Tre pazienti affetti da carcinoma avanzato hanno ricevuto iniezioni di cellule immunitarie alterate con lo strumento di gene editing CRISPR, senza effetti collaterali gravi.
di Charlotte Jee
È il primo studio clinico statunitense sulla tecnica e il primo studio su di una cura CRISPR contro il cancro a pubblicare i suoi risultati.
Obiettivo dello studio era semplicemente discernere se la tecnica fosse sicura e fattibile, non trovare una cura. Da questo punto di vista, è stato un successo. I tre pazienti, tutti sulla sessantina, erano tutti affetti da tumori che non avevano dato risposta positiva ad altri trattamenti e che producevano la stessa proteina. L’anno scorso, era stato sottoposto ad un’iniezione delle proprie cellule T alterate con il CRISPR per renderle più efficienti nel riconoscere la proteina ed eliminare il cancro. Queste cellule si sono integrate con successo con il sistema immunitario di ogni paziente e sono state trovate ancora in circolazione nel sangue nove mesi dopo. I risultati dello studio sono stati pubblicati su Science.
I ricercatori erano preoccupati che l’introduzione delle cellule alterate potesse innescare una reazione immunitaria, in quanto la proteina utilizzata nel processo CRISPR origina da batteri. Non è successo. Una seconda preoccupazione era che il gene editing condotto con il CRISPR potesse creare i cosiddetti effetti off-target, ovvero provocare alterazioni involontarie nelle cellule, e renderle tumorali. Sono stati osservati alcuni effetti simili, ma senza conseguenze gravi.
Per quanto le condizioni dei pazienti si siano stabilizzate durante il trattamento e nel caso di uno di loro, le dimensioni del tumore si fossero ridotte, l’iniezione cellulare non ha funzionato a lungo termine. Uno dei pazienti è ormai deceduto, mentre gli altri due sono peggiorati e stanno ora venendo trattati in altro modo.
Poiché la tecnica utilizzata è ormai obsoleta, la sperimentazione non proseguirà (il gene editing ha fatto passi da gigante dal 2016, quando lo studio venne approvato), ma i risultati sono incoraggianti ed apriranno la strada a molti altri test su pazienti umani. Fyodor Urnov, dell’Università della California, Berkeley, non coinvolto nello studio, ha spiegato su Science che lo studio risponde a “domande che hanno francamente perseguitato gli esperti”.
Immagine: AP / MIT Technology Review
(lo)