Il Cyber Command statunitense ha messo in crisi l’apparato paramilitare dell’Iran

Secondo il “New York Times”, funzionari americani affermano che un attacco informatico americano contro l’Iran lanciato all’inizio dell’estate ha avuto un impatto persistente sulla capacità dell’esercito iraniano di colpire le petroliere nel Golfo Persico.

di Patrick Howell O’Neill

Secondo fonti locali, gli iraniani stanno ancora riorganizzando sistemi, reti e database dopo l’attacco informatico che è stato lanciato a giugno al culmine delle tensioni tra Iran e alleati americani.

L’attacco è stato lanciato dal Cyber Command statunitense, che ha preso di mira e, secondo quanto riferito, distrutto un database chiave utilizzato dalle forze paramilitari dell’Iran note come Guardie rivoluzionarie islamiche.

Secondo i funzionari statunitensi, i cosiddetti “pasdaran” sono i responsabili degli attacchi con mine che hanno colpito due petroliere nello stretto di Hormuz; L’Iran nega qualsiasi responsabilità.

Il database preso di mira sarebbe stato utilizzato dalle Guardie rivoluzionarie per pianificare gli attacchi nel Golfo Persico.

Lo stretto di Hormuz è uno snodo chiave dal punto di vista strategico, che divide il Golfo dal Mare dell’Oman. Quasi la metà del commercio mondiale di petrolio passa attraverso lo stretto.

Gli attacchi informatici rappresentano un’arma chiave nell’arsenale americano poiché la leadership statunitense e iraniana sono impegnate in un conflitto diplomatico andato avanti per tutto il 2019.

Invece di un tradizionale “attacco cinetico” con un missile, un attacco informatico è da considerare “sotto la soglia” di uno stato di guerra e in teoria può evitare l’escalation che altri attacchi possono provocare.

L’incursione è arrivata in risposta all’Iran che ha attaccato e abbattuto un drone americano senza pilota nella regione.

Funzionari statunitensi hanno dichiarato che non vi è stata alcuna escalation del conflitto con l’Iran a seguito di questi attacchi e dal 20 giugno le petroliere hanno attraversato lo stretto senza problemi.

Il Golfo Persico è uno dei ciberteatri di guerra più attivi al mondo. L’altro giorno, è stato pubblicato un rapporto sugli hacker iraniani che hanno colpito i giganti del petrolio e del gas nelle nazioni rivali del Golfo.

Si tratta dell’ultimo di una lunga serie di attacchi informatici nella regione che durano ormai da due decenni. In un angolo del mondo notoriamente afflitto da divisioni storiche, le potenze del Golfo Persico hanno spostato la lotta per il potere regionale nel ciberspazio.

L’industria dell’energia è in genere in prima linea in questi conflitti, sia che gli attacchi avvengano in modo tradizionale, come nel caso delle mine che hanno colpito le petroliere a giugno, sia che si tratti di attacchi informatici, come nell’ultimo caso.

Le aziende, oltre a essere una fonte di grande ricchezza, sono strettamente collegate o controllate direttamente da dittatori o autocrati alla guida di ciascuno di questi stati.

La sensazione che gli americani siano più attivi del soliti nel ciberspazio è legata a una precisa politica portata avanti dall’attuale governo.

Annullando le regole dell’era Obama l’amministrazione Trump ha deciso una strategia aggressiva nel ciberspazio.

Il generale dell’esercito Paul Nakasone, capo del Cyber Command degli Stati Uniti, afferma che il suo mantra è “l’impegno persistente”, un ulteriore segnale evidente che gli hacker del governo degli Stati Uniti stanno assumendo un ruolo più attivo che mai.

Immagine: L’Eisenhower Carrier Strike Group transita nello Stretto di Hormuz nel 2016. U.S. Navy

(rp)

Related Posts
Total
0
Share