Keynes aveva torto: la Generazione Z avrà la peggio

Il sistema economico sembra arrivato a un punto di svolta, ma non nel senso auspicato dal padre della macroeconomia; invece di un progresso senza fine, la Generazione Z si trova ad affrontare un mondo sull’orlo del collasso, tra stipendi stagnanti e crisi ecologiche. 

di Malcolm Harris

L’economista britannico ha predetto che il capitalismo sarebbe durato per circa 450 anni. È il periodo che intercorre tra il 1580, quando la regina Elisabetta investì l’oro spagnolo rubato da Francis Drake e il 2030, l’anno in cui John Maynard Keynes suppose che l’umanità avrebbe risolto il problema dei bisogni essenziali e si sarebbe occupata di problemi più elevati.

In un famoso saggio dei primi anni 1930 intitolato Possibilità economiche per i nostri nipoti, Keynes immaginava come sarebbe stato il mondo 100 anni dopo. Individuò fenomeni come l’automazione del lavoro (che chiamò “disoccupazione tecnologica”), ma quei cambiamenti, secondo lui, avrebbero favorito il progresso verso una società migliore e verso la liberazione collettiva dal lavoro.

Il suo timore era che la transizione a questo mondo “senza fatica” potesse essere psicologicamente difficile, e quindi suggerì che i giorni lavorativi di tre ore potessero essere la leva di un programma di transizione, permettendoci di rimandare la domanda su cosa fare quando non c’è più niente da fare.

Oggi, conosciamo questi nipoti citati nel titolo del saggio di Keynes: sono i bambini e i giovani adulti di oggi. La prima fascia in età lavorativa nel 2030 è quella nata tra il 1976 e il 2005. Sebbene le previsioni che egli fece riguardo al tasso di crescita economica e all’accumulazione del capitale fossero sorprendentemente accurate, il loro significato per questa generazione è molto diverso da quello previsto.

Invece di avvicinarci all’utopia di un mondo senza lavoro, l’America ha sperimentato la precarietà dell’occupazione come una sorta di cataclisma economico. Le previsioni apocalittiche incombono mentre le comunità della classe operaia e dei meno protetti subiscono il peso dei primi impatti: stagnazione dei salari, luoghi di lavoro non regolamentati e non sicuri, un’epidemia di dipendenza da oppiacei.

La ricchezza sempre più concentrata nelle mani di pochi all’altro capo della società non è meno inquietante.
Cosa è successo? Per capirlo ci dobbiamo porre alcune domande fondamentali su economia, tecnologia e progresso. Dopo aver ipotizzato per un secolo che sarebbe arrivato un mondo migliore, i presupposti sembrano infondati. La situazione sta peggiorando.

Di recente, come il primo boom del web due decenni fa, era ancora possibile parlare di sviluppo tecnologico ed espansione economica come un vantaggio per tutti. Si prenda Webvan, la prima (e successivamente molto derisa) azienda di consegna di generi alimentari. La sua intenzione era quella di combinare l’efficienza di Internet con gli altri progressi nell’informazione e nella logistica per fornire prodotti di migliore qualità a prezzi più bassi, consegnati direttamente ai consumatori da lavoratori ben pagati e preparati. 

È la classica visione univoca e keynesiana dello sviluppo: non solo tutti i soggetti coinvolti traggono beneficio individualmente come consumatori, impiegati o capitalisti, ma la società stessa si muove verso l’eliminazione della necessità e favorisce lo sviluppo completo della persona.

Quando Webvan è andata a gambe all’aria, gli esperti hanno sostenuto che l’idea di base fosse irrimediabilmente sbagliata, vale a dire che non aveva senso usare il lavoro umano per portare i singoli ordini ai supermercati. John Deighton, professore della Harvard Business School, quando gli è stato chiesto del futuro del settore nel 2001, ha dichiarato: “Prodotti alimentari consegnati a domicilio? Non succederà mai”. 

