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A partire dalla grande crisi del 2008, analisti e istituzioni si sono rimpallati anticipazioni e prospettive sul mercato del petrolio che non sempre si sono rivelate attendibili. Troppi fattori influiscono sull’andamento delle quotazioni, e forse le regole valse finora dovranno essere definitivamente riviste.

di Paul Betts

Non mi ricordo precisamente chi, ma uno dei membri della veneranda dinastia Rothschild voleva comunicare agli investitori un messaggio estremamente semplice ma di grande interesse.

“I titoli che salgono prima o poi scendono e i titoli che scendono prima o poi salgono”, ripeteva più volte per spiegare perché in fin dei conti investire è in gran parte una questione di tempismo. In altre parole, si acquistano o si vendono titoli quando si pensa che il mercato prenda una direzione o l’altra. Se si vuole agire con più prudenza, si vende un po’ prima e si comincia ad acquistare un po’ dopo l’alternanza ciclica del mercato, anche se ciò comporta una leggera diminuzione dei profitti.

Questa massima non potrebbe essere più vera per i mercati e i prezzi del greggio. Nonostante l’insieme dei sofisticati sistemi tecnologici del 21° secolo, il commercio e i mercati del greggio, le grandi imprese e le banche di materie prime, le imprese petrolifere e gli scaltri investitori finanziari riescono ancora a sbagliarsi quando si tratta di prevedere la direzione dei prezzi del greggio.

Gli ultimi due anni rappresentano un esempio perfetto di questa teoria. A luglio, il prezzo del greggio West Texas Intermediate ammontava a circa 105 dollari al barile mentre il North Sea Brent era ancora più caro.

L’industria e gli analisti finanziari guidati da Goldman Sachs, l’influente banca di investimento statunitense con un importante attività commerciale nel settore delle materie prime, suggerivano che il greggio avrebbe potuto raggiungere la cifra di 150 dollari al barile, e toccare addirittura i 200.
Da quel momento, si è verificato un crollo dei prezzi quasi ininterrotto con il prezzo del WTI che ha registrato il minimo storico di 26 dollari al barile a febbraio di quest’anno. Questo prezzo ha superato persino il minimo raggiunto durante la crisi e la recessione finanziaria del 2008-2009.

Il dubbio degli analisti, le regole dei mercati

Le stesse analisi, condotte da Goldman Sachs, prevedevano appena tre mesi fa che i prezzi del greggio statunitense sarebbero continuati a scendere fino a 20 dollari al barile, e forse ancora più in basso.

Da allora, i prezzi hanno registrato un rally di quasi l’80% con il Brent che a maggio era negoziato a quasi 50 dollari al barile e il WTI a 48 dollari al barile. A gennaio, quando Goldman Sachs e gli altri stimavano cautamente un calo continuo dei prezzi, la comunità dei fondi speculativi era convinta del contrario. Tra l’inizio di gennaio e la fine di aprile, gli hedge fund e gli altri gestori patrimoniali hanno quasi triplicato la loro posizione sui future e le opzioni di WTI e di Brent, passando da 234 milioni di barili al primato di 663 milioni di barili.

Tuttavia, durante le scorse settimane, gli hedge fund hanno cominciato ad accorciare le posizioni lunghe sul greggio, assumendo una posizione più prudente non appena l’analisi di Goldman Sachs ha assunto una sfumatura più positiva, indicando in una ricerca che “il mercato del greggio è passato da avere magazzini sovraccarichi a magazzini quasi vuoti molto prima di quanto ci si aspettasse”. L’analisi continuava indicando che “l’assestamento del mercato del greggio ha finalmente cominciato il suo corso”.
Queste dichiarazioni hanno coinciso con la relazione dell’Agenzia internazionale dell’energia (AIE) che prevede che i mercati globali petroliferi “stanno procedendo verso una situazione di equilibrio”, dopo la domanda sorprendentemente forte registrata durante il primo trimestre del 2016. L’agenzia aveva anche previsto che l’eccesso di offerta sarebbe stato solo di 1,3 milioni di barili al giorno nella prima metà dell’anno data l’inaspettata forte domanda da parte di Cina, India e Russia. Secondo tali analisi, l’eccesso di offerta nel mercato mondiale petrolifero sarebbe costantemente diminuito nei due anni successivi con una domanda nuovamente superiore all’offerta a partire dal 2018.

Il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto?

