ELIS

ELIS: la tecnologia strumento per la formazione e l’inclusione

Il consorzio di imprese opera su tutto il territorio nazionale con un approccio innovativo al settore della formazione, con una forte impronta tecnologica.

Pietro Papoff è direttore di ELIS, un consorzio di imprese che si occupa di formazione. Ma lo fa in maniera speciale, come racconta a MIT Technology Review.

Che ruolo ha la tecnologia nel modo di operare di ELIS?

ELIS nasce come scuola per operai. Abbiamo sempre pensato di dover essere una frontiera nell’utilizzo della tecnologia, non perché abbiamo qualche particolare passione, ma perché la tecnologia è strumento di inclusione, che è il nostro principale obiettivo. Potremmo definire il nostro rapporto con la tecnologia un “innamoramento strumentale”: è per noi, cioè, uno strumento per fare altro.

Che tipo di attività o progetti sono abilitati da questo “innamoramento strumentale”?

Porto un esempio concreto. Abbiamo avviato un progetto, assieme al Politecnico di Milano, per realizzare, in remoto, un corso di Laurea in Ingegneria. Abbiamo 150 studenti che, anziché stare fisicamente in Bovisa, a Milano, stanno nella nostra struttura (a Roma, ndr). Questo perché abbiamo voluto dare opportunità a ragazzi che, altrimenti, non avrebbero potuto avere la possibilità di iscriversi a un corso in Ingegneria a Milano. Per farlo abbiamo digitalizzato tutto, remotizzato il corso e consentito ai ragazzi di studiare a distanza. Ma non ognuno a casa propria, bensì vivendo insieme, creando quindi una community, e portando da remoto solamente i docenti.

Pietro Papoff – ELIS

Che risultati state ottenendo?

I dati sono strabilianti e ci dicono che questo modello, che ovviamente si basa fortemente sulla tecnologia (oltre alla remotizzazione delle lezioni abbiamo realizzato anche un repository online, un database di tutte le lezioni didattiche) ha fatto sì che ragazzi in situazioni di disagio diventassero studenti che, invece, si trovano in uno stato di grande privilegio.

Abbiamo quindi usato la tecnologia per realizzare un’operazione didattica che viene chiamata “classe rovesciata”. Tutti i nostri ragazzi vengono in aula non solo per studiare ma per fare le esercitazioni applicative e sperimentali che vengono fatte in gruppo, anche fra studenti di anni di corso diversi.

Abbiamo preso accordi con aziende, come Bending Spoons, alle quali abbiamo proposto di prendere gli studenti del corso per farli lavorare su un progetto. Bending Spoons, per tornare all’esempio precedente, ha accettato di prendere tre studenti: uno del primo, uno del secondo e uno del terzo anno di corso, per farli lavorare a un progetto reale, seguiti da un nostro docente. Questo favorisce moltissimo, tra i giovani, l’apprendimento tra di loro.

Il messaggio che vogliamo dare con questo esempio è il seguente: noi usiamo la tecnologia per fare inclusione. I ragazzi che vengono da noi sono giovani che, per situazioni economiche o geografiche, non potrebbero frequentare questi corsi. Con noi possono studiare con una formula molto più economica (parliamo di circa 500 euro al mese per tutto: vitto, alloggio, corso) e tutto questo grazie alla tecnologia.

Oggi abbiamo portato virtualmente il Politecnico di Milano a Roma; domani potremmo farlo in Nepal o nel Ghana. Oppure allargando agli studenti stranieri, che non possono permettersi corsi molto costosi nei propri Paesi, ma che potrebbero venire, con la stessa formula, a frequentare da noi un corso riconosciuto dall’istituto in cui volevano studiare. Non ci sono limiti. È evidente che questi strumenti consentono di abbattere tante barriere. La tecnologia quindi per noi è un mezzo per fare inclusione.

Com’è strutturata ELIS sul territorio nazionale?

