Filmare la violenza della polizia non ha cambiato nulla

Dopo anni di riprese video di episodi in cui è stato fatto un uso eccessivo della forza da parte degli agenti di polizia, è chiaro che le immagini da sole non provocano cambiamenti, se non ci sono modifiche delle leggi.

di Ethan Zuckerman

L’omicidio di George Floyd da parte degli agenti di polizia di Minneapolis è stato ripreso in video, non una ma diverse volte. Al di là della difficoltà di capire perché un agente di polizia abbia continuato a comprimere il collo e la colonna vertebrale di un uomo per alcuni minuti dopo che quest’ultimo aveva perso conoscenza, abbiamo filmati dalle telecamere di sicurezza di Cup Foods, dove Floyd avrebbe pagato le sigarette con una banconota falsa da 20 dollari. Mentre si rimane attoniti a vedere altri tre poliziotti limitarsi a guardare mentre il loro collega uccide Floyd, abbiamo filmati dai telefoni cellulari di testimoni che hanno implorato gli agenti di far alzare Floyd da terra. 
 

Nel processo per omicidio dell’agente Derek Chauvin, che faceva parte della pattuglia nonostante 17 denunce civili contro di lui nonostante e il precedente coinvolgimento in due sparatorie con sospetti, la sua difesa potrebbe dipendere dal video delle microcamere che lui e gli altri agenti indossavano. Nessuno di questi video ha salvato la vita a George Floyd ed è possibile che nessuno di loro condannerà il suo assassino.

L’agente Chauvin lo sapeva. Nel video girato dalla diciassettenne Darnella Frazier, lo si vede guardare verso l’adolescente. Sa che sta girando un filmato e sa che è probabile che il video venga trasmesso su Facebook, suscitando orrore in chi lo guarda. Dopotutto, quattro anni prima in un sobborgo della vicina St. Paul, l’agente Jeronimo Yanez ha sparato e ucciso Philando Castile mentre il suo partner ha trasmesso il video su Facebook. La dashcam della macchina della polizia di Yanez ha anche registrato i sette colpi sparati. Fu accusato e assolto.

Dopo la morte di Castile, ho scritto un articolo per MIT Technology Review sulla “sousveillance”, la cosiddetta sorveglianza “dal basso” di Steve Mann, il “padre dell’informatica indossabile”, secondo cui un sistema di telecamere collegate controllate dai cittadini potevano essere usate per rendere più responsabile il potere. 

Anche se il video dello spettatore che ha ripreso il soffocamento di Eric Garner da parte dall’agente di polizia di New York Daniel Pantaleo nel 2014 ha portato solo all’arresto di Ramsey Orta, l’uomo che ha filmato l’omicidio, avevo espresso la mia speranza che “l’ubiquità di telecamere sui telefoni cellulari combinate con i servizi di streaming video come Periscope, YouTube e Facebook Live avessero posto le basi per un’assunzione di responsabilità nell’uso della forza da parte della polizia”.

Mi sbagliavo.

Gran parte di ciò che pensiamo della sorveglianza viene da Michel Foucault. Il filosofo francese esaminò le idee del riformatore inglese Jeremy Bentham, che propose il panopticon, vale a dire un carcere ideale in cui ogni cella era osservabile da una torre di guardia centrale. La possibilità che qualcuno potesse osservare, secondo Bentham, sarebbe stata sufficiente per prevenire comportamenti violenti da parte dei prigionieri. 

Foucault osservò che sapere di essere osservati ci costringe a sorvegliare noi stessi; il nostro atto di disciplinarci come se fossimo sempre sotto osservazione, più che la minaccia della punizione corporale, è il meccanismo principale della “tecnologia politica” e del potere nella società moderna.

La fiducia nella sorveglianza sociale deriva dalla stessa logica. Se gli agenti di polizia sanno che vengono sorvegliati sia dalle loro telecamere in dotazione che dai civili con i telefoni cellulari, si disciplineranno e si asterranno dal compiere violenze inutili. È una buona teoria, ma in pratica non ha funzionato. 

