Apomissi, piante che si riproducono da sole

Nuove varietà di raccolti geneticamente ingegnerizzati sfameranno i paesi più poveri e ridaranno smalto all’immagine della biotecnologia agricola. sempre che economia e politica non impediscano ai semi di arrivare nelle mani degli agricoltori.

di Daniel Charles

A un’ora da Città del Messico il taxi esce dalla strada principale e la confusione e il rumore dell’autostrada scompaiono a poco a poco. Subito dopo una barriera e un posto di guardia, entriamo nei terreni ben custoditi dell’International Center for the Improvement of Maize and Wheat, conosciuto con il suo acronimo spagnolo CIMMYT (si pronuncia SIM-it). Una fila di bandiere paga tributo ai paesi che finanziano il lavoro dell’organizzazione: creare raccolti migliori per aiutare lo sviluppo degli agricoltori più svantaggiati in diverse aree del mondo. 

In lontananza si stagliano linee di cartelli bianchi, ognuno posto dinanzi a una piccola area quadrata in cui le spighe pelose del frumento ondeggiano al vento. Siamo nell’empireo dell’agricoltura; su questi cartelli ci sono i nomi di alcune varietà di frumento emerse dai fertili terreni del CIMMYT quattro decenni fa: Sonora, Yaqui, Kauz, Sujata, Sonalika e altre. Queste varietà, che resistono alle malattie e producono raccolti senza precedenti, hanno conquistato l’Asia, rimpiazzando le varietà tradizionali di frumento e i vecchi metodi di coltivazione. Le stelle della Rivoluzione Verde, le nuove varietà hanno permesso una crescita fenomenale della produzione di grano che ha consentito alla Cina e all’India di essere autosufficienti. In realtà, l’impatto dei nuovi tipi di grano è stato così forte che hanno valso a Norman Borlaug, allora direttore del programma cerealicolo del CIMMYT, il premio Nobel per la Pace nel 1970.

Se il granturco potesse riprodursi saltando l’impollinazione, come già fanno alcune piante, creando semi senza fecondazione, si potrebbe dare vita a varietà resistenti e redditizie che gli agricoltori potrebbero ripiantare dai loro raccolti anno dopo anno.

Ma, un attimo. Non ci troviamo nel Centro per lo sviluppo del mais e del frumento? Mais, come la maggior parte del mondo chiama il granturco, è il tipo di raccolto che ha avuto la crescita maggiore dopo il riso; la sua capacità di trasformare la luce solare, il suolo e l’acqua in cibo per le persone e gli animali è straordinaria. Nel giro di pochi anni il mais oltrepasserà il riso e raggiungerà il solitario primato. Allora, dov’è il mais? Perché è fuori dall’empireo?

Come chiunque abbia attraversato il Midwest può confermare, varietà superiori di mais si trovano in abbondanza. Ma le robuste piante ad alto rendimento che ricoprono le campagne dello Iowa sono inaccessibili per la maggioranza degli agricoltori poveri e al limite della sussistenza, vale a dire esattamente le persone che il CIMMYT dovrebbe aiutare. Il problema è che, se gli agricoltori vogliono piantare queste varietà più avanzate – in genere ibridi ad alto rendimento, che l’industria delle sementi crea incrociando due linee congenite chiaramente distinte – devono acquistare nuovi semi ogni anno. Gli agricoltori più poveri non possono semplicemente farlo. 

La richiesta annuale di nuovi semi è in parte la conseguenza della spinta biologica del granturco a riprodursi liberamente e indiscriminatamente. Il frumento, come il riso, è ermafrodita e rischia di meno. Ogni fiore si auto impollina, producendo discendenti che sono l’esatta copia dei loro originali, almeno nel caso delle varietà di frumento doc che escono dal CIMMYT. Di conseguenza gli agricoltori usano ogni anno parte dei loro raccolti per la semina e le varietà possono essere facilmente condivise, passando da un campo a un altro, da un coltivatore a un altro.

