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La macchina molecolare

Sulla strada di un nuovo rivelatore

di Anita Goel

Oltre 10 anni fa, quando ero studente di fisica all’Università di Stanford, rimasi affascinato da come i motori molecolari, conosciuti come polimerasi, leggono e scrivono l’informazione da e dentro il DNA. Strumenti sperimentali come le pinzette ottiche stavano allora emergendo, rendendo possibile manipolare le singole biomolecole. Iniziai quindi a lavorare nel laboratorio di Steven Chu, premio Nobel per la Fisica nel 1997, che era all’avanguardia per quel che riguarda le applicazioni biologiche di queste tecnologie. Nel suo laboratorio mi familiarizzai con la prospettiva di visualizzare in tempo reale il funzionamento della singola molecola dei motori polimerasi.

Ipotizzai che le dinamiche del motore molecolare non dipendono solamente dalla sequenza di DNA che sta leggendo, ma anche dall’ambiente nel quale opera. In altre parole, l’ambiente modifica il modo in cui le cellule elaborano l’informazione codificata nel DNA. Forse le mutazioni che provocano il cancro potrebbero essere il risultato, in parte, di stress ambientali sul motore che sta leggendo il DNA.

Il mio tentativo di gettare un ponte tra fisica e biomedicina mi portò a un programma comune MD-PhD alla Harvard-MIT Division of Health Sciences and Technology e alla facoltà di Fisica di Harvard. Ebbi la fortuna di incontrare un mentore ispirato in Dudley Herschbach, un chimico di Harvard premio Nobel per la chimica nel 1986. Una parte significativa della mia tesi fu dedicata all’uso di concetti di origine fisica e chimica per spiegare teoricamente come i vari cambiamenti nell’ambiente dei motori molecolari potessero influenzare la loro azione sul DNA stampo.

Fin dal periodo di Stanford ho sempre sognato di sfruttare questi motori molecolari per diverse applicazioni nanotecnologiche e biotecnologiche, come la sintesi controllata, la produzione molecolare e la scrittura e la lettura di informazioni su nanoscala. Qualche tempo fa, il Dipartimento della Difesa statunitense mi chiese di avanzare delle proposte per utilizzare le emergenti tecnologie in nanoscala contro la minaccia del terrorismo biologico. Una sera ebbi un’epifania su come migliorare l’accuratezza e la sensibilità dei biosensori usando piattaforme in nanoscala. Questa serie di avvenimenti mi ha portato a fondare Nanobiosym. Con i finanziamenti del Dipartimento della Difesa, abbiamo deciso di applicare la ricerca in nanoscala alla rilevazione degli agenti patogeni, per ridurre i campioni diagnostici molecolari alle dimensioni di un chip.

In definitiva, prevediamo di produrre congegni portatili per il rilevamento di agenti patogeni per venire incontro non solo alle richieste del mercato della biodifesa, ma anche a quelle dell’industria biomedica. La nostra ricerca vuole migliorare gli attuali sensori, consentendo la rilevazione fino al livello della singola molecola. è una mia personale preoccupazione rendere la nostra tecnologia disponibile nel mondo in via di sviluppo, in cui la mancanza di infrastrutture, come l’elettricità e l’acqua corrente, precludere in molti casi una diagnosi valida.