Un esame del sangue ci dirà quanto è diffuso il coronavirus

Un test permetterà di capire se una persona è mai stata contagiata dal virus, anche se non ha manifestato alcun sintomo.

di Antonio Regalado

Quanto è diffuso il nuovo coronavirus? Quante persone sono contagiate e non lo sanno? Qual è il tasso di mortalità effettivo?

Queste sono alcune delle domande più grandi a cui la scienza non ha ancora dato risposte. Ma un team della Icahn School of Medicine di New York City ha appena sviluppato un importante test.

Il loro lavoro è descritto in una prestampa diffusa ieri. Il test va alla ricerca di anticorpi rivelatori della presenza del coronavirus nel sangue delle persone ed è simile a quello ampiamente utilizzato per l’HIV.

Queste analisi mostrano se il sistema immunitario di una persona è mai entrato in contatto con il virus e potrebbero fornire un quadro accurato di quante persone sono state contagiate, aiutando in modo determinante i governi a valutare rapidamente il tipo di misure da prendere.

Il nuovo coronavirus ha ucciso oltre 8.700 persone, che rappresentano circa il 4 per cento dei 214.000 casi confermati: un ritmo di decessi molto preoccupante.

Ma il tasso di mortalità reale tra tutti coloro che sono realmente contagiati dal virus è sicuramente più basso, e probabilmente molto più basso. Il motivo per cui gli epidemiologi non possono dirlo con certezza è che non sanno quante persone sono contagiate, ma non vanno in ospedale o non presentano sintomi. In sostanza, ai chi raccoglie i dati manca un preciso denominatore del calcolo del tasso di mortalità.

Si tratta di un problema serio per chi deve prendere decisioni in ambito politico. John Ioannidis della Stanford University, scrivendo il 17 marzo nella pubblicazione STAT, ha sostenuto che il tasso di mortalità reale potrebbe essere inferiore a quello dell’influenza stagionale. In tal caso, le “contromisure draconiane” vengono decise nel mezzo di un “pullulare di prove” basate su dati “assolutamente inaffidabili” su quante persone sono contagiate.

Proprio questa settimana, un rapporto ha stimato che all’inizio dell’epidemia erano state documentate solo da un quinto a un decimo delle infezioni effettive. Attualmente, gli Stati Uniti e altri paesi stanno intensificando gli sforzi per capire la situazione reale con un test diagnostico, chiamato PCR, che cerca direttamente il materiale genetico del virus con un tampone nasale o in gola.

Il nuovo tipo di test parte da un presupposto diverso: l’organismo ha avuto contatti con il virus, anche nel passato? Se qualcuno è stato esposto, il suo sangue dovrebbe essere pieno di anticorpi contro il virus. È la presenza o l’assenza di tali anticorpi che il nuovo test misura.

Il team di Icahn, guidato dal virologo Florian Krammer, afferma che il nuovo test potrebbe aiutare a identificare chi è resistente al virus, che quindi potrebbe donare il sangue ricco di anticorpi alle persone in terapia intensiva per aiutare a rafforzare la loro immunità.

Inoltre, medici, infermieri e operatori sanitari potrebbero capire se sono già stati esposti. Come dice Krammer, chi è immune potrebbe tranquillamente stare in prima linea ed eseguire i compiti più rischiosi, come intubare una persona con il virus, senza preoccuparsi di subire il contagio o trasmettere la malattia ai familiari.

Altri centri scientifici, tra cui quelli di Singapore, affermano anche di star studiando test sugli anticorpi, così come alcune aziende statunitensi che vendono prodotti ai ricercatori. Anche i Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie sono impegnati in questo tentativo.

Per produrre il test, il team di Icahn ha utilizzato copie della proteina “spike” rivelatrice sulla superficie del virus. Questa proteina è altamente immunogenica, il che significa che il nostro organismo la riconosce e inizia a produrre anticorpi che la attaccano.

Il test prevede appunto l’esposizione di un campione di sangue a frammenti della proteina spike. Per verificare l’esattezza dei risultati del test, il team ha lavorato su campioni di sangue raccolti prima che Covid-19 uscisse dal territorio cinese e di tre casi attuali di coronavirus. Secondo Krammer, il test può verificare la risposta dell’organismo umano all’infezione “già tre giorni dopo l’insorgenza dei sintomi”.

Per conoscere la vera portata del contagio, il prossimo passo dei ricercatori sarà portare avanti “indagini sierologiche” per eseguire il test sui prelievi di sangue da un gran numero di persone in un’area epidemica. Ciò potrebbe dire loro esattamente quanti casi non sono stati segnalati. Ma potrebbe passare ancora del tempo prima che gli scienziati possano farlo.

(rp)

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