Eppure, meno di 20 anni dopo, una delle poche aziende del mondo con fatturato da miliardi di dollari (Amazon) consegna il mio ordine tramite il suo marchio di alimentari (Whole Foods) in un’ora. E se per il cliente questo servizio non è abbastanza veloce, ci sono varie piattaforme (Instacart, Postmates e altri) attraverso le quali posso incaricare qualcuno di andare a ritirare il mio ordine e portarmelo immediatamente. Nugoli ronzanti di servitori indipendenti, sempre in movimento.

Per i consumatori, questi servizi hanno reso la vita più comoda. Per i proprietari, i prezzi delle azioni e i profitti delle aziende salgono da decenni. Ma i lavoratori ne hanno sofferto. È tramontata la visione di Webvan che prevedeva autisti di consegna altamente qualificati, ben pagati, con elevata mobilità. 

I rapporti di lavoro di Amazon con i suoi dipendenti a tutti i livelli è improntato allo sfruttamento al punto che gli ex dipendenti hanno creato un loro “diario”, il “report-back”, che si sofferma sulle difficoltà di lavorare in azienda, come ben si evince da questa pagina: “L’intelligenza artificiale è il tuo capo, il capo del tuo capo e il capo del tuo capo: imposta gli obiettivi dei tassi di produttività, i turni e la ripartizione del lavoro nei reparti … In definitiva, ciò significa che raramente si lavora con le stesse persone due volte, si rimane isolati, si eseguono attività casuali a seconda del turno, stivaggio o smistamento o raccolta o imballaggio ben superiori alla media stabilita, perché il tuo supervisore te lo ha detto e il programma lo ha detto a lui”.

Invece di sollevare i lavoratori dalla fatica, i miglioramenti della tecnologia riducono la loro efficienza, esponendo chi lavora a comportamenti irragionevoli. In tutti i dipartimenti, i dipendenti di Amazon riferiscono di essere stati costretti dalle circostanze del loro lavoro a urinare in bottiglie e bidoni della spazzatura. 

Usando la strategia degli accordi in subappalto, le più grandi aziende evitano di assumersi le responsabilità dei salari più bassi. Recenti indagini sulla logistica dell’”ultimo miglio” di Amazon rivelano che i conducenti esausti arrivano a punte di disattenzione che hanno portato a incidenti mortali. Malgrado ciò, l’azienda viene considerata comunque esemplare dalla comunità imprenditoriale.

La realtà supera la fantasia

Ovunque, l’idea della liberazione dal lavoro sembra un sogno. I lavoratori che fabbricano parti per iPhone sono stati esposti a sostanze chimiche tossiche; il colosso manifatturiero taiwanese Foxconn è regolarmente contestato per le cattive condizioni di lavoro. Gli addetti alle consegne Instacart hanno scioperato per lamentarsi dei cambiamenti che hanno portato a una riduzione delle mance; due giorni dopo l’azienda ha tagliato i loro bonus (Instacart afferma che i due eventi non sono correlati). 

I lavoratori saltuari della piattaforma audio Rev.com hanno recentemente scoperto una riduzione di stipendio durante la notte, il che significa che Rev ora prende 70 centesimi ogni dollaro speso dal cliente per ottenere la trascrizione dell’audio, mentre al lavoratore arrivano solo 30 centesimi.

I giovani americani stanno raggiungendo la prima fascia d’età lavorativa nell’epoca dell’economia di Amazon, non in quella di Webvan. Secondo l’Economic Policy Institute (EPI), mentre la produttività dei lavoratori è aumentata del 69,6 per cento tra il 1979 e il 2019, la retribuzione oraria è aumentata dell’11,6 per cento.

“Il reddito, i salari e la ricchezza generati negli ultimi quattro decenni non sono riusciti a distribuirsi sulla stragrande maggioranza della popolazione, in gran parte perché le scelte politiche fatte per conto di quelli con più reddito, ricchezza e potere hanno esacerbato la disuguaglianza”, l’EPI dice.