Un ampio studio condotto nel 2017 dall’ufficio del sindaco di Washington, DC, ha fatto indossare microcamere a più di un migliaio di agenti di polizia nel distretto mentre gli altri agenti non le avevano. I ricercatori speravano di trovare prove del fatto che indossare le telecamere fosse correlato a un comportamento migliore della polizia, a un minor uso della forza e a un calo delle denunce civili.

Non è successo nulla di quanto previsto. La differenza di comportamento tra gli agenti che sapevano di essere sorvegliati e quelli che sapevano di non esserlo è stata statisticamente insignificante. Un’altra ricerca, che ha analizzato i risultati di 10 studi randomizzati e controllati sull’uso di microcamere in diverse nazioni, ha un titolo che parla da solo: Indossare microcamere aumenta gli attacchi contro gli agenti e non riduce l’uso della forza da parte della polizia.

In risposta allo studio del 2017, alcuni studiosi hanno sperato che se le telecamere non impedivano un comportamento violento da parte degli agenti, almeno la visione dei filmati li avrebbe riportati alle loro responsabilità. Anche in questo caso le microcamere raramente ottengono il risultato sperato. 

Anche se un’attenta analisi fotogramma per fotogramma mostra spesso che le vittime delle sparatorie della polizia erano disarmate e che gli agenti scambiavano oggetti innocui con le armi, gli avvocati della difesa proiettano i video a velocità normale per mostrare quanto gli scontri tra polizia e sospetti siano tesi, veloci e spaventosi.

Nel 1989, una decisione della Corte suprema ha stabilito che se i poliziotti hanno una paura “oggettivamente ragionevole” che le loro vite o la loro sicurezza siano in pericolo, sono giustificati all’uso della forza mortale. I video delle telecamere delle forze di polizia e dei telefoni cellulari degli astanti hanno contribuito a rafforzare le pretese di difesa della “ragionevole paura” tanto quanto hanno dimostrato la colpevolezza degli agenti di polizia.

Si scopre che le immagini contano, ma anche il potere. Il panopticon di Bentham funziona perché il guardiano della prigione ha il potere di punire se assiste a un comportamento scorretto. Ma l’altra speranza di Bentham per il panopticon – che il comportamento del guardiano sarebbe stato trasparente e valutato da tutti coloro che assistono – non è mai avvenuta. In 10 anni, dal 2005 al 2014, solo 48 agenti sono stati accusati di omicidio o omicidio colposo per uso di forza letale, sebbene più di 1.000 persone all’anno vengano uccise dalla polizia negli Stati Uniti.

Mentre fissava Darnella Frazier, l’agente Chauvin lo sapeva, perché è impossibile lavorare nelle forze dell’ordine negli Stati Uniti e non saperlo. Le istituzioni che proteggono gli agenti di polizia dalle conseguenze legali delle loro azioni – divisioni degli affari interni, leggi sul servizio civile, sindacati di polizia, “ragionevole paura” – lavorano molto meglio di chi li vuole colpire per i loro abusi.

La speranza che le telecamere pervasive da sole compensassero il razzismo sistemico che porta all’uso sproporzionato della forza nei confronti della comunità di colore era semplicemente un volo pindarico tecno-utopico. Era la fantasia che la violenza della polizia potesse essere risolta aumentando i flussi di dati. 


Ma dopo anni di utilizzo sempre più diffuso di microcamere e filmati sui social media, è chiaro che le informazioni possono funzionare solo quando sono sfruttate da chi ha il potere. Se c’è una cosa che gli americani, in particolare le persone di colore in America, hanno imparato da George Floyd, Philando Castile ed Eric Garner, è che le immagini sono in gran parte impotenti per apportare cambiamenti sistemici.

Questo è il motivo per cui le persone sono scese in strada a Minneapolis, DC, New York e tante altre città. C’è una cosa che le immagini della brutalità della polizia sembrano avere il potere di fare: scioccare, oltraggiare e mobilitare le persone per chiedere un cambiamento sistemico. A oggi, sembra essere l’unico valido motivo per continuare a riprendere gli episodi di violenza.

Immagine: Proteste ad Atlanta, in Georgia. Elijah Nouvelage / Getty Images

(rp)

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