Attualmente l’industria e gli analisti sembrano non essere d’accordo su tali previsioni. Da un lato ci sono coloro che ritengono che il ciclo del petrolio abbia finalmente raggiunto il punto più basso e che i prezzi siano destinati a crescere oltre i 50 dollari al barile entro la fine di giugno per avvicinarsi ai 60 dollari l’anno prossimo. Dall’altro invece ci sono coloro che pensano che il rally recente sia stato solo un fenomeno temporaneo e che prezzi siano destinati a calare nuovamente.

Entrambe le opinioni hanno buoni argomenti a supporto. Le opinioni positive possono contare sul miglioramento dell’evoluzione della crescita e della domanda nei mercati emergenti nonché su una performance sorprendentemente forte del PIL statunitense.
Fattori geopolitici e di altro tipo potrebbero anch’essi provocare riduzioni dell’offerta, come si è verificato recentemente in Nigeria, Venezuela, Canada, Kuwait, Iraq del nord e Cina, che provocherebbero un aumento del prezzo del greggio. In tal caso i sostenitori di questa teoria non pensano che l’Arabia Saudita potrebbe inondare il mercato con ulteriore greggio poiché ciò comporterebbe costi e impianti di trivellazione aggiuntivi, nonché il tempo necessario per aumentarne la capacità.
Questo vale anche per i produttori statunitensi dello shale, che non sarebbero in grado di aprire di più i rubinetti da un giorno all’altro come alcuni sostengono.
Ritardi e cancellazioni di progetti a lungo termine e di investimenti da parte di società petrolifere implicano anche che l’offerta potrebbe essere insufficiente a fronte di una domanda più ampia. Il Rystad Energy Group norvegese stima che, ad oggi, siano stati rinviati o cancellati progetti a livello mondiale per un totale di 270 miliardi di dollari.

Allo stesso modo anche i ribassisti hanno buoni argomenti a loro favore. Sostengono infatti che la crescita globale potrebbe avverarsi inferiore alle stime. Il Fondo Monetario Internazionale ha abbassato proprio di recente le sue previsioni di crescita mondiale a un misero 3,2% quest’anno. D’altronde anche i mercati energetici stanno cambiando a causa dell’eventuale impatto delle varie politiche sul cambiamento climatico. Perciò mentre l’AIE prevede che il mercato ritornerà a una situazione di equilibrio a breve termine, a lungo termine osserva un calo della domanda a causa delle politiche in evoluzione in materia di cambiamento climatico e di emissioni.

Secondo questo scenario a lungo termine, l’AIE prevede un calo della domanda del 22% entro il 2040 fino a 74 milioni di barili al giorno qualora vengano messe in atto misure per mantenere il riscaldamento globale ai livelli necessari per evitare gravi conseguenze per il pianeta. Molto più a breve termine, troviamo poi la posizione dell’Arabia Saudita che ha una capacità petrolifera in eccesso così importante che potrebbe mitigare i prezzi del greggio in qualsiasi momento aumentando l’offerta.

Infine, il valore del dollaro statunitense giocherebbe ancora un ruolo importante a breve-medio termine sulla direzione del prezzo del greggio.

Senza base, né tetto

Durante il primo trimestre del 2016, la debolezza del dollaro è stato un altro fattore fondamentale per la crescita dei prezzi del petrolio. Tuttavia, la Federal Reserve statunitense sta mostrando abbastanza chiaramente ai mercati che intende procedere con uno o due altri aumenti dei tassi di interesse quest’anno. Il dollaro ha perciò aumentato nuovamente il suo peso sul prezzo del greggio. Insomma, come afferma un analista del settore petrolifero statunitense, sapere a cosa e quando credere è sempre stato un fattore importante nel gioco del petrolio, oggi più che mai.

Di sicuro, possiamo affermare che la volatilità sui prezzi del greggio è aumentata e che continuerà a farlo in un settore abituato da tempo a sali e scendi considerevoli.
Patrick Pouyanné, amministratore delegato dell’importante gruppo petrolifero francese Total, è stato abbastanza schietto al riguardo qualche settimana fa durante una visita in Scozia per inaugurare un nuovo impianto di estrazione di gas nelle isole Shetland del valore di 800 milioni di sterline. “Il prezzo del petrolio non è mai stabile”, ha affermato. “Abbiamo commesso un errore nell’industria quando un barile era negoziato a 100 dollari. Pensavamo fosse una specie di base. Oggi la gente pensa che sia un tetto. Non c’è nessuna base, nessun tetto: il prezzo continuerà ad oscillare.” Vi dice niente? L’amministratore delegato francese sembra fare eco a suo modo a quello che una volta il vecchio saggio Baron Rothschild diceva ai suoi ricchi clienti.

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(sa)