Vaccino coronavirus: le prime dosi per le categorie a rischio a fine anno

Nei laboratori dello Jenner Institute dell’Università di Oxford, in collaborazione con l’Oxford Vaccine Group, e con il rilevante contributo tutto italiano della Irbm di Pomezia, si sta lavorando a una delle speranze più concrete per debellare il covid.

di Lisa Ovi

Il vaccino allo studio si basa sulla tecnica del “vettore virale”, ossia l’utilizzo di un virus simile a quello che si vuole contrastare, ma non aggressivo, a cui si “incollano” le informazioni genetiche che si spera facciano scattare la risposta immunitaria dell’organismo. Dopo i test sui primi volontari si è iniziata la somministrazione su diecimila persone, per un ampio studio di fase II/III da cui si attende il responso definitivo, previsto prima dell’inverno, ma i cui risultati preliminari, come riportato dalla rivista scientifica inglese The Lancet, parlano già di “una forte risposta immunitaria e di pochi effetti collaterali negativi, anche se sono necessarie ulteriori ricerche, in particolare tra i più anziani e quelli più a rischio di contagio e di esito infausto”.

Anche uno studio separato condotto in Cina e che ha coinvolto più di 500 persone ha mostrato che la maggior parte dei pazienti aveva sviluppato una risposta immunitaria anticorpale diffusa.

In un’intervista sul sito aziendale, Matteo Liguori, amministratore delegato della Irbm di Pomezia, spiega che “occorre attendere i risultati della fase 2-3 attualmente in corso nel Regno Unito, in Brasile e in Sudafrica, ma speriamo di arrivare celermente a una prima distribuzione del vaccino”. Il report su The Lancet “dimostra che il sistema è sicuro e stimola la creazione di anticorpi in oltre il 90 per cento dei casi. Con una doppia somministrazione, si arriva al 100 per cento.

“Per avviare la distribuzione sarà necessario avere la conferma che gli anticorpi generati difendono contro il covid, cioè che sono in grado di impedire alla proteina spike, di aggredire il recettore Ace-2. E poi capire come reagiscono al vaccino i soggetti più fragili”. Nella fase 1-2 il campione di 1.077 ai quali è stato somministrato il vaccino è stato selezionato tra volontari sani che hanno tra 18 e i 55 anni, la fase 2-3, invece, è realizzata su persone esposte a rischio contagio, sugli anziani e su chi aveva patologie preesistenti. È previsto anche uno studio clinico ad hoc per i bambini”.

È ancora presto per stabilire per quanto tempo si rimarrà protetti dagli anticorpi. Per adesso lo studio dimostra che rimangono nell’organismo almeno 56 giorni, che è l’intervallo di tempo del monitoraggio della fase 1-2. Il candidato vaccino è stato somministrato seguendo il modello già usato per quello anti-malaria e anti-ebola e il dato incoraggiante, spiega Liguori, è che “non sono state registrate reazioni importanti, se si eccettua, in qualche caso, un po’ di febbre”.

L’OMS ha dato 18 mesi come tempo dall’ideazione alla messa in commercio per la produzione di un vaccino, ma in casi straordinari si è assistito a delle accelerazioni inimmaginabili per limitare il contagio. “Nel nostro caso”, continua Liguori, “ci aspettiamo di avere i risultati dei test di fase 3 a settembre per arrivare alla distribuzione entro la fine dell’anno, diciamo a dicembre “.

Come è noto, il governo italiano ha siglato un accordo con Astrazeneca, insieme ad altri Paesi europei, per avere una prima tranche di 60 milioni di dosi, che sarà divisa tra i partecipanti, a partire da algoritmi e modelli di calcolo che fanno parte di quell’accordo. Le persone più a rischio di contrarre il virus e quelle in condizione di salute più precarie avranno probabilmente la priorità nella distribuzione del virus. Come sarà distribuito è comunque una decisione che verrà presa a livello europeo. Il dato certo è che il costo sarà di pochi euro. A oggi rimane ancora incerta la presenza della Irbm anche nella fase di produzione postsperimentale.

Immagine: Il parco scientifico di IRBM, a Pomezia. Wikipedia

(lo)

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