ELIS è un consorzio di imprese. Abbiamo una sede a Roma, che ospita 1300 ragazzi, con un convitto che ne ospita circa 300. ELIS tuttavia è un ecosistema di imprese, centri di formazione e di ricerca, start-up presenti su tutto il territorio nazionale. C’è una rete di partnership che si attivano a seconda delle competenze e delle prossimità territoriali che richiede un progetto di orientamento, di formazione al lavoro o di sviluppo di soluzioni innovative. E poi anche in questo è centrale la tecnologia, che ci permette di comunicare e agire a distanza, e quindi di unire i centri e le periferie del Paese.

Che dati avete raccolto da questo approccio all’istruzione?

Quando io studiavo Ingegneria, al secondo anno un terzo dei ragazzi che avevo conosciuto l’anno prima non c’era più, aveva abbandonato. Nei nostri corsi, se entrano in 100 a frequentare il corso, il secondo anno sono ancora 100 e arrivano a laurearsi, a luglio del terzo anno, l’80% degli iscritti. Il restante 20% si laurea a ottobre. Parliamo di numeri mai visti, anche nelle tempistiche di conseguimento del titolo di studio.

Anche qui la tecnologia ci aiuta a essere fortemente inclusivi. Il fatto di avere tutte le lezioni registrate e disponibili on demand, ha risolto tanti problemi ai ragazzi. Oggi si parla di IA generativa. Quando si avrà a disposizione un software di personal coaching che aiuta gli studenti con feedback, giorno dopo giorno, ovviamente faremo un ulteriore passo in avanti.

È questo che lei vede come il futuro della formazione?

Non c’è dubbio. Lo stiamo vedendo già nel settore medico. Quando ero giovane studiavo i sistemi esterni, sistemi cioè che aiutavano a prendere le decisioni. Anche se non si era esperti, grazie a questi sistemi si potevano prendere delle decisioni valide. L’idea che un medico neolaureato riesca a fare diagnosi accurate grazie al supporto dell’intelligenza artificiale è ormai sdoganato. Quindi è facile immaginare che avere sistemi che conoscono gli studenti, li aiutano con feedback continui e li affiancano giornalmente, possa rappresentare un forte valore aggiunto. Pensiamo all’apprendimento della lingua, questi strumenti sono già diffusi. Avere dei personal coach con IA è senz’altro la strada e anche noi la cavalcheremo. Ma rimaniamo sempre dell’idea che questi rappresentino strumenti di inclusione. Noi tutti, in ELIS, siamo grandi amanti della tecnologia ma perché ci consente di fare cose che, altrimenti, non potremmo fare.

Studenti alle prese con la realizzazione di un orto idroponico durante le giornate di formazione del Summer Camp. ELIS

ELIS si occupa di formazione in un senso molto ampio, come abbiamo visto, non solo da un punto di vista nozionistico ma anche sotto aspetti legati alla crescita della persona. Qual è l’approccio educativo che avete con le questioni etiche che la tecnologia e l’innovazione, soprattutto in questo periodo, stanno sollevando?

Le conoscenze sono fondamentali, ma ciò che fa la differenza per una persona, per avere successo nella vita lavorativa e nella vita personale, sono le caratteristiche “non scolastiche”. Partiamo dal tema del “purpose” che è un concetto molto diffuso oggi nelle aziende. Ogni persona deve darsi una risposta sul perché ha voglia di impegnarsi ogni giorno in quello che fa. Se ogni persona ha un senso di missione, nella vita può fare qualunque cosa. Aiutare ogni ragazzo a sviluppare una personal mission, che poi si traduce in uno statement, è alla base di ELIS. Quindi l’obiettivo di ogni ragazzo diventa: come lasciare una traccia positiva nel mondo. Se si accende questa fiamma nelle persone si risolvono tanti problemi. Oggi c’è invece tanto disorientamento e scoraggiamento in giro. Orientare, proprio in senso etimologico, significa suscitare il desiderio di fare qualcosa con la propria vita e della propria vita. Noi pensiamo che la scuola stia riscoprendo che non può solo essere luogo di istruzione, ma debba rappresentare strumento di sviluppo della personalità, aiutando i ragazzi a trovare la propria strada.

