Nuove ricerche suggeriscono che il grafene garantirebbe una comunicazione ottica più efficiente nei chip dei data center e dei supercomputer.
di Mike Orcutt
Grafene illuminante: Un’immagine colorata al microscopio elettronico mostra un fotorecettore in grafene (viola) integrato in una guida d’onda in silicio (la sporgenza centrale). Su ciascun lato riposa un elettrodo metallico (verde).
I chip computerizzati che usano la luce, al posto degli elettroni, per trasportare dati tra componenti elettroniche e verso altri chip potrebbero rivelarsi essenziali per supercomputer e data center più efficienti. Diversi laboratori industriali di ricerca stanno lavorando a interconnettori ottici del genere che fanno affidamento sul germanio per trasformare la luce in numeri. Una recente ricerca suggerisce però che i dispositivi in grafene potrebbero essere ben più economici e performanti.
Un interconnettore ottico consiste di un modulatore che converte i segnali elettrici in segnali ottici, e un fotorilevatore, che compie l’operazione inversa. Le attuali iterazioni presentano modulatori in silicio e fotorilevatori in germanio. Intel ha recentemente annunciato piani per utilizzare tale tecnologia e avviare la produzione di un prodotto che chiama “fotonica in silicio” da utilizzare nei data center (vedi “Intel’s Laser Chips Could Make Data Centers Run Better“).
I fotorilevatori in grafene hanno però buone probabilità di eguagliare e sorpassare in qualche anno le prestazioni di quelli in germanio sotto diversi aspetti importanti, spiega Dirk Englund, un professore di ingegneria elettrica e scienza dei computer al MIT. Sebbene i dispositivi in grafene siano ancora un ordine di magnitudo indietro rispetto al germanio in termini di capacità di generare corrente in risposta all’assorbimento della luce, in appena qualche anno sono migliorati enormemente sotto questo stesso aspetto.
Stando a Englund, il grafene ha diversi potenziali vantaggi sul germanio. Grazie alle sue eccezionali proprietà elettroniche, i dispositivi in germanio possono operare a frequenze molto elevate, e in principio potrebbero gestire più informazioni per secondo. Inoltre, il grafene può assorbire un raggio più ampio di lunghezze d’onda rispetto al germanio.
Questa proprietà potrebbe essere sfruttata pe trasmettere simultaneamente più flussi di dati nello stesso raggio di luce. Oltretutto, a differenza dei rilevatori in germanio, i fotorilevatori in grafene operano “abbastanza bene” senza applicare un voltaggio, il che potrebbe ridurre la quantità di energia richiesta per trasmettere dati. Per finire, Englund spiega che i rilevatori in grafene richiederebbero, al meno in principio, processi più semplici ed economici per venire integrati nei chip in silicio.
Il grafene deve pero risolvere un grosso problema per essere utilizzato come materiale fotorilevatore: non assorbe particolarmente bene la luce. Per risolvere questo problema, tre gruppi – uno guidato da Englund, un altro guidato da Thomas Muller, un professore dell’Istituto di Fotonica presso l’Istituto Tecnologico di Vienna, e un team dell’Università cinese di Hong Kong – hanno sviluppato separatamente rilevatori su chip composti da una sottile lamina di grafene accoppiata con una guida d’onda in silicio, un componente che delimita e guida la luce e ne massimizza l’interazione.
Il primo modulatore in grafene è stato dimostrato nel 2011. Questo recente lavoro suggerisce quindi che si potrebbe realizzare un’interconnessione ottica fatta interamente di grafene.
Un elemento importante nelle nuove dimostrazioni è che, in ciascun caso, il grafene è stato trasferito al substrato in silicio attraverso processi meccanici che non sono favorevoli a una manifattura su larga scala. CI sono stati recenti progressi nello sviluppo di processi su larga scala per crescere il grafene sui substrati desiderati, ma queste soluzioni non sono ancora fattibili.
Oltretutto, i fotorilevatori in grafene sono molto indietro rispetto a quelli in germanio in termini di sviluppo tecnologico, avverte Solomon Assefa, uno scienziato ricercatore presso il T.J. Watson Research Center di IBM. Con il grafene, dice, “c’e’ ancora tanto da fare. Ha il potenziale per essere efficace nei costi, ma dobbiamo ancora scoprirlo”.
(MO)