Tecnologia e Occupazione: dalla automazione alla intelligenza artificiale

Non abbiamo ancora iniziato a digerire Industria 4.0 che già si vede arrivare in modo prepotente la Industria 5.0, dominata dalla AI. Meglio cominciare a prepararci.

di Alessandro Ovi

Dall’inizio della rivoluzione industriale la perdita di posti di lavoro sostituiti da macchine aveva procurato resistenze anche violente sfociate nel Luddismo. Ma si era sempre verificata, in tempi non troppo lunghi, la nascita di lavori nuovi che avevano più che compensato quelli precedentemente persi.

Oggi stiamo assistendo a un fenomeno simile, con la rivoluzione digitale che sistematicamente, e con grande rapidità, fa scomparire intere categorie di occupazione, quali bancari, agenti di viaggio, disegnatori, contabili – e perfino categorie “molto istruite”, come i giovani avvocati impiegati nella ricerca di sentenze, sostituti da software dedicati – mentre solo pochi lavori nuovi vengono creati, in numero non assolutamente in grado di ridare un lavoro agli addetti divenuti inutili perché “digitalizzati”.

In un fondo molto interessante sul “New York Times”, Tom Friedman ha messo in evidenza che la disoccupazione è più alta dove sono più bassi i livelli di formazione. Dal 13,8 percento di chi ha un livello inferiore alla scuola superiore, all’8,7 percento di chi ha superato la scuola superiore ma non l’università.

Notava Friedman che le tecnologie digitali tendono a espandersi e a sostituire molto più rapidamente che non nel passato le persone che svolgevano prima le stesse mansioni.
Il tema diventa allora non tanto la ovvia necessità di investire in formazione, come pure Friedman auspica, ma quello di come ricostruire un ruolo decoroso per i tanti che vorrebbero avere un impiego“9 to 5” (dalle nove alle cinque) senza bisogno di una laurea.

In realtà Friedman concorda con Peter Diamond, economista del MIT, Nobel per l’Economia nel 2010, e con Erik Brynjolfsson e Andrew McAfee del Center for Digital Business dellaSloan School sempre del MIT:

“Un economista di impostazione classica commenterebbe che è in atto un grande assestamento, come conseguenza dell’avvento di nuove tecnologie sostitutive di certi tipi di lavoro, che proseguirà fino a che non verrà trovato un nuovo equilibrio, cioè un nuovo tipo di lavoro che le persone possano svolgere, sena rischiare di essere sostituite da una macchina.

In passato indubbiamente ci siamo già adattati a questo tipo di cambiamenti. Ma mentre nel passaggio da una società agricola a una industriale, i progressi nel campo dell’agricoltura si sono distribuiti nell’arco di un secolo e l’energia elettrica e l’industrializzazione si sono diffuse nel corso di decenni, oggi, sostengono Brynjolfsson e McAfee, “l’efficienza e i vantaggi dell’automazione, resi possibili dalla tecnologia informatica, stanno avanzando troppo velocemente per consentire al mercato del lavoro di tenere il passo”..

Di qui la lettera aperta di profonda preoccupazione qui pubblicata, dalla quale è partito il lavoro di ricerca fatto con Federmanager. Abbiamo quindi sul tavolo due temi altrettanto importanti da affrontare, per trovare una soluzione alla disoccupazione: il richiamo della manifattura “emigrata”in paesi dove la produzione costa meno, e l’offerta di attività sostitutive a chi ha visto un software prendere il su lavoro.

Il quadro che emerge dalle varie opinioni raccolte non nega certo la difficoltà del problema, ma identifica in più di un caso come valore la stabilità delle competenze nel lavoro a tutti i livelli, e del rapporto col cliente.

Questo pareva un ragionevole punto di arrivo della riflessione quando abbiamo pubblicato la ricerca di cui parliamo oggi sul come il mondo industriale italiano vedeva il rapporto tra tecnologie digitali e occupazione.

Ma negli ultimi mesi il dibattito sul rapporto tra tecnologie della automazione e della Comunicazione e Occupazione si è allargato prepotentemente a quello dell’impatto sulla società e sulla economia della Intelligenza Artificiale (AI) in tutte le sue forme. Sono sempre di più i casi in cui un software non si limita ad eseguire istruzioni preprogrammate dall’uomo ma, interpretando il mondo esterno con una molteplicità di strumenti, è in grado di generare lui stesso le istruzioni.