La differenza tra produttività e retribuzione è un aumento dello sfruttamento: i lavoratori fanno di più e ottengono di meno. Non era quello il piano. Keynes e la sua visione politica persero appeal quando il fondamentalismo del laissez faire sostenuto da Milton Friedman portò Reagan e Thatcher al potere. La vecchia visione del futuro cedette a un’era di deregolamentazione e privatizzazione. Questa era la “fine della storia”, con il libero mercato come protagonista assoluto.

In questo scenario tutti perseguono i loro interessi individuali che porteranno al migliore dei mondi possibili, almeno fintanto che il governo rimane fuori dai piedi. Ci è stato insegnato, per esempio, che le politiche di controllo degli affitti aumentano paradossalmente gli affitti, che le leggi sui salari minimi danneggiano i salari, che la ricchezza derivante dalle riduzioni fiscali si ridistribuisce tra i lavoratori. 

In realtà, le politiche di controllo degli affitti sono oggi più sfumati, mentre gli aumenti dei salari minimi hanno sostenuto i redditi nella parte più povera dei paesi. La teoria del “gocciolamento” ha ottenuto i risultati peggiori; i ricchi non hanno reinvestito i loro tagli fiscali.

I mercati non hanno risolto i problemi

La maggior parte delle persone si è unita al clamore libertario e, quando la crisi finanziaria globale ha colpito nel 2008, molti sono rimasti sorpresi nello scoprire che i mercati non si stavano effettivamente autoregolando nel modo in cui si era detto.

I successivi salvataggi, tuttavia, hanno reso difficile sostenere che i governi potevano solo limitarsi a ostacolare il corretto funzionamento dell’economia. E così gli economisti hanno rispolverato Keynes. I paesi che hanno seguito con entusiasmo il suo consiglio e hanno utilizzato fondi pubblici per stimolare la domanda, sono usciti dalla recessione in condizioni migliori di quelli che hanno esitato. 

In retrospettiva, la decisione della Cina nel 2008 di investire oltre il 12 del PIL sembra una mossa intelligente. In America, democratici e repubblicani si candidano al governo del paese promettendo trilioni di dollari di proposte di spesa, non le solite richieste bipartisan di un bilancio in pareggio e di una riduzione delle spese governative che eravamo soliti ascoltare. Il pendolo è oscillato e Keynes è tornato.

Passare da Friedman a Keynes significa tuttavia entrare nel cuore del sistema economico. I due uomini avevano idee diverse non solo sul funzionamento del capitalismo, ma soprattutto sul suo valore. Friedman e i suoi seguaci vedevano il mercato come manifestazione suprema della libertà dell’individuo di perseguire il proprio interesse personale e quindi, poiché la ricerca dell’interesse personale è l’espressione della natura umana, come via ideale per il benessere collettivo. Il capitalismo era il mezzo e il fine.

Keynes, d’altra parte, eccezionale esempio della nobiltà inglese, non poteva considerare la ricerca del profitto come il più alto esempio di virtù. Doveva esserci qualcosa di più. Per Keynes la forma più pericolosa di avarizia non era cercare di fare soldi, ma tenere il denaro in tasca per troppo tempo. L’unico modo per mantenere alto il benessere popolare e l’occupazione era quello di produrre e consumare sempre di più, non perché è nella nostra natura, ma perché è così che funziona il sistema: deve crescere per sopravvivere.

Il capitalismo è uno stato psicotico

Ma un giorno, ha previsto Keynes, la corsa finirà e tutti dovremo riconoscere che il capitalismo non è altro che un comportamento disturbato che porterà a distruggere la Terra per vivere. Nel suo libro Nipoti, Keynes non vedeva l’ora che arrivasse il giorno in cui “potremo permetterci di valutare realmente vero valore del denaro”. Come ha scritto l’economista britannico: “L’amore per il denaro come possesso – distinto dall’amore per il denaro come mezzo per il godimento della vita – sarà riconosciuto per quello che è, uno stato patologico in qualche modo disgustoso, una di quelle propensioni al limite del criminale che sono oggetto di studio da parte degli specialisti in malattie mentali”.

