Corcione (Reinova), mobilità ed elettrificazione salveranno il futuro industriale

Il fondatore e Ceo di Reinova, azienda che raccoglie le eccelenze della “Motor Valley” , spiega l’importanza dell’elettrificazione. La vocazione italiana alla meccanica di precisione ci può rendere leader nel settore della mobilità. Ma serve coordinamento. E coraggio

L’innovazione prima che una necessità storica è un atto di libertà creativa. Il futuro non si può seguire o inseguire, va costantemente inventato. La visione guida la decisione.

Prendiamo il caso della Motor Valley Italiana: centinaia di aziende, il meglio della meccanica di precisione mondiale, che con la svolta green devono, sì, attuare piani di riconversione, ma seguendo un progetto di lungo periodo, facendo squadra, innovando su più settori.

È la mission di Reinova, azienda nata nel 2020 che da Reggio Emilia si pone come catalizzatore dell’innovazione in quest’area cruciale per l’industria italiana.

Giuseppe Corcione, fondatore e Ceo dell’azienda ha idee -e progetti- chiari a riguardo. «La chiave di tutto è il concetto di mobilità a tutto campo. Permette di andare oltre la categoria automotive, che da sempre caratterizza le aziende leader emiliane, e di essere competitivi “ad ampio spettro” in tutto il mondo», spiega al Mit Technology Review Italia, che ha recentemente organizzato un congresso su Le Vie Italiane all’Innovazione, nel cui ambito Corcione ha proposto un intervento stimolante.

«Se parlo del solo mondo automotive mi riferisco ad aziende che potenzialmente hanno più rischi che opportunità, se parlo più in generale del concetto di mobilità, parlo di grandi prospettive per mercati differenti», precisa Corcione.

Reinova, a oggi conta 45 dipendenti, che arriveranno a 60 entro fine 2022, con un significativo 55 per cento di donne. Dopo un anno dalla nascita fattura cinque milioni di Euro. La previsione, a regime è di 15 milioni, con un forecast di 26 Milioni nel 2026.

Quando parla di mobilità a quali settori si riferisce nel dettaglio?

Si va dal monopattino alla bicicletta, allo scooter, alle moto. Poi c’è il settore nautico, i droni per il trasporto civile, urbano (aerotaxi), passando all’agriculture (damper mini damper, escavatrici, movimento terra, fino a piccoli trattori o medi trattori, fino al settore industriale: macchine di movimentazione industriale, e poi ai minivan, o ai sistemi più grandi di trasporto merci. Per arrivare alla city car fino alla sport car, passando per un mondo che ti porta all’interno del truck elettrificato al bus elettrificato. L’ideazione, la progettazione, la costruzione di tutti questi veicoli, si basano sugli stessi principi.

Il cardine è l’elettrificazione?

Sarà il grande fattore comune di tutto. Tutti questi veicoli hanno in comune un motore elettrico, un’elettronica di potenza, un sistema di controllo. Una struttura in buona parte omogenea. L’elettrificazione ha aperto e unificato settori che tra di loro erano disgiunti, di nicchia. Chi lavorava nell’aeronautico rimaneva nell’aeronautico, chi lavorava nell’automotive rimaneva nell’automotive, chi faceva del due ruote era impensabile che diventasse un fornitore di primo impianto nel settore dell’automotive, né tantomeno nel navale.

Tutto questo perché si sono unificati gli standard dal punto di vista concettuale e dei sistemi, e perché non ci sono tanti elementi che influenzano lo specifico sviluppo di un un componente all’interno di diversi veicoli. Chi entra nel settore dell’elettrificazione oggi si trova di fronte un, come viene definito, “total available market” molto più ampio rispetto a un solo settore. Ma c’è una distinzione fondamentale da fare, quando si parla di mobilità ed elettrificazione.

Ovvero?

La mobilità ha due grandi pilastri: la propulsione e la trazione. Se ragioniamo in termini di unità manifatturiere italiane si parla di trazione, quindi di sostituzione di motore endotermico con la trazione elettrificata.

Quest’ultima ha tre caratteristiche vincenti. L’altissima efficienza (contro la bassissima efficienza del motore endotermico). Risolve abbattimento rumore vibrazioni. Diminuisce le emissioni in atmosfera di gas dannosi, localizzati: non facciamo ipocrisia, non esiste una fonte di energia che sia 100 per 100 pulita, ma esiste una conversione della stessa. Nei clcli urbani, nelle città, negli spostamenti brevi, la soluzione elettrificata è quella ottimale.

In futuro magari avremo i motori a idrogeno per il mantenimento del “long range”, una batteria polmone che servirà  per il ciclo urbano, e il breve termine, magari un serbatoio di metano dal quale recuperare idrogeno e caricare un motore elettrico.