Il software è sempre più capace di elaborare grandi quantità di dati (Big Data) e da quelli non solo elaborare scenari descrittivi della realtà esterna, ma anche di interpretarli e proporre alle ‘macchine’ di intervenire di conseguenza. Pensiamo solo a pochi casi più facili da comprendere: la guida di veicoli senza interventi del conducente, l’interpretazione di frasi tra milioni di parole registrate in ogni modo possibile, il riconoscimento di volti in una folla alla ricerca di profili  significativi, l’insieme di informazioni mediche provenienti da varie fonti per formulare una diagnosi e suggerire una terapia o, infine, l’intervento tramite sui mercati finanziari con le tecniche dell’Instant Trading per eseguire operazioni con la frequenza dei millisecondi che nessun ‘umano’ sarebbe in grado di fare. La finanza non orientata all’investimento ma al denaro per il denaro ha in queste tecniche uno strumento elettivo.

La capacità oramai sempre più vicina di produrre risultati di questo tipo deriva dalla conoscenza di algoritmi diversi che nel loro insieme fanno parte della ‘AI’. È abbastanza evidente che questo tipo di Conoscenza apre, e di fatto ha aperto, un dibattito su due ordini di problemi. Il primo che riporta alla preoccupazione già qui trattata, dell’impatto della tecnologia sulla occupazione (e in questo caso su quella al livello più alto). Il secondo, nuovo per questo genere di dibattiti, ma non certo per quello delle biotecnologie,  che tocca aspetti prettamente etici.

La domanda che più frequentemente ci si pone in questo secondo caso è: “Sulla base di quali valori, dopo tutte le analisi del caso, l’intelligenza artificiale’ decide come procedere?” Il fatto che ci siano gruppi industriali o interi paesi che abbiano accesso alle tecnologie AI, ed altri invece no, pone il problema socio politico dell’aggravarsi delle distanze tra chi ha e chi non ha, uno dei più gravi del momento storico nel quale viviamo.

D’altra parte è difficile immaginare un mondo in cui le macchine prendano decisioni sulla base di valori troppo distanti tra una realtà e l’altra. 
La gravità di tutto questo viene sentito in modo più intenso oggi dai grandi gruppi industriali che sono stati fino ad ora anche quelli che hanno investito di più nello sviluppo della AI. Penso a Google, Facebook, Amazon, DeepMind, Microsoft, IBM. …

La conseguenza è che questi giganti delle tecnologie digitali, ed altri come loro, si sono messi assieme per tenere sotto controllo la nuova situazione che si sta creando, e proteggere il bene comune, creando una Partnership sulla AI a beneficio dei singoli e della Società.

Il loro obiettivo è quello di stimolare il dibattito pubblico sui vari aspetti della AI, e di scrivere linee guida sui comportamenti basate su principi condivisi. 
L’obiettivo base cui questo gruppo fa riferimento è che tutti i sistemi di AI dovrebbero essere in grado di far comprendere in modo chiaro il loro modo di lavorare e che AI dovrebbe rappresentare un beneficio chiaro per la maggior parte, della gente che dovrebbe essere coinvolta in tutte le decisioni più critiche dello sviluppo di AI.

Data la rapidità del suo sviluppo, vi sono serie preoccupazioni di una minaccia esistenziale per l’umanità, ma esiste ovviamente anche un serio interesse di questi grandi gruppi a prevenire interventi pubblici regolatori che ne rallentino la crescita.

La prima conseguenza è che in molti, da Google alla sua analoga Cinese Baidu, hanno iniziato ad aprire le proprie piattaforme di AI per renderle accessibili ai vari possibili utenti, dai produttori di auto, o macchine utensili, alle istituzioni Finanziarie o Sanitarie.

Molto significativo è l’ultimo intervento di Satis Nadella CEO di Microsoft che ha reso pubblico la apertura incondizionata della versione più recente di Microsoft Cognitive Toolkit. Si tratta di un sistema per rendere possibile il ‘Deep Learning’ e accelerare l’apprendimento non solo in aree quali il riconoscimento delle parole e delle immagini ma in ogni ordine di AI. È oramai chiaro che rappresenta un elemento trainante di crescita, e si prevede che molto presto tutti i settori industriali, dalla manifattura ai servizi, dovranno essere pronti ad utilizzarla.

Non abbiamo ancora iniziato a digerire ‘Industria 4.0’ che già si vede arrivare in modo prepotente la ‘Industria 5.0’, dominata dalla AI. Meglio cominciare a prepararci.

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