinunciarvi.

Da qui nasce l’idea della carne coltivata in laboratorio: un approccio cruelty-free e sostenibile per fornire prodotti a base di carne di origine animale. Almeno, in teoria.

Sfortunatamente, non è così semplice. Tanto per cominciare, coltivare cellule animali in modo che assomiglino a un hamburger, una bistecca o una polpetta non è affatto economico. Il primo hamburger coltivato in laboratorio nel 2013 è costato circa $ 330.000. Il costo è calato da allora, ma non al punto da poter competere con le opzioni disponibili negli attuali fast food. Secondo un’analisi pubblicata lo scorso anno, allo stato attuale delle tecnologie, sarebbe impossibile creare un prodotto a un prezzo competitivo.

Prima che qualsiasi carne coltivata nei bioreattori di un laboratorio possa raggiungere i nostri piatti, deve essere approvata dalle agenzie governative.

Un paio di anni fa, le autorità di Singapore hanno dato il via libera a una crocchetta di pollo prodotta in laboratorio, distribuita dalla società californiana Eat Just. Eppure molti credono che arrivare allo stesso risultato altrove richiederà molto più tempo.

Immaginiamo di superare entrambi questi ostacoli e riuscire ad immettere sul mercato un prodotto a base di carne coltivata a buon mercato. Qualcuno la mangerebbe? Personalmente, non sono attratta da questo genere di prodotti. Ho evitato la carne per la maggior parte della mia vita e non riesco a sopportare l’idea di mangiare fibre muscolari animali, anche se sono state coltivate in un bioreattore.

Ma in fondo, le persone come me non sono probabilmente il mercato di riferimento per simili prodotti. Dopotutto, le lenticchie sono un’opzione più economica, più sana e più sostenibile persino della carne coltivata in laboratorio. Mark Post, che ha guidato lo sviluppo del primo hamburger di carne coltivata, ha dichiarato: “Francamente, i vegetariani dovrebbero rimanere vegetariani, è meglio per l’ambiente rispetto alla carne di manzo coltivata”.

Si tratta piuttosto di convertire i mangiatori di carne irriducibili. Uno dei problemi è molti di coloro che mangiano carne dovrebbero probabilmente ridurne l’assunzione anche solo per motivi di salute e nulla indica che la carne di laboratorio debba rivelarsi più sana di quella originale. Si potrebbe tecnicamente eliminare il grasso, ma così facendo si perderebbe il vantaggio di proporre un prodotto veramente simile all’originale. Un autogol insomma.

Il problema principale rimane la volontà del pubblico di non rinunciare alla carne. Secondo un sondaggio statunitense del 2016, circa un terzo delle persone interrogate avrebbe affermato di essere disponibile a rinunciare alla carne d’allevamento per un’alternativa di laboratorio. Ma altrettanti avrebbero dichiarato di non essere assolutamente disposti a farlo. I più davano per scontato che la carne coltivata sarebbe stata meno gustosa, meno attraente e più costosa.

È troppo presto per trarre conclusioni su quanto sarà gustosa o meno la carne coltivata in laboratorio, visto che quasi nessuno l’ha ancora provata. Ma non è detto che le cose cambino. Fatico ad immaginare di vedere un giorno servito in tavola un tacchino di laboratorio durante le feste.

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