La trazione rimane elettrificata, la propulsione può variare in funzione dell’avanzamento tecnologico.  La propulsione può essere oggi una batteria agli ioni di litio, domani una batteria allo stato solido, una fuel cell con idrogeno o quello che verrà, ma il modo in cui genero energia è transitorio: si andrà ad adeguare con la combinazione di fonti energetiche ottimali per garantire energia ed efficienza. Confondere le due cose è l’errore che commettono tanti in questo settore.

Come è attrezzato il settore in Italia?

C’è un grandissimo know how che esiste e va solo messo a fattor comune, c’è una velocità di adattamento e una capacità imprenditoriale. Quello che manca è una visione comune, e un piano industriale comune. Le aziende oggi sono singole, sono spaesate, ognuno cerca di organizzare il proprio futuro. Quello che serve è una serie di punti strategici sul quale il Paese vuole mettere risorse, competenze, formazione universitaria ecc ecc. I soldi del Pnrr arriveranno, arriveranno a tanti, ma è fondamentale che siano focalizzati.

Le Istituzioni cosa fanno? C’è una visione di politica industriale italiana su questo aspetto a medio/lungo termine?

Non mi pare di vederla. Faccio un esempio molto completo. Non vedo il senso di investire miliardi di euro in gigafactory, in fabbriche di produzione di celle, quando sappiamo tutti perfettamente che questa è una tecnologia “ponte”.

Se approvo quattro miliardi di investimento per fare una gigafactory in Italia impiegherò 5 anni per farla, quando sarò pronto sarò già vecchio in termini di tecnologia, non avrò raggiunto la dimensione critica di ammortamento.

Sto inseguendo una tecnologia che altrove è già matura. Bisogna avere il coraggio di investire in un salto tecnologico. Un laboratorio tecnologico sulle batterie allo stato solido e sui super cap. Serve un game changer che porti valore alla filiera italiana

Alla fine sarebbe più sensato “diventare ciò che si è”, ovverosia sfruttare il potenziale già presente in Italia?

Esattamente: non posso fare la batteria, non l’ho mai fatto nella vita. Devo fare componentistica. Aggiungiamoci del software, rendiamo un pezzo di metallo -che siano viti o altro- intelligente abbastanza, uniamo competenze che fanno sì che quella modularità, quella economia di scala, quel dinamismo, diano occasione di crescere. Siamo stati sempre un paese di tecnologia ad altissimo valore aggiunto.

E qui arriviamo a quello che fa Reinova…

Provenendo da una multinazionale importante, e occupandomi di automotive, a ottobre 2020 mi dico: dico non è possibile che l’italia non abbia un centro di competenze che supporti le aziende. La gente mi diceva: in Motor Valley non ci sarà mai nulla se lo Stato non crea un centro di avanguardia.

Bene. Ho chiesto supporto all’unione industriali di Reggio Emilia, il presidente Storchi mi è stato di grande aiuto. Abbiamo ottenuto una linea di credito con Banca Intesa. L’Assessore allo sviluppo economico e green economy, della Regione Emilia Romagna, Vincenzo Colla ci ha aiutato. Sono stato a parlare con il Ministro dell’Economia Daniele Franco. Sono segnali che danno fiducia.

L’azienda nasce con tre pilastri

  • Il primo è l’ingegneria: portare a casa in un “time to market” estremamente aggressivo, soluzioni tecnologiche: da qui nasce il progetto, in cooperazione con Dell’orto,  per lo sviluppo e la fornitura del powertrain del primo scooter elettrico della Fantic, nascono progetti per la trazione industriale, accordi con brand primari della motor valley e non solo dove forniamo servizi e soluzioni ad alto livello tecnologico. E dall’altra parte invece si apre un mondo.
  • Da qui nasce la seconda “mission” dell’azienda, che è un centro di validazione che segue tutto il processo produttivo. Una volta sviluppata una tecnologia si capisce come testarla e validarla.
  • E si arriva al nostro terzo compito, che è seguire le economie di ricarica, i sistemi di sviluppo, sistemi che vanno sulla rete e che certificano e rafforzano in componenti in ambito cyber security.

Mi pare che ci siano anche accordi con centri universitari…

Naturalmente. Ci sono centri di eccellenza in Salento, a Pisa ed ovviamente Bologna, Modena e Reggio-Emilia. Continuiamo a ricercare nuove collaborazioni, perché bisogna capire che l’Italia è piena di talenti. Recentemente abbiamo implementato una Academy per la cybersecurity, e ho notato una cosa: su undici iscritti nove vengono da ingegneria meccanica. Ed è il segno di una voglia, anche nei giovani, di riconvertirsi. Mi pare un segnale importante.

Non c’è cambiamento senza rischio

E per questo bisogna abbracciare il rischio. Calcolarlo, valutarlo, ma non possiamo eliminarlo del tutto. D’altra parte è giusto anche che l’elemento di rischio diventi uno stimolo per tutti. Privati e Istituzioni.

Immagine: dal sito di Reinova

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