Superforza di supercelle

Un nuovo processo aumenta la produzione elettrica delle celle a combustibile metanolo del 50 per cento.

di Kristina Grifantini

Nel suo laboratorio al MIT, il professore di ingegneria chimica Paula Hammond appende a delle mollette quello che sembra una pellicola per alimenti particolarmente spessa. Questa apparentemente insignificante membrana polimerica può aumentare in modo notevole la produzione di energia da parte delle celle a combustibile a metanolo, trasformando questa tecnologia in una potenziale alternativa, più leggera, durevole e ambientalmente sostenibile, delle batterie impiegate oggi nell’elettronica di consumo, dai cellulari ai computer portatili.

Essendo liquido a temperatura ambiente e quindi molto più facile da gestire dell’idrogeno, il metanolo è una fonte di energia promettente per le celle a combustibile, ma finora le sue applicazioni sono state limitate. Una delle ragioni di questo insuccesso è proprio la membrana che risiede al centro delle celle a combustibile.

Su un lato di una cella a metanolo un catalizzatore fa reagire l’alcool e l’acqua, producendo anidride carbonica, protoni ed elettroni liberi. I protoni passano attraverso la membrana e raggiungono un compartimento separato, dove si ricombinano con l’ossigeno dell’aria per formare acqua. Gli elettroni, che non possono attraversare la membrana, sono obbligati a passare attraverso i fili esterni, generando una corrente elettrica utilizzabile nei dispositivi elettronici.

Più protoni attraversano la membrana e più energia viene generata. Ma i polimeri finora impiegati per condurre i protoni tendono anche a far filtrare il metanolo nel secondo compartimento. Ciò provoca una perdita di potenza che limita la produzione elettrica della cella. Per limitare lo “sconfinamento del metanolo” (methanol crossover), i ricercatori possono o usare polimeri che non conducono i protoni molto bene, o aumentare lo spessore delle membrane protoniche. Entrambe queste soluzioni, però, diminuiscono l’efficienza delle celle.

In un lavoro pubblicato la scorsa primavera in “Advanced Materials” Hammond ha usato un elegante ed economico processo per ridurre lo sconfinamento del metanolo in una comune membrana per celle a combustibile, aumentando il rendimento della cella di oltre il 50 per cento. «Quello che abbiamo fatto», dice Hammond, «è stato generare una pellicola molto sottile che blocca la permeabilità al metanolo, ma che allo stesso tempo permette un alto tasso di trasporto di protoni». Incoraggiata da questo successo, il suo team sta adesso lavorando alla costruzione di membrane di questo tipo a partire dalle materie prime, rendendole così ancora meno costose.

Un processo modificato

La chiave delle membrane di Hammond è un processo di assemblaggio strato-su-strato. In un lavoro precedente il suo gruppo aveva alterato in questo modo una membrana fatta di Nafion, un polimero della DuPont, di uso comune nelle celle a combustibile, che conduce bene i protoni, ma permette anche l’infiltrazione del metanolo ed è piuttosto costoso da produrre.

Per iniziare il nuovo processo di produzione, Avni Argun, dottorando nel laboratorio e primo autore della ricerca uscita su “Advanced Materials”, monta un disco in silicio trattato in modo speciale, all’interno di una cappa da laboratorio e lo fa ruotare lentamente. Di fronte al disco sono montati quattro ugelli spray. Ogni ugello è connesso a un contenitore diverso, due contenenti acqua, uno la soluzione di un polimero carico positivamente e uno la soluzione di un polimero carico negativamente.

Argun avvia il sistema di spruzzo, che bagna il disco per pochi secondi con il polimero carico positivamente, poi lo risciacqua con acqua, poi con il polimero carico negativamente e infine di nuovo con acqua. In circa 50 secondi una membrana a due strati si è formata sul disco. Lo spessore di questo bilayer (strato doppio) dipende dal tipo di polimero e può andare da 3 a 50 nanometri. In circa sei ore gli ugelli possono sovrapporre da 400 a 600 bilayer, creando una membrana spessa 20 micrometri.

La membrana descritta in “Advanced Materials” era composta da tre bilayer, sovrapposti a una membrana di Nafion, che aggiungevano solo 260 nanometri al suo spessore. Usando una combinazione di polimeri negativi e positivi, i ricercatori sono riusciti a mantenere l’alta permeabilità ai protoni del Nafion, riducendo al tempo stesso lo sconfinamento del metanolo.

Altri ricercatori hanno tentato di limitare la permeabilità della membrana al metanolo, usando nuovi polimeri o unendone due di diverso tipo. Queste unioni, però, spesso non funzionano bene, perché polimeri con diverse strutture tendono a separarsi, rendendo la membrana meno stabile. Con il processo di assemblaggio strato-su-strato, che è procedura comune in altre aree della scienza dei materiali, «combiniamo due materiali diversi, ma su scala di lunghezza nanometrica, così che siano veramente interconnessi», dice Hammond.

I terreni di prova

Dopo che le membrane si sono asciugate, Argun con cautela le stacca dal disco e prova la loro permeabilità e resistenza elettrica, in modo da calcolarne la conduttività. Con una grossa molletta blocca la membrana fra una cornice di plastica e una base contenente fili di platino per la misura della resistenza. Dopo aver messo il tutto in una grande scatola di plastica sigillata, dove è possibile controllare temperatura e umidità, il ricercatore manipola dall’esterno la membrana tramite un paio di guanti che chiudono una apertura praticata su un lato della scatola. Dato che la maggior parte delle membrane funzionano meglio in condizioni di alta temperatura e alta umidità, è necessario prendere nota di entrambi questi parametri. Argun collega il dispositivo a un misuratore esterno, per testare la resistenza della membrana. La misura della permeabilità è invece più diretta: semplicemente si registra quanto metano passa attraverso di essa in un determinato periodo di tempo.

Se una membrana dà buoni risultati in questi test iniziali, Argun la accoppia a un elettrodo positivo e a uno negativo (gli stessi dove, nella cella, si verificano le reazioni che producono elettricità) per vedere come la membrana si comporterebbe in una vera cella a combustibile. Per farlo sistema gli elettrodi – due dischi neri di carbonio punteggiati da particelle di platino e lega metallica – su ogni lato della membrana. Successivamente inserisce il gruppo membrana-elettrodi in una guarnizione isolante, che sembra fatta di sottile cartoncino, sigillando il tutto tramite una pressa riscaldata.

Il laureando Nathan Ashcraft continua il processo da questo punto, inserendo l’insieme membrana-elettrodi dentro una cella a combustibile attiva, all’interno della quale vengono pompati con cautela metanolo e aria. Due piastre di acciaio, grandi quanto una fetta di pan carrè, costituiscono l’esterno della cella e sono dotate di un sistema interno di riscaldamento che permette ad Ashcraft di controllare con precisione la temperatura di reazione. Alle estremità della cella ci sono due elettrodi placcati in oro in mezzo ai quali sono sistemati due blocchi di grafite attraversati da piccoli canali. Ashcraft sistema il gruppo membrana-elettrodi a metà fra i blocchi di grafite e lo blocca con delle viti. Subito dopo pompa metanolo e aria attraverso i canali verso entrambi i lati dell’insieme, prendendo nota della corrente elettrica che si produce e della temperatura del sistema.

Il team della Hammond non ha ancora prodotto una membrana che conduca bene i protoni come il Nafion, «sentiamo però di esserci molto vicini», dice la scienziata. Il gruppo sta anche tentando di ottimizzare lo spessore della membrana: se è troppo sottile tende a rompersi nella cella, ma se è troppo spessa non conduce abbastanza bene i protoni. La membrana “ideale” a cui alla fine il laboratorio giungerà, dice Ashcraft, sarà probabilmente spessa circa 50 micrometri. Hammond intende anche sperimentare membrane formate da altri tipi di polimero.

Related Posts
Total
0
Share