Il granturco, d’altra parte, è la più promiscua delle piante. Le sue barbe – gli organi genitali maschili – dispensano milioni di granelli pollinici al vento, fecondando a caso gli organi genitali femminili, le spighe di granturco nelle vicinanze. La progenie di una pianta può quindi variare enormemente, a seconda di quale polline si aggira nella zona. Anche se al CIMMYT si presta una grande attenzione alla fase riproduttiva di varietà avanzate, l’identità genetica di queste progenie s’interrompe rapidamente quando le piante vengono introdotte nel melting pot genetico dei campi degli agricoltori. I nuovi tratti – maggior rendimento, capacità di sopportare la siccità, resistenza alle malattie – tendono a disperdersi e addirittura a scomparire.

Il problema della variabilità è perfino più grande con le varietà ibride che le aziende delle sementi prediligono. Nel caso del granturco e anche delle piante ad autoimpollinazione, una progenie ibrida non ha nulla a che vedere con l’originale.

Sarebbe un’altra cosa se il granturco potesse riprodursi saltando del tutto l’impollinazione e clonandosi. L’idea non è così inverosimile come potrebbe sembrare a prima vista. Alcune piante già lo fanno naturalmente, creando semi senza fecondazione in un processo definito apomissi. I denti di leone si riproducono attraverso apomissi; lo stesso succede per altre 400 specie di piante, tra cui almeno un parente selvatico del granturco. Perché non il granturco? Se qualcuno trovasse il modo per rendere il granturco apomittico, il CIMMYT potrebbe infine riuscire a dare vita a varietà resistenti e altamente produttive che gli agricoltori più poveri potrebbero condividere con i loro vicini e ripiantare dai loro raccolti anno dopo anno. 

Richard Jefferson, fondatore del Center for the Application of Molecular Biology to International Agricolture a Canberra, in Australia, sostiene che i possibili sviluppi dell’apomissi vanno ben oltre il granturco. Il potenziale delle piante autoclonate, egli dice, è talmente profondo e dirompente che coloro che si occupano di riproduzione di piante, in genere un gruppo di esperti moderato e prudente, «non avrebbero mai confessato di fantasticarci sopra, a meno di non averli prima fatti ubriacare».

Oltre a rendere disponibili ibridi e altre varietà superiori di granturco per i coltivatori più poveri, l’apomissi consentirebbe l’uso generalizzato di risi ibridi ad alto rendimento, piante i cui semi sono attualmente costosi e difficili da produrre in grandi quantità. L’apomissi permetterebbe di eliminare le malattie dalla manioca, un importante prodotto alimentare per l’Africa ottenuto ripiantando pezzi di tuberi da piante madri, alcune delle quali sono portatrici di malattie. 

Dopo oltre un decennio di lavoro, i ricercatori del CIMMYT e di alcuni altri laboratori nel mondo stanno finalmente puntando sull’apomissi. Con l’aiuto della nuova informazione e degli ultimi strumenti genomici, essi stanno selezionando i geni che controllano la riproduzione delle piante, nel tentativo di duplicare il processo di autoclonazione nel granturco e in altri importanti colture. 

Se avranno successo – e i ricercatori sembrano abbastanza ottimisti per il prossimo decennio – l’apomissi aprirà la strada a «una rivoluzione nella produzione alimentare mondiale», afferma Wayne Hanna, una genetista del Department of Agriculture statunitense, a Tifton, in Georgia. 

A prima vista sembrerebbe un obiettivo tecnologico che dovrebbe sollevare poche resistenze. Tuttavia c’è incertezza anche sul fatto se l’apomissi entrerà mai nei terreni degli agricoltori. Due forze da sponde contrarie potrebbero ritrovarsi inconsuete alleate nel tentativo di bloccare la tecnologia: l’opposizione politica all’ingegneria genetica e i calcoli finanziari delle aziende agricole che sono tra i principali sponsor della ricerca sull’apomissi.

«QUALCUNO CREDE nell’apomissi già da molti anni», dice Daniel Grimanelli, un giovane scienziato che è già un veterano del settore. Seduto all’ombra di un patio al di fuori del Applied Biotechnology Center del CIMMYT, Grimanelli si sta concedendo un breve riposo dalla scienza. A giudicare dalla sua barba incolta di almeno tre giorni, dagli occhiali da sole, dalle sigarette e dalla giacca stropicciata, Grimanelli sembra appena uscito da una seria sbronza. Grazie a un accordo tra il CIMMYT e l’Institut de Recherche pour le Développment, a Montpellier, in Francia, il francese Grimanelli si è trasferito in Messico una decina d’anni fa, ma parla un inglese chiaro e fluente.