Quanto è importante fare leva anche sull’impatto positivo che si può avere sulla società?

Penso che l’etica non si insegni in aula. Credo che serva portare esempi positivi, persone che incarnino, con la loro vita, un modello di comportamento positivo, virtuoso. Per fare un esempio, abbiamo ospitato Javier Zanetti, campione dell’Inter di qualche anno fa. Zanetti è venuto a dare una testimonianza ai ragazzi e gente da tutta Italia è venuta per incontrarlo. Un ragazzo di 12 anni che, per motivi anagrafici, non ha mai visto giocare Zanetti, guardando su Internet ha scoperto che si occupa tanto di volontariato, ha un’associazione con cui si prende cura di bambini fragili in Argentina, ha una bella famiglia. È, insomma, una persona che incarna un modo bello di vivere. Questo bambino ha scritto a Zanetti per conoscerlo e lui lo ha invitato a seguire una partita dell’Inter per fargli l’autografo. Parliamo di un ragazzino di 12 anni. Un altro esempio di questo genere è Jannik Sinner. Dobbiamo portare queste persone, che rappresentano dei modelli positivi, a contatto con i giovani. Abbiamo creato una faculty, che si chiama ELIS Fellows, composta da 200 persone che abbiamo cercato di scegliere nel mondo delle imprese, come rappresentanti di un modo di lavorare bello e positivo. Persone, insomma, che fanno impresa non con l’unico obiettivo di fare soldi (i soldi li devono comunque fare, altrimenti non potrebbero fare impresa) ma perché vogliono lasciare una traccia positiva in questo mondo. Questi sono gli esempi che vogliamo dare ai ragazzi.

Quali nuovi progetti avete in cantiere?

Sulla base dell’esperienza della Stanford High School, abbiamo fatto partire un nuovo progetto: un liceo, completamente online, basato tutto sulla tecnologia, Il modello Stanford si basa su una classe di docenti che sta a Stanford ma tutti i ragazzi, circa 800 giovani, seguono le lezioni da ogni parte del mondo. D’estate, quando tutti gli studenti “tradizionali” tornano a casa dall’università, questi giovani si trasferiscono a Stanford. Anche in questo caso, grazie alla tecnologia, è stato possibile realizzare un progetto internazionale straordinario, con ragazzi in aula con tanti altri giovani da ogni parte del mondo, che poi si incontrano fisicamente durante l’estate.

Noi abbiamo voluto prendere spunto da questo modello per replicarlo a livello italiano e abbiamo creato 27 scuole, che si trovano in diverse parti d’Italia, dalle Madonie a La Spezia, strutturate come i chapter di Stanford. Fanno, cioè, docenza online, tutti insieme. L’idea principale è che un livello di conoscenza di base lo devono avere tutti i ragazzi, ma ogni giovane ha delle peculiarità e passioni che devono essere assecondate e fortificate. Per questo oltre alle lezioni di base, comuni a tutti, sono previste anche delle lezioni avanzate, specifiche, alle quali partecipano quegli studenti che vogliono approfondire quella determinata materia.

L’aspetto interessante è che anche le aziende intervengono nella didattica, per cui i mercoledì pomeriggio tutti i 700 ragazzi, collegati online, incontrano le imprese che coinvolgono questi giovani, facendoli confrontare con professionisti che lavorano in settori affini agli argomenti studiati. Ad esempio, se la mattina si studia l’effetto fotoelettrico, il pomeriggio un professionista di Open Fiber potrà far vedere ai ragazzi come funziona nella pratica questo effetto e come viene applicato nel suo lavoro.

