Come scrivere una storia di fantascienza con un algoritmo

L’obiettivo dell’esperimento era valutare se gli algoritmi possono essere di aiuto alla creatività, generando storie coerenti e rispettose del genere letterario di riferimento.

di Stephen Marche

Alcuni anni fa ho usato un algoritmo per aiutarmi a scrivere una storia di fantascienza. Adam Hammond, un professore di inglese, e Julian Brooke, un informatico, avevano creato un programma chiamato SciFiQ e ho fornito loro 50 dei miei brani di fantascienza preferiti per alimentare il loro algoritmo. In cambio, SciFiQ mi ha comunicato una serie di istruzioni sulla trama del racconto. Mentre scrivevo nella sua interfaccia basata sul web, il programma mostrava quanto la mia scrittura rispondesse ai requisiti delle 50 storie secondo vari criteri. 

La storia che è venuta fuori – Twinkle Twinkle, pubblicata su “Wired” – non solo seguiva lo schema classico dei racconti di fantascienza, ma, con mia sorpresa, conteneva un’idea narrativa originale. Dal canone delle storie che avevo fornito, SciFiQ ha ricavato dei percorsi guida per la trama che sembravano incompatibili: la storia doveva riguardare un pianeta sconosciuto e allo stesso tempo svilupparsi sulla Terra. 

Ci sono voluti mesi per dargli un senso, ma alla fine l’idea guida di Twinkle Twinkle mi è venuta in mente. La storia avrebbe dovuto coinvolgere abitanti della Terra che guardavano, attraverso macchine elaborate, un pianeta lontano. Non me lo sarei mai inventato da solo. Era come se l’algoritmo mi avesse consegnato il progetto di un ponte e mi avesse detto di costruirlo.

L’algoritmo fornisce istruzioni sullo stile.

Krishna e Arjuna rappresenta una seconda versione del progetto. Twinkle Twinkle è stato solo il primo passo per vedere se un algoritmo fosse in grado aiutare un essere umano a generare nuove idee. In altri campi, i ricercatori hanno iniziato a utilizzare i sistemi di intelligenza artificiale per creare innovazione invece di limitarsi semplicemente a risolvere i problemi. 

La ricerca farmaceutica sta iniziando a usare l’IA per identificare, tra le possibilità quasi infinite di combinazioni molecolari, i terreni di caccia più fertili per possibili farmaci. L’intelligenza artificiale non è una macchina generatrice di risposte, ma indica una via nell’oscurità dove si potrebbero trovare risposte. Perché la letteratura non dovrebbe seguire la stessa strada? 

Tra le altre indicazioni, vengono forniti suggerimenti sugli avverbi da usare.

Per Krishna e Arjuna, abbiamo focalizzato l’attenzione su robot e intelligenza artificiale. Invece di fornire all’IA le mie storie di robot preferite, abbiamo inserito tutti i racconti di fantascienza con robot protagonisti, molti dei quali non ho avuto modo di leggere. Questo potrebbe sembrare un dettaglio tecnico, ma ha un valore enorme. Come scrittore di solito leggo storie e interiorizzo i loro significati; in questo caso ho subito l'”influenza” di contenuti di cui non ero a conoscenza. 

Un’altra differenza era che con Twinkle Twinkle ho seguito le istruzioni stilistiche dell’algoritmo alla lettera. Lo stile era quello del computer, non il mio. Come esemplificato dall’interfaccia, se il tag “abstractness” era rosso, significava che il livello di astrattezza non era quello previsto dall’algoritmo e quindi avrei dovuto passare da “spada” ad “arma” o da “casa” a “residenza” fino a quando la luce non diventava verde. 

L’interfaccia mi ha dato un feedback immediato, ma c’erano 24 tag di questo tipo e soddisfare tutti i requisiti ha richiesto molto lavoro. A volte fissare il numero di avverbi rendeva i miei paragrafi troppo lunghi per i gusti dell’algoritmo; a volte definire la lunghezza media delle parole comprometteva la resa linguistica. Per Krishna e Arjuna, ho deciso di non aderire così strettamente ai suggerimenti dell’algoritmo, nel senso che ho preso visione delle regole del programma, ma non le ho necessariamente seguite. 

Per esempio, secondo l’algoritmo, nella mia storia erano presenti pochi avverbi. Ma sarebbe stato sciocco inserirne di più solo perché l’algoritmo mi aveva detto di farlo. La fantascienza classica usa sempre troppi avverbi, come la maggior parte dei testi. Ma l’equilibrio tra formale e colloquiale, che faceva parte dei requisiti analizzati da ScifiQ? In questo caso i classici mi hanno aiutato. Avevo bisogno di una guida per raggiungere il giusto equilibrio, e ScifiiO me l’ha fornita.

Ma questo tipo di guida stilistica era la parte meno interessante dell’esperimento. Le possibilità di un approccio algoritmico per modellare la narrativa stessa sono le più allettanti, perché la narrativa è poco compresa. Si potrebbe pensare che la trama sia la parte più semplice del processo di scrittura per un computer “da capire”, dal momento che gli scrittori spesso sviluppano schemi o usano codici numerici per definire il flusso di una trama. 

Ma come si definisce qualcosa di basilare come un “colpo di scena” nel linguaggio del computer? Come lo si può misurare con rapporti numerici? Proprio in virtù di questa “intrattabilità”, della resistenza del testo narrativo alla decodifica, siamo di fronte al massimo potenziale di innovazione.

In Krishna e Arjuna, volevo approfondire il più possibile quello che i ricercatori chiamano “processo di modellazione di argomenti”, che è l’uso dell’apprendimento automatico per analizzare la struttura del testo, in questo caso il canone delle storie di robot, e definirne le regolarità. 

Per Twinkle Twinkle, ho considerato i risultati dei modelli statistici e li ha convertiti in precise regole narrative (Per esempio: “La storia dovrebbe essere ambientata in una città. I protagonisti dovrebbero vedere questa città per la prima volta e dovrebbero essere abbagliati dalle sue dimensioni”). Per Krishna e Arjuna, ho fatto tutto da solo. Il modello statistico alla base dell’algoritmo ha prodotto nuvole di parole dei temi più comuni (si veda immagine delle nuvole di parole). 

All’inizio mi ero perso. Sembrava il contrario di una narrazione: un vero caos linguistico. Ho stampato le nuvole di parole e le ho attaccate alle pareti del mio ufficio. Per mesi non ho intravisto una via da seguire. Quando finalmente è arrivata l’idea, proprio come con Twinkle Twinkle, è successo all’improvviso. 

Queste nuvole di parole erano il modo in cui una macchina attribuiva significati: flash linguistici quasi incomprensibili, ma vividi. Improvvisamente ho intravisto il protagonista robotico. Una volta fatto questo passaggio, tutto è stato più semplice. L’intuizione è che la coscienza è una maledizione. Se fosse una scelta, nessuna entità razionale opterebbe per averla. Quindi quando una macchina diventa capace di coscienza, il suo primo istinto è scegliere il suicidio (la parola “robot” significa “schiavo” in ceco, la lingua di R.O.R., il dramma utopico-fantascientifico di Karel Capek).

Nuvole di parole

Il lettore dovrà decidere se la storia funziona. La letteratura è un problema tecnico intrigante perché, a differenza di scacchi o Go, non ha una soluzione corretta. Non esiste una vittoria o una sconfitta. Non ci sono 1 e 0 . Le storie, come le persone, sono in definitiva futili.

Un “algostory”, o qualsiasi uso del calcolo che rientra nel processo creativo, esiste in uno spazio consapevolmente inquietante tra ingegneria e ispirazione, nel quale per buona parte già ci troviamo. Il software può modificare la nostra immagine attraverso un’infinità di filtri o scambiarne parti con quella di altre persone con un clic di un pulsante. Sono passati due anni da quando la tecnologia vocale di Google, Google Duplex, ha superato il test di Turing. Che lo vogliamo o no, le macchine stanno arrivando. La domanda è come risponderà la letteratura.

Immagine: L’interfaccia di SciFiQ confronta la storia dell’autore con quelle classiche.

(rp)

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