«Negli anni Settanta e nei primi anni Ottanta», egli racconta, «c’erano sostanzialmente quattro punti di riferimento: Yves Savidan in Francia, Wayne Hanna in Georgia, Victor Sokolov in Russia e Gian Nogler in Svizzera». L’apomissi, in quel periodo, non era altro che una curiosità botanica. Hanna ricorda di averla incrociata sotto forma di qualche bizzarra pianta di sorgo in una serra texana; Sokolov, nella lontana città siberiana di Novosibirsk, stava dedicando le sue ricerche alla pianta erbacea gamma, una parente del granturco; Savidan, che allora lavorava in Costa d’Avorio, era alle prese con una selezione di erbe selvatiche dell’Africa Occidentale. 

Tutte queste piante presentano una strana forma di riproduzione. I loro ovari producono nuovi embrioni da soli, come cloni della pianta madre. Alcune di queste piante, comunque, usano la riproduzione sessuata. Pertanto la ricerca sull’apomissi all’inizio ha approfondito il meccanismo con cui questa particolare caratteristica genetica viene ereditata quando le piante apomittiche si accoppiano alle loro parenti non apomittiche. «Noi arrivammo alla conclusione che la caratteristica si comportava come un singolo gene dominante», sostiene Savidan, che ora dirige l’associazione internazionale di Agropolis, un consorzio di ricerca di Montpellier finanziato pubblicamente. La conclusione era sorprendente e, dice Grimanelli, apriva la strada a un ulteriore riflessione: «Se la tecnica è così semplice, perché non sfruttarla nelle colture? Perché non incrociare il granturco con un parente apomittico? Semplice!»

«Semplice», gli fa eco cupamente il suo collega Olivier Leblanc.

Grimanelli e Leblanc rappresentano un collegamento tra la prima generazione di ricercatori sull’apomissi come Savidan, che usava la tradizionale riproduzione delle piante, e una nuova ondata di ricercatori che utilizzano marcatori molecolari, dati genomici e ingegneria genetica. Savidan iniziò le sue ricerche sull’apomissi al CIMMYT alla fine degli anni Ottanta e Leblanc e Grimanelli si unirono a lui qualche anno dopo.

Se il settore privato controllasse l’uso dell’apomissi, non permetterebbe che la tecnica venisse sfruttata dal settore pubblico per produrre ibridi autoreplicanti. Ogni azienda che detenesse i brevetti su una componente essenziale della tecnologia sarebbe in grado di bloccarne l’adozione. 

Il posto sembrava perfetto. Innanzitutto, i sotterranei del CIMMYT, dal clima sempre controllato, erano pieni di campioni di semi e custodivano tesori di semi della erba gamma, una pianta simile a un cespuglio che è il parente apomittico più vicino al granturco. In secondo luogo, ancora più importante, la missione del CIMMYT di migliorare i raccolti degli agricoltori dei paesi in via di sviluppo s’accordava perfettamente con i vantaggi potenziali dell’apomissi. 

Comunque un decennio di riproduzione tradizionale delle piante ha provocato solamente frustrazione. I ricercatori provarono a incrociare l’erba gamma e il granturco. Essi produssero 300.000 piante ibride, creazioni con strane combinazioni di caratteristiche di entrambe le piante (si veda la figura in alto). Provarono anche a incrociare queste piante ibride con normale granturco, nella speranza che ogni generazione li portasse più vicini a una versione apomittica del granturco. Inevitabilmente, nella lunga corsa strada di avvicinamento al granturco, si sono perse le tracce dell’apomissi. 

Ma, mentre il vecchio approccio stava morendo, ne nasceva uno nuovo. Nel 1999 il CIMMYT firmò un accordo con un’azienda di sementi francese, Limagrain, con una divisione del gigante farmaceutico svizzero Novartis cha da allora si chiama Syngenta e con la più grande azienda al mondo di sementi, Pioneer Hi-Bred. L’accordo garantì al centro il finanziamento e l’accesso alle banche dati private sul genoma del granturco. «I nuovi strumenti erano realmente efficaci», afferma Grimanelli. «Si potevano clonare geni, modificare geni, esprimere geni».

Grimanelli e Leblanc si sono messi alla ricerca di geni apomittici, passando al setaccio le sezioni di DNA presenti nella forma apomittica dell’erba gamma, ma non nella versione sessuata. Entrambi hanno seguito le tracce di questi geni in un grande blocco di DNA, circa un terzo di un cromosoma, che è sempre presente nella forma apomittica dell’erba gamma. 

Per trovare i geni specifici in questa enorme distesa di DNA, i ricercatori stanno lanciando trasposoni – piccoli segmenti di DNA che s’inseriscono a caso nei cromosomi – su quel blocco di DNA. La loro speranza è che i trasposoni s’inseriscano in geni importanti per l’apomissi, interrompendo il processo. In questo caso i ricercatori potrebbero riuscire a localizzare il trasposone e con esso il gene cruciale, da inserire successivamente nel granturco.

Ma i ricercatori del CIMMYT non sono soli nella loro ricerca delle chiavi genetiche dell’apomissi. Un gruppo di altri ricercatori, alcuni sponsorizzati da piccole aziende biotecnologiche, si è unito alla caccia. Progetti concorrenti sono spuntati in Germania, Svizzera, Australia, Inghilterra, Francia, Messico, California, Texas e Utah. Gran parte dei nuovi arrivati non spera di trasferire i geni dell’apomissi da una specie a un’altra, per esempio dall’erba gamma al granturco. 

Essi stanno invece lavorando alla determinazione dei tempi dei geni della pianta per indurli alla riproduzione senza fecondazione. I ricercatori stanno pianificando i dettagli di questa apomissi «sintetica» attraverso esperimenti con la loro cavia preferita, una piccola pianta di senape chiamata Arabidopsis thaliana. I ricercatori del CIMMYT, che fanno abbondante uso dei dati genomici di piante ben conosciute come l’Arabidopsis, sostengono che il passaggio dall’Arabidopsis al granturco è probabilmente molto più impegnativo di quanto si creda. Ma in ogni caso, essi dicono, ci sarà. «Il grande dinamismo di chi è impegnato in questo lavoro», afferma Grimanelli, non rimarrà senza frutti.

IL SALTO DAL LABORATORIO all’applicazione sul campo appare ugualmente impegnativo. Una pianta di granturco apomittico sarà un organismo geneticamente modificato e, in gran parte del resto del mondo, questi organismi non sono ben accolti. Le autorità dell’Unione Europea non hanno approvato la piantatura o l’importazione di alcun nuovo tipo di coltura geneticamente ingegnerizzata fin dal 1998. 

Nonostante la diffusa povertà, lo Zambia ha recentemente rifiutato gli aiuti alimentari statunitensi perché le navi trasportavano granturco geneticamente ingegnerizzato. Negli ultimi quattro anni il Messico non ha permesso al CIMMYT di sperimentare granturco geneticamente ingegnerizzato all’esterno delle serre. In effetti, se chi si oppone all’ingegneria genetica manterrà ferme le sue posizioni, sul terreno messicano non crescerà mai granturco geneticamente ingegnerizzato. 

Il Messico è la patria ancestrale del granturco, il luogo dove i nostri antenati hanno per la prima volta «addomesticato» questa coltura. è anche un deposito unico al mondo della diversità genetica del granturco: gli agricoltori messicani conservano un numero sorprendente di varietà di granturco. Esposto a diversi climi, il granturco messicano si presenta con semi neri, bianchi e ogni altra gradazione di colore nel mezzo.

Così quando, quasi due anni fa, gli scienziati hanno rivelato di aver trovato tracce di granturco geneticamente ingegnerizzato in campi di granturco di zone remote del Messico meridionale, la notizia aumentò le preoccupazioni di chi difendeva la diversità genetica di questa risorsa unica. In realtà, anche se questa scoperta è stata aspramente contestata da altri ricercatori, alcuni ambientalisti credono che si sia di fronte a un disastro di proporzioni epocali. «Il centro mesoamericano della biodiversità agricola è contaminato con granturco geneticamente modificato», ha annunciato l’ETC Group, un’organizzazione di attivisti con sede a Winnipeg, in Canada. Greenpeace ha dichiarato che «questa irresponsabile contaminazione… sta mettendo a rischio l’intera struttura genetica delle popolazioni di granturco».

L’immagine di piante ingegnerizzate che avvelenano una sorgente biologica è efficace ma fuorviante, dice Mauricio Bellon, un ecologista del CIMMYT che studia come gli agricoltori messicani utilizzano la continua rotazione di semi per conservare le loro tradizionali varietà: «è opinione diffusa che il continuo avvicendarsi di semi nei terreni sia l’anello debole del sistema, ma in questo caso non è vero». Il prodotto della rotazione non è puro, né immutabile nel tempo, dice Bellon. Gli agricoltori messicani, egli ha scoperto, prendono continuamente nuovi semi dai vicini e anche dai paesi lontani e li aggiungono agli altri nella speranza di rinvigorire i loro terreni. è un po’ come prendere le carte da un nuovo mazzo per aumentare le possibilità di vincere una mano. è più probabile che le carte buone – i tratti genetici superiori – siano in gioco. Gli agricoltori provano a scegliere i semi vincenti per ripiantarli l’anno successivo, scartando quelli inutili.

Non esiste alcuna ragione evidente per cui le colture geneticamente ingegnerizzate dovrebbero sostituire o distruggere la diversità genetica in Messico, afferma Bellon. I nuovi geni farebbero parte del miscuglio e sopravviverebbero solo a condizione di garantire qualche risultato agli agricoltori. Ma, egli si affretta ad aggiungere, il granturco geneticamente ingegnerizzato in Messico potrebbe creare nuove situazioni di rischio da prendere in attenta considerazione. 

In realtà chi ha approfondito il fenomeno della nascita di un movimento di opposizione alle colture geneticamente ingegnerizzate – in Messico e altrove – ha riscontrato una varietà di motivazioni. Le preoccupazioni per l’integrità della natura e la sicurezza del cibo sono mescolate alla ostilità per le aziende che hanno portato questa tecnologia sul mercato. Il Messico ha imposto una moratoria sulla piantatura di tutto il granturco geneticamente ingegnerizzato, per esempio, non quando il CIMMYT ha condotto le sue prime sperimentazioni sul campo, ma quando Monsanto, con sede a St.Louis, e altre aziende hanno cominciato a fare pressioni per poter vendere le loro colture geneticamente ingegnerizzate agli agricoltori messicani.

In realtà si percepisce una certa avversione nei confronti della biotecnologia anche all’interno del CIMMYT. Gli esperti di riproduzione del granturco del CIMMYT qualche volta considerano il programma biotecnologico della loro organizzazione come un’impresa irrealizzabile e inutile, una costosa moda passeggera che ha fatto sperperare milioni di dollari senza distribuire, finora, alcun prodotto utile agli agricoltori. 

Molti se la prendono con gli accordi – accompagnati da clausole che non impegnano a svelare i segreti aziendali e da intese per proteggere la proprietà intellettuale – che i biotecnologi del CIMMYT hanno stipulato con le aziende. Il centro dovrebbe rendere conto delle proprie iniziative solo agli agricoltori poveri del mondo, dicono questi critici, e non all’impero delle multinazionali biotecnologiche. A questo punto – in cui la missione umanitaria del CIMMYT s’intreccia con gli obiettivi dell’impresa privata – la storia dell’apomissi assume un risvolto ironico. Secondo alcuni osservatori, i sostenitori aziendali dell’apomissi sono anche i suoi peggiori nemici.

Prima che i semi autoreplicanti di granturco arrivino nei campi, è probabile che i dibattiti politici e gli interessi aziendali avvelenino la reputazione dell’agricoltura biotecnologica, già provata da

accuse di inefficienza nei confronti dei paesi più poveri.

LA RAGIONE è SEMPLICE: le aziende di sementi hanno un incentivo finanziario a tenere il granturco che si autoriproduce fuori dalle mani degli agricoltori in quanto l’apomissi interrompe un modo naturale di protezione della copia. Le aziende di sementi vendono soprattutto ibridi non solo perché producono di più, ma anche perché le differenze tra il granturco ibrido e la sua progenie sono più pronunciate che nelle linee non incrociate. 

Queste differenze costringono gli agricoltori a tornare dal fornitore ogni anno per avere un nuovo rifornimento di semi. Gli ibridi apomittici, invece, possono riprodursi sempre uguali e questo meccanismo danneggia il commercio.

Non c’è quindi da sorprendersi del fatto che molti osservatori ritengano che le aziende che sponsorizzano la ricerca del CIMMYT vogliano usare l’apomissi principalmente come uno strumento interno per rendere più rapido il complicato processo di riproduzione degli ibridi e di produzione dei semi. Prima di vendere i semi agli agricoltori, le aziende potrebbero cancellarne la capacità di autoriproduzione. 

«L’idea prevalente nel commercio delle sementi è che l’apomissi sarebbe più utile se potesse essere disattivata», sostiene Anthony Cavalieri, vicepresidente per lo sviluppo della tecnologia e delle caratteristiche ereditarie a Pioneer Hi-Bred. In definitiva, gli sponsor aziendali del CIMMYT potrebbero vedere gli ibridi apomittici di prima qualità del centro come concorrenti. 

«Se il settore privato controlla l’uso dell’apomissi, difficilmente vorrà che la tecnica venga sfruttata dal settore pubblico per produrre ibridi autoreplicanti», afferma Gary Toenniessen, che dirige i programmi di agricoltura globale della Rockefeller Foundation. 

Inevitabilmente ogni azienda che detiene brevetti su qualche componente essenziale della tecnologia dell’apomissi sarà in grado di bloccarne l’adozione, almeno fino a quando sarà valido il brevetto. 

Nel 1998 Jefferson, del Center for the Application of Molecular Biology to International Agriculture australiano ha contribuito a persuadere oltre 20 importanti ricercatori di tutto il mondo impegnati sull’apomissi a dichiarare la loro opposizione al controllo aziendale della ricerca. 

La cosiddetta Apomixis Declaration dichiara: «Siamo profondamente preoccupati… che l’attuale tendenza a un consolidamento in poche mani della proprietà delle tecnologie biotecnologiche d’intervento sulle piante possa restringere decisamente l’accesso a una tecnologia apomittica aperta a tutti». Sfortunatamente, continua Jefferson, «gli scienziati non sono coerenti con le loro affermazioni». Molti ricercatori impegnati sull’apomissi si sono già impegnati con aziende private.

Gli scienziati del CIMMYT continuano a dire che non c’è alcun problema. Essi sostengono che i loro sponsor aziendali hanno permesso al centro di distribuire granturco apomittico agli agricoltori più poveri nelle nazioni in via di sviluppo. «è sotto gli occhi di tutti», dice Olivier Leblanc. «Per i clienti del CIMMYT la libertà è assoluta». Ma anche Yves Savidan, l’architetto della collaborazione del CIMMYT con l’industria per la ricerca sull’apomissi, si mostra scettico. «Se non si ha il controllo su tutto, non si controlla nulla», egli sostiene.

Ancor prima che i semi autoreplicanti di granturco apomittico arrivino nei campi, i dibattiti politici e gli interessi aziendali avveleneranno il terreno. E ciò sarebbe una rovina non solo per il futuro degli agricoltori più poveri, ma anche per la reputazione dell’agricoltura biotecnologia, un settore già duramente provato dalle accuse di non essere riuscito a fare abbastanza per venire incontro ai bisogni umani.

La produzione di colture biotecnologiche che sfamano i poveri e migliorano il livello di vita degli agricoltori nei paesi in via di sviluppo consentirebbe di rispondere in modo convincente a queste accuse. 

David Hoisington, direttore del programma di biotecnologie del CIMMYT, ritiene che queste colture siano sul rettilineo d’arrivo. Il primo tipo di granturco geneticamente ingegnerizzato del CIMMYT, una varietà non apomittica che respinge il verme scavatore del gambo, è pronto per una sperimentazione sul campo. Nell’arco di un decennio nuove aree di granturco apomittico potrebbero entrare nell’empireo del CIMMYT. «La tecnologia è uno strumento talmente importante per risolvere i problemi», dice Hoisington, «che non possiamo più farne a meno».

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