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Intervista a Irene Tinagli, Eurodeputata e Presidente della Commissione Problemi Economici e Monetari del Parlamento Europeo. Uno sguardo alle politiche e alle sfide dell’Europa sui temi dell’innovazione e dello sviluppo economico.

Per Irene Tinagli il primo passo per garantire un uso positivo, etico e responsabile dell’intelligenza artificiale è rendere consapevole la popolazione di cosa sia in realtà l’IA: uno strumento che abilita grandi opportunità, se sapute cogliere nel modo corretto.

L’innovazione è uno strumento essenziale per le imprese. Con l’avvento dell’intelligenza artificiale generativa e le nuove tecnologie accessibili a un pubblico sempre più ampio, come possono i giovani talenti sfruttare queste opportunità per crescere professionalmente e contribuire allo sviluppo economico?

Oggi si pone molta enfasi sull’intelligenza artificiale generativa, ma è tutta l’intelligenza artificiale ad essere un fenomenale abilitatore di aumenti di produttività, anche quella che non si vede, che non fa notizia ma che rende i processi più efficienti, accelera innovazione, abilita nuove funzioni. Dovremmo smetterla di raccontare sempre il bicchiere come mezzo vuoto! Grazie all’innovazione tecnologica mai nella storia, come oggi, abbiamo avuto tutta l’informazione che ci serve per qualunque attività, direttamente accessibile, la possibilità di studiare e viaggiare, la disponibilità di capitali per chi ha idee di metterle a terra con volontà e passione.

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Irene Tinagli

Quali opportunità specifiche offre l’Europa ai giovani attraverso l’innovazione, considerando iniziative come il programma Horizon Europe e altri fondi destinati alla ricerca o allo sviluppo di competenze digitali?

Dice un amico, con uno slogan che trovo efficace, che la ricerca trasforma denaro in conoscenza e l’innovazione trasforma la conoscenza in denaro. L’Europa è molto presente in entrambe queste fasi, con i già citati programmi di ricerca, ma anche con i fondi che investono nel venture capital e nell’open innovation, ad esempio quelli gestiti dalla Banca Europea per gli Investimenti. Purtroppo, non c’è una conoscenza diffusa delle opportunità che l’Unione europea offre ai cittadini perché non c’è una grande attenzione da parte dei media su questi temi. A mio avviso quello che già facciamo è solo una parte di quello che andrebbe fatto, sia in termini di risorse da stanziare sia per quanto riguarda i programmi che andrebbero attivati.  Tuttavia, sarebbe già una buona cosa per il nostro Paese partire da ciò che c’è già e che noi non sfruttiamo appieno. Basti pensare che finora abbiamo speso meno dell’1% del totale dei fondi stanziati dall’Unione europea per l’Italia per il periodo 2021-2027.

In che modo l’Europa può bilanciare la necessità di regolamentare innovazioni pervasive, come l’Intelligenza Artificiale, rispetto alle numerose opportunità che queste tecnologie offrono ai giovani imprenditori e ricercatori?

La richiesta di regolamentazione è arrivata per prima dalle stesse aziende della Silicon Valley. Le regole europee sull’intelligenza artificiale sono frutto di un lungo processo iniziato nel 2018 con la costituzione di un gruppo di esperti provenienti dall’accademia, dalle imprese (non solo europee) e dalla cultura che ha fatto molte raccomandazioni su come disciplinare il settore. Le nostre regole non sono quindi un fulmine a ciel sereno, ma sono il frutto di un percorso ragionato, meditato e approfondito. Ovviamente chi prima non aveva regole, quando poi arrivano, ne troverà qualcuna che non gradisce e la criticherà, ma la bontà complessiva dell’impianto europeo è testimoniata da altri atti normativi adottati successivamente in altri paesi (tra cui gli USA) che hanno alcuni tratti in comune con quello dell’UE. Anche nei confronti internazionali, bisogna fare le giuste distinzioni. Se si analizzano i prodotti della ricerca, si vede come l’Europa se la stia giocando alla pari con USA e Cina. Il nostro problema – soprattutto rispetto agli USA – è che siamo carenti nell’innovazione. È sbagliato attribuire alla regolamentazione colpe che non ha: fino a poche settimane fa non c’erano regole per l’intelligenza artificiale, ma non è nato un campione europeo. Piuttosto il problema è la carenza di un mercato unico europeo e una disponibilità di capitali di rischio di molto inferiore a quella degli USA. Due problemi di cui Enrico Letta e Mario Draghi hanno parlato molto nella fase di preparazione dei rapporti che la Commissione europea e il Consiglio dell’UE hanno commissionato loro.

L’AI Act rappresenta un passo cruciale nella gestione della diffusione dell’intelligenza artificiale. Quali sono le prospettive future per questa regolamentazione e quali ulteriori aspetti legislativi e sociali ritiene debbano essere affrontati per sostenere l’innovazione senza compromettere la sicurezza e la privacy?

L’AI Act è una norma trasversale, che pone dei paletti per quelle attività che sono ritenute di maggiore rischio per i cittadini europei. Fra queste sicuramente c’è la privacy. Per noi europei la privacy è un diritto fondamentale e sentiamo maggiormente l’esigenza della sua protezione rispetto ad altre zone del mondo. Tuttavia, non è infrequente che la privacy venga usata come giustificazione di posizioni che poco hanno in realtà a che vedere con il vero dettato della norma. La ricerca è quasi sempre in grado di offrire soluzione per innovare in modo compatibile con i nostri valori. Anche su questioni molto sensibili, come ad esempio il riconoscimento biometrico, penso che si svilupperanno tecniche capaci di superare molte delle attuali criticità.

Quali iniziative possono intraprendere le istituzioni europee e nazionali per promuovere una cultura dell’innovazione consapevole tra i giovani, garantendo al contempo che la tecnologia sia utilizzata in modo etico e responsabile e che si creino nuove opportunità di crescita e sviluppo per i cittadini?

Lo sforzo che ci attende non è da poco. L’AI ci apre a delle applicazioni che prima ritenevamo fossero appannaggio delle capacità umane. Ma a ben vedere è sempre stato così, basti pensare alla calcolatrice: prima che esistesse pensavamo che fare le radici quadrate fosse una attività caratteristica dell’intelligenza umana. Oltre al calcolo, l’AI ci consente di fare percezione, classificazione e generazione di contenuti, ma non ci consente di fare tutto. E inoltre, essendo basata su modelli statistici, non è sempre corretta.  Dobbiamo capirne le potenzialità ed i limiti; non riporre aspettative in capacità taumaturgiche che non ha. Il maggior pericolo per questo strumento non è lo strumento in sé ma l’uso improvvido che potremmo farne. La nostra sfida è quindi rendere la popolazione consapevole di cosa sia l’AI, di come funziona, di quando si può applicare e quando no. Solo in questo modo sarà possibile fare dell’AI un uso positivo, etico e responsabile.

Irene Tinagli è Eurodeputata e Presidente della Commissione Problemi Economici e Monetari del Parlamento Europeo. Dopo la Laurea in Management conseguita presso l’Università L. Bocconi, ha conseguito un Master of Science e un Dottorato in Public Policy presso la Carnegie Mellon University di Pittsburgh, con specializzazione in economia dell’innovazione e sviluppo. Dal 2009 al 2013 ha insegnato Management presso l’Università Carlos III di Madrid, nel 2013 è stata eletta alla Camera dei Deputati e nel 2019 al Parlamento europeo.