Ombre e luci nell’esperienza italiana ed europea dei corsi on-line

Per affrontare il tema dei rapporti tra università e nuove tecnologie della comunicazione bisogna prendere le mosse da due dati di fatto, uno qualitativo, la cosiddetta società della conoscenza, e l’altro quantitativo, il calo delle iscrizioni alle università itliane.

di Gianpiero Gamaleri

Per affrontare il tema dei rapporti tra università e nuove tecnologie della comunicazione bisogna prendere le mosse da due dati di fatto, uno qualitativo e l’altro quantitativo.
Il dato qualitativo è dato dal fatto che ci siamo ormai inoltrati in quella che è stata definita la “società della conoscenza”. Ciò significa, in parole povere, che sempre meno l’avanzamento socioeconomico, culturale ed etico è affidato alle braccia, cioè alla manualità del lavoro, e sempre più dipende dalla mente, da strategie individuali e collettive di organizzazione e gestione dei beni di cui disponiamo. La formazione universitaria evidentemente non può più prescindere da questa evoluzione, che peraltro si presenta positiva perché valorizza il capitale umano, prevedendo soggetti sempre più capaci di seguire a anticipare i rapidi cambiamenti dei processi intellettuali, produttivi e di convivenza civile. Come è stato detto, nel momento in cui un giovane inizia il suo percorso formativo, non è dato sapere quale sarà in uscita l’assetto delle professioni. La parola chiave di questa evoluzione è il termine “flessibilità”: prepararsi a sapere domani ciò che oggi non è rigorosamente prevedibile.
È ovvio che questo fattore qualitativo deve fare i conti con un’università organizzata per discipline (“Tante lingue ben fatte” le chiamava Condillac), cioè rigidi settori disciplinari che resistono allo sforzo di creare le connessioni necessarie ad affrontare situazioni e problemi sempre nuovi. L’innovazione tecnologica nell’insegnamento e nella ricerca universitaria devono tendere proprio a creare relazioni tra “sinapsi” che, se rimangono isolate, hanno come esito una formazione obsoleta e rigida, l’esatto contrario di ciò che la permanente innovazione richiede.
Il secondo fattore – il dato quantitativo – è costituito dal calo delle iscrizioni alle università italiane, in evidente controtendenza con l’esigenza di quella formazione diffusa di alta qualità, di responsabilità personale e di gruppo e di notevole flessibilità, resa necessaria dalla società della conoscenza. Una mente non formata e permanentemente esercitata ha come esito un soggetto frustrato, improduttivo, inutilizzabile. Dall’inizio del secolo a oggi, cioè negli ultimi quindici anni, le nuove iscrizioni nei nostri atenei sono calate da circa 320mila a meno di 250mila, con una perdita ogni anno di 70mila matricole. Ciò corrisponde a una diminuzione delle iscrizioni all’università di meno del 40 per cento dei diplomati di scuola secondaria superiore, mentre erano poco più del 50 per cento a inizio secolo. E tutto questo avviene nel momento in cui i dati ci indicano anche la necessità di incrementare il numero di soggetti laureati per tenere dietro al passo dei nostri partner europei. Nel contempo non si può non rilevare la contraddizione costituita dalla crescita anche dei giovani disoccupati pure in presenza di un titolo di studi superiori. Una contraddizione che dipende da difetti nella formazione e può essere superata solo attraverso percorsi innovativi, ispirati a uno stretto contatto con il mondo produttivo, secondo quello schema “duale” formazione-lavoro così bene delineato non a caso dal sistema scolastico e universitario tedesco, ma non solo.
Ad aggravare la situazione si registra la crescente disaffezione degli studenti i quali, specie nelle discipline umanistiche che non esigono la partecipazione a laboratori, esercitazioni, esperienze sul campo, presto disertano le aule concentrandosi solo sui libri in funzione dell’esame e di un “pezzo di carta” dallo scarso valore sostanziale. E così va a farsi benedire anche l’uso di tecnologie comunicative e didattiche avanzate nei nostri Atenei, che rischiano di venire proposte a una platea vuota.

L’esperienza dei MOOC dagli Stati Uniti all’Europa

Di università telematica si parla fin dalla fine degli anni 1960, con la nascita in Gran Bretagna della Open University. Ma è molti decenni dopo, nel 2012, che si registra negli Stati Uniti la nascita dei MOOC, Massive Open Online Courses, con un boom di iscrizioni che toccano la cifra di due milioni di studenti, peraltro seguito da una notevole percentuale di abbandoni causati da vistosi difetti nel “tutorato” degli iscritti, che si sentono inappagati dal solo contatto via Web. Nell’aprile dell’anno successivo, 2013, questi corsi prolificano anche in Europa, sullo spunto di una conferenza internazionale organizzata dall’Open Universiteit dei Paesi Bassi. La iniziativa ha coinvolto