Il capitalismo, per Keynes, non si giustifica. “Ci saranno”, ha scritto, “classi e gruppi di persone sempre più estese che non avranno più problemi economici”. Ma non ha mai identificato il meccanismo che avrebbe posto fine al gioco dell’accumulazione capitalista. Anche se avessimo tutto il necessario per raggiungere gli obiettivi, come lo sapremmo? E come si condividerà la ricchezza? Keynes era cosciente che potevamo continuare a crescere su questa linea solo per un tempo limitato, ma ha escluso la rivoluzione perchè pensava che i “padroni” avrebbero fatto la cosa giusta.

Non essere Milton Friedman non vuol dire avere capito come funziona il mondo. Keynes può avere ragione sulle previsioni di crescita, sui cicli economici e sulla politica fiscale, ma se la sua idea che il capitalismo finirà semplicemente da solo è errata, l’intera costruzione si sgretola. Se è così, tutta la società continuerà a muoversi nella direzione di un consumo patologico delle risorse future in anticipo, senza fine virtuosa all’orizzonte.

Una critica radicale: Marx

Se lo spettro dell’economia tradizionale va da Friedman a Keynes — dal capitalismo come fine a se stesso al capitalismo come mezzo per qualcosa al di là di esso — allora ciò di cui abbiamo bisogno ora è una critica radicale delle loro convinzioni. La maggior parte di queste critiche sono state chiuse in un baule e spinte sotto il letto tra la fine degli anni 1980 e l’inizio degli anni 1990, ma non sono del tutto sparite.

L’esponente più famoso e influente di un diverso filone di pensiero economico rimane Marx. Nelle riflessioni di Keynes durante la visita della Russia sovietica nel 1925, l’economista si rifiutò di nominare il comunismo, facendo invece riferimenti ripetuti a ebrei “avari”. Ma quel comunismo che non doveva essere nominato aveva una visione diversa dell futuro dello sviluppo economico.

La “tesi di immiserazione” di Marx è un’idea che è abbastanza facile da riassumere: poiché i capitalisti guadagnano denaro da ogni ora del lavoro dei lavoratori, diventeranno sempre più ricchi nel tempo, mentre i lavoratori saranno impegnati a fare soldi per i capitalisti. 

Se la tecnologia avesse ridotto il bisogno di lavoro, pensò Marx, i lavoratori sarebbero stati costretti a lavorare più a lungo, più duramente e con una maggiore produttività. La tecnologia avrebbe creato una popolazione di disoccupati disperati che sarebbero stati indirizzati alla produzione di beni di lusso, per i quali ci sarebbe stato un mercato in continua crescita, almeno in termini di disponibilità di denaro e non di persone abbastanza ricche da poterli acquistare. 

Invece del bene comune in aumento, si sarebbero accumulati disuguaglianza, sfruttamento e miseria. In realtà, ciò che i lavoratori hanno costruito è la loro subordinazione e purtroppo hanno fatto un buon lavoro.

Dopo decenni la tesi dell’immiserazione appare empiricamente forte, specialmente se confrontata con la visione di Keynes di gruppi sempre più grandi di persone che si liberano dal bisogno economico e vivono nel paradiso del tempo libero, o con la convinzione di Friedman che una maggiore ricchezza nella classe superiore della società si sarebbe trasformata in una maggiore ricchezza per tutti.

Marx non vedeva solo lo sfruttamento dei lavoratori. “Tutti i progressi nell’agricoltura capitalistica sono progressi nell’arte, non solo di derubare il lavoratore, ma di derubare il suolo”, ha scritto l’economista tedesco. “Lo sviluppo delle capacità di sfruttare la fertilità del suolo per un determinato periodo è un ulteriore passo verso la rovina delle fonti permanenti di quella fertilità”. 

L’ambientalismo non era la preoccupazione fondamentale del pensiero di Marx, ma a differenza degli economisti, ha capito intuitivamente che le risorse avevano limiti naturali. L’unica risposta per la nostra specie su questo pianeta è quella di cambiare alle radici l’intera forma di produzione, con i suoi lavoratori e capitalisti, le sue città e aree rurali.

Il 2030 è dietro l’angolo

All’avvicinarsi del 2030 – l’anno in cui il capitalismo doveva essere finito – le previsioni non sono rosee. Nell’ottobre del 2018, il gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici è arrivato alla conclusione che il riscaldamento globale raggiungerà probabilmente 1,5° C tra il 2030 e il 2052, se le temperature continuano ad aumentare al ritmo attuale. 

Nel caso in cui si raggiunga questo obiettivo, gli esperti prevedono un aumento tra i 26 e 77 centimetri del livello del mare, un rapido aumento delle estinzioni delle specie, centinaia di milioni di persone in più che soffrono di carenza di acqua e cibo, e il ripetersi di eventi meteorologici estremi sempre più frequenti. Abbiamo accumulato non solo ricchezza, ma disastri.

Un cartello alle recenti manifestazioni sul clima lo ha sintetizzato efficacemente: “Voi morirete di vecchiaia. Noi moriremo per i cambiamenti climatici”. La giovane leader del movimento Greta Thunberg ha portato il messaggio eco-generazionale al vertice delle Nazioni Unite sul clima: “Le persone stanno soffrendo, le persone stanno morendo, interi ecosistemi stanno crollando”, ha ammonito. “Siamo all’inizio di un’estinzione di massa e tutto ciò di cui si parla sono i soldi e le fiabe della crescita economica eterna. Come osate!”.

Le persone in tutto il mondo rappresentate dalla Thunberg non hanno altra scelta che stabilire nuovi standard per il benessere sociale che siano diversi dalla crescita del PIL. Dobbiamo eliminare il carbonio dall’atmosfera e la plastica dall’oceano, lasciare il petrolio nelle profondità del suolo e difendere la diversità ambientale. Qualsiasi altra ipotesi rappresenta un fallimento catastrofico.

I giovani sembrano all’altezza della sfida, e anche se la stampa l’ha sopravvalutata, le affinità tra i millennial e la Generazione Z con il socialismo è reale. È passato più di un decennio dal crollo del 2008 e negli Stati Uniti stiamo vivendo la più lunga espansione economica della storia, eppure un sondaggio di YouGov mostra che il gradimento del capitalismo tra i giovani sotto i 30 anni è sceso dal 39 al 30 per cento tra il 2015 e il 2018, ben 14 punti in meno della media e 26 punti al di sotto della fascia di popolazione più anziana.

I ragazzi sono coscienti che il capitalismo ha utilizzato risorse umane e naturali anziché costruire una società migliore. Piuttosto che una semplice reazione alla bolla immobiliare e al riscaldamento globale, si intravvede una comprensione della realtà profonda ed emergente. Con grande sorpresa di tutti, i nipoti di Keynes sono diventati marxisti.

Sebbene la previsione di Keynes ora sembri poco realistica, ci sono aspetti che trovano conferma nei fatti. Oltre a stabilire un tasso di crescita adeguato, Keynes pensava che saremmo stati la generazione che avrebbe posto fine al capitalismo. Il sistema non sarebbe stato sostenibile più a lungo.

Ad un certo livello di sviluppo tecnologico e accumulazione di capitale, il capitalismo diventa non solo sfruttamento o addirittura genocidio (risultati da lungo tempo registrati), ma non è compatibile con l’umanità in quanto tale e diventa un rischio oggettivo per l’intera società umana.

È difficile dire cosa verrà dopo, ma qualsiasi cosa sia deve avvenire tutto in tempi stretti. I nipoti di cui parlava Keynes sono già qui da un po’ di tempo. Anche se non sappiamo che forma prenderà, il nuovo è tra noi.

Malcolm Harris è autore di Kids These Days e di Shit is Fucked Up and Bullshitdi prossima uscita.

Foto: Nicolas Ortega

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