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Ecco la strategia cinese per proteggere la supply chain di minerali rari

Cinque grandi domande a Seaver Wang, direttore del dipartimento clima ed energia del Breakthrough Institute di Berkeley.

Quando a luglio la Cina ha annunciato di voler limitare le esportazioni di germanio e gallio, ha ricordato l’influenza che la Cina esercita sulla catena di approvvigionamento globale dei minerali critici, un gruppo di 50 materiali che il governo statunitense ha definito di grande importanza strategica.

Questi minerali sono utilizzati nei chip dei computer e nelle armi di precisione, ma sono anche importanti per il clean tech, le tecnologie utili per passare alle energie rinnovabili e contrastare il cambiamento climatico. Di recente ho parlato con Seaver Wang, co-direttore del team per il clima e l’energia del Breakthrough Institute, un think tank sull’ambiente con sede in California, che finanzia la ricerca sulle politiche energetiche, per capire meglio il ruolo dei minerali critici.

Ecco cinque grandi domande che ho posto a Wang sulle politiche cinesi in materia di minerali critici. La conversazione è stata lievemente modificata per ragioni di lunghezza e chiarezza.

La Cina dipende dalla catena di approvvigionamento globale per i minerali critici?

Wang: Quando si parla del dominio cinese sui minerali critici, spesso ci si riferisce alla fase di lavorazione. Ma la Cina importa minerale grezzo da lavorare.

I minerali più importanti e interessanti dal punto di vista del clean-tech sono i metalli del gruppo del platino utilizzati nelle tecnologie che trasformano l’idrogeno in energia. Metalli come l’iridio, il platino, il palladio e lo zirconio sono utilizzati in varie tecnologie di celle a combustibile e negli stessi elettrolizzatori. Un’enorme quantità di questa produzione proviene dal Sudafrica.

E poi il cobalto di cui il 75% proviene dalla Repubblica Democratica del Congo. La maggior parte del quarzo di elevata purezza utilizzato nel settore della produzione di energia solare e anche per i chip dei computer proviene dagli Stati Uniti. Un elemento interessante è il torio per le centrali nucleari, perché la Cina sta sperimentando reattori veloci alimentati a torio nell’ambito di progetti di dimostrazione nucleare. E il nichel di cui una grande quantità proviene dall’Indonesia.

Il governo cinese considera una debolezza il fatto di dover importare molti minerali?

Wang: La leadership della Cina nello sviluppo di nuove tecnologie per le batterie, come quelle agli ioni di sodio, è dovuta agli sforzi per garantire la resilienza della catena di approvvigionamento. Una batteria agli ioni di sodio protegge dall’incertezza della supply chain del litio e da quella del nichel e del cobalto. Molti degli sforzi di ricerca e sviluppo sono stati fortemente sostenuti perché presentano vantaggi per la catena di approvvigionamento.

Il quarzo ultrapuro è in effetti un esempio di sforzi congiunti pubblico-privati per svilupparne una maggiore disponibilità in Cina. Si sta investendo nella produzione nazionale perché questo è un settore in cui il Nord America domina la produzione attuale. Due aziende americane del North Carolina producono circa 180.000 tonnellate di quarzo purissimo all’anno; Jiangsu Pacific Quartz Products, un’azienda cinese, quest’anno sta aumentando la sua capacità produttiva da 5.000 a 20.000 tonnellate. Questa è praticamente la totalità della produzione globale.

È interessante notare che gli Stati Uniti non hanno restrizioni all’esportazione di quarzo purissimo in Cina, ma la Cina ha una tariffa d’importazione del 16% sul quarzo purissimo statunitense, perché vuole incoraggiare una maggiore produzione interna.

La Cina vuole costruire una filiera nazionale autosufficiente di tecnologie pulite?

Wang: Sia per gli Stati Uniti sia per la Cina, anche se entrambi sono grandi Paesi, qualsiasi riferimento all’autosufficienza è chiaramente solo una fantasia.

Credo che i politici intelligenti di entrambi i Paesi stiano pensando di prepararsi a qualche decoupling (disaccoppiamento) a una guerra commerciale, ma non stanno disegnando la politica industriale in funzione di una rottura completa. Stanno cercando di sviluppare un po’ di know-how, di capacità e di altre fonti di approvvigionamento a livello nazionale, in modo che se ci fosse una restrizione all’esportazione di qualcosa, ci sarebbe comunque un’impennata dei prezzi e l’industria potrebbe attraversare dei momenti difficili, ma sopravviverebbe.

Ma gli Stati Uniti e la Cina continuano a parlare regolarmente di come collaborare sul clima. Non è forse incoerente con la pianificazione del disaccoppiamento?

Wang: Attivisti e sostenitori dello sviluppo sostenibile potrebbero nutrire un’aspettativa poco realistica che vede entrambe le parti in un finale hollywoodiano, in cui si lavora tutti insieme per combattere la sfida globale del cambiamento climatico.

Probabilmente è un po’ improbabile, perché le questioni politiche in cui gli Stati Uniti e la Cina sono in forte disaccordo sono davvero tante. Penso quindi che dobbiamo accettare di non essere d’accordo e che il modo migliore per procedere sia quello di fissare dei buoni paletti alla concorrenza.

Credo che molti politici statunitensi siano riluttanti a mostrare troppa forza sui temi clean-tech, almeno da parte democratica, perché riconoscono che gli obiettivi climatici degli Stati Uniti sono molto legati alle importazioni di tecnologia pulita cinese e non vogliono mettere a repentaglio i rapporti commerciali. E mi chiedo se da parte cinese non ci sia una certa riluttanza a essere troppo competitivi, perché si tratta di industrie di esportazione molto redditizie per la Cina. Quando l’ho saputo, mi sono stupito, ma i prodotti solari fotovoltaici rappresentano una quota sorprendentemente elevata, pari al 7%, del surplus commerciale della Cina.

Oltre agli Stati Uniti e alla Cina, qual è il ruolo degli altri Paesi nella catena di approvvigionamento globale delle tecnologie pulite?

Wang: Un aspetto da tenere presente è quello dei Paesi poveri e a medio reddito che attualmente esportano molti minerali ma non beneficiano di alcuna industria a valle a valore aggiunto.

Lo Zimbabwe ha istituito alcune restrizioni all’esportazione di minerali non raffinati. Volevano incoraggiare gli investimenti finanziari internazionali nelle raffinerie del paese per esportare i prodotti raffinati a beneficio della popolazione. L’Indonesia ha fatto la stessa cosa per il nichel. Nelle economie emergenti c’è una gran voglia di entrare in questi settori industriali, di inserirsi nella transizione verso l’energia pulita e di trarne vantaggi economici. Lo si vede in India, Indonesia, Zambia, RDC e Zimbabwe. Una parte di me a volte si chiede se tra cinque o dieci anni, guardando indietro al dibattito sulla supply chain tra Stati Uniti e Cina, all’ansia, all’ossessione o a qualsiasi altra cosa, tutto sembrerà sciocco, perché le catene di approvvigionamento saranno completamente diverse.

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