Il motto di questa scuola è “manus et mens”: non solo teoria ma anche applicazione pratica. Infine, come  Stanford, in estate tutti i ragazzi che seguono i corsi online durante l’anno si ritrovano in presenza e fanno dei summer camp.

Come rispondono le aziende a questa collaborazione che proponete loro?

Le aziende investono molto: tempo, persone, soldi. La cosa che sorprende è che lo fanno con grande entusiasmo e i ragazzi vanno a scuola contenti e durante l’estate fanno anche i summer job in queste aziende. Una bellissima esperienza.

ELIS lavora in tutto il territorio italiano e punta sull’inclusione. Come affronta le differenze territoriali? Esiste ancora una “questione meridionale”?

Partiamo da un dato di fatto: su 150 giovani studenti, 140 sono meridionali. Il problema esiste, non c’è dubbio. C’è il passaparola ma ci sono anche tanti fratelli e sorelle che si iscrivono assieme perché le famiglie non potrebbero permettersi di far studiare i propri figli a Milano. È un modo per affrontare l’università a costi molto ridotti. Sappiamo che aree interne del Paese e il Sud si spopolano. La tecnologia aiuta a risolvere il problema dei giovani che vivono in queste aree e ad offrirgli più opportunità.

Come fanno a esserci costi così ridotti?

In parte grazie alla tecnologia, come abbiamo visto. Ma anche grazie a tante imprese che finanziano i progetti che vengono poi sviluppati dai ragazzi. Esiste una componente della conoscenza non codificabile. La cosiddetta conoscenza tacita. Si può descrivere come si scia, ma per impararlo serve praticarlo. Molte cose si possono imparare solo se si è all’interno di una relazione maestro-discepolo. Spesso il maestro non può fare altro che indicare la giusta via. Se il discepolo riesce ad andare oltre il dito e a guardare la luna, impara. Tutta questa conoscenza passa dalla relazione. Per fare questo noi abbiamo creato uno spinoff, una learning company, che non fa docenza tradizionale ma attraverso progetti. Gli studenti vengono assunti dalla learning company e lavorano su progetti reali guidati da maestri. Quello che emerge è che i ragazzi imparano tanto.

Che tipo di progetti fanno?

Sviluppo di applicazioni per il riconoscimento del danno a partire dalle immagini di un incidente stradale, ad esempio. L’IA e il machine learning riescono a farlo. Il progetto in questione è stato sviluppato per Generali ed è un’app che viene usata dai periti. Un altro progetto, che si sta sviluppando per Open Fiber, riguarda il riconoscimento per immagini che possa realizzare un database geografico delle strutture in fibra del territorio. Grazie a questo progetto, un’attività che viene fatta manualmente potrà essere eseguita da sistemi automatici realizzati dagli studenti.

Un altro progetto, già realizzato, è stato fatto per YOOX (adesso diventata YNAP). L’azienda aveva un problema di frodi: la gente comprava una borsa di marca e dopo due giorni la restituiva. Un comportamento abbastanza normale e tollerato dall’azienda. In realtà alcune organizzazioni criminali acquistavano un prodotto originale dal negozio online e restituivano un prodotto falso. Ma il magazziniere che riceve il reso non sa se è falso e automaticamente lo ripone in magazzino. Grazie a questo progetto i ragazzi hanno creato uno strumento che crea un gemello digitale dell’oggetto venduto. Quando questo rientra per un reso, viene nuovamente scannerizzato e se le immagini non coincidono scatta l’alert.

Parliamo di progetti reali, concreti e fatti per le aziende.

Che consigli darebbe a un giovane imprenditore o innovatore che voglia utilizzare la tecnologia nel settore della formazione?

Gli direi semplicemente di non infatuarsi della tecnologia. La tecnologia è uno strumento, non il fine. Ma è uno strumento fondamentale, che abilita tante altre cose essenziali.

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