Il campo in costante espansione dell’urbanistica sensoriale sta cambiando il modo di progettare interi quartieri da parte degli urbanisti
Jennifer Hattam
Quando David Howes pensa alla sua città natale, Montreal, gli vengono in mente i toni armoniosi del Carillon di campane e l’odore dei bagel cucinati sul fuoco di legna. Ma negli uffici turistici se si chiede quali odori caratterizzano un certo ambiente e quali suoni si possono ascoltare, si ricevono in cambio solo sguardi vuoti. “Non si parla mai degli aspetti di una città che vanno oltre l’aspetto visivo”, afferma Howes, autore del libro The Sensory Studies Manifesto e direttore del Center for Sensory Studies della Concordia University, un hub di un settore in costante crescita, spesso indicato come “urbanistica sensoriale”.
In tutto il mondo, ricercatori come Howes stanno studiando come le informazioni non visive definiscano il carattere di una città e ne influenzino la sua vivibilità. Usando metodi che vanno dalle passeggiate sonore a bassa tecnologia e dalle mappe olfattive allo scraping dei dati, ai dispositivi indossabili e alla realtà virtuale, sono impegnati a ribaltare quello che vedono come un pregiudizio visivo limitante nella pianificazione urbana.
“Il solo fatto di poter chiudere gli occhi per 10 minuti offre una percezione completamente diversa di un luogo”, afferma Oğuz Öner, accademico e musicista, che ha trascorso anni organizzando passeggiate sonore a Istanbul in cui i partecipanti bendati descrivono le loro sensazioni in luoghi diversi. La sua ricerca ha permesso di identificare zone in cui attutire il rumore del traffico con le piante o costruire un organo a onde per amplificare i suoni rilassanti del mare.
Le autorità locali hanno espresso interesse per le sue scoperte, dice Öner, ma non le hanno ancora incorporate nei piani urbani. Ma questo tipo di feedback individuale sull’ambiente sensoriale viene già utilizzato a Berlino, dove le aree più rilassanti identificate dai cittadini utilizzando un’app mobile gratuita sono state incluse nell’ultimo piano urbanistico della città. Secondo le regole dell’UE, ora la città è obbligata a proteggere questi spazi dall’aumento del rumore.
“Il modo in cui vengono identificate le aree da difendere dall’inquinamento acustico si affida di solito a parametri sull’utilizzo del territorio o la distanza dalle autostrade”, spiega Francesco Aletta, ricercatore dell’University College di Londra. “Siamo di fronte al primo caso di cui sono a conoscenza di una scelta politica guidata dalle sensazioni delle persone”.
In qualità di partecipante del progetto Soundscape Indices, finanziato dall’UE, Aletta sta aiutando a creare modelli di previsione su come le persone risponderanno a vari ambienti aurali compilando paesaggi sonori registrati, rumorosi e silenziosi, in un database e quindi testando le reazioni neurali e fisiologiche che suscitano. Questi tipi di strumenti sono ciò che gli esperti ritengono necessari per creare un quadro pratico per garantire che gli elementi multisensoriali siano inclusi nei criteri di progettazione e nei processi di pianificazione delle città.
Il modo migliore per determinare come le persone reagiscono ai diversi ambienti sensoriali è oggetto di un dibattito all’interno del campo. Howes e i suoi colleghi stanno adottando un approccio più etnografico, utilizzando l’osservazione e le interviste per sviluppare una miglior pratica per una buona progettazione sensoriale negli spazi pubblici. Altri ricercatori stanno diventando più high-tech, utilizzando dispositivi indossabili per monitorare dati biometrici come la variabilità della frequenza cardiaca come proxy per le risposte emotive a diverse esperienze sensoriali.
Il progetto GoGreen Routes, finanziato dall’UE, sta seguendo questo approccio mentre studia come la natura può essere integrata negli spazi urbani in un modo da migliorare la salute umana e ambientale. “Stiamo cercando di definire gli elementi che determinano una particolare esperienza di uno spazio”, spiega Daniele Quercia di Nokia Bell Labs Cambridge, uno dei ricercatori che lavorano al progetto. Quercia in precedenza ha contribuito a sviluppare “Chatty Maps” e “Smelly Maps”, una sorta di mappe aurali e olfattive della città, raccogliendo dati dai social media.
Quest’ultimo progetto ha riscontrato forti correlazioni tra le percezioni olfattive delle persone e gli indicatori più convenzionali della qualità dell’aria. Con GoGreenRoutes, verranno utilizzate tecnologie indossabili per valutare se i miglioramenti del design degli spazi verdi nuovi ed esistenti hanno l’impatto previsto (e desiderato) sul benessere delle persone.
Alla Deakin University in Australia, il professore di architettura Beau Beza punta a esperienze di full immersion. Il suo team sta aggiungendo suoni, odori e superfici agli ambienti di realtà virtuale che le autorità cittadine possono utilizzare per presentare progetti urbanistici alle parti interessate. “Le raffigurazioni statiche su carta di strade, parchi o piazze sono difficili da visualizzare per molte persone“, afferma Beza. “Essere in grado di ‘camminarci’ attraverso e sentirne il “respiro” ne migliora la comprensione“.
Man mano che la raccolta di dati sulle esperienze sensoriali delle persone diventa più diffusa, molti di questi esperti avvertono che è necessario tenere conto delle preoccupazioni relative alla privacy e alla sorveglianza. Anche le questioni di equità e inclusione entrano in gioco quando si determina quali esperienze sensoriali vengono prese in considerazione nella pianificazione. Le comunità urbane svantaggiate hanno in genere sopportato il peso maggiore degli scarichi maleodoranti delle fabbriche, ma sono anche soggette all’inquinamento acustico, per esempio quando i loro quartieri si gentrificano.
“Le percezioni sensoriali non sono neutre, o semplicemente biologiche. L’idea di piacevolezza è stata plasmata culturalmente e socialmente”, afferma Monica Montserrat Degen, sociologa culturale urbana della Brunel University di Londra. Gli urbanisti di Londra e Barcellona stanno usando la sua ricerca sulle percezioni dello spazio pubblico e su come le “gerarchie sensoriali”, per usare le sue parole, includano o escludano diversi gruppi di persone.
Degen cita l’esempio di un quartiere londinese in cui i ristoranti economici che fungevano da ritrovo per i giovani locali sono stati sostituiti da caffè alla moda. “Un tempo si sentiva solo puzza di pollo fritto”, dice, “e i residenti non apprezzavano affatto. Ora odora di cappuccino e nessuno si lamenta”.
Jennifer Hattam è una giornalista freelance di Istanbul.
Immagine: Amrita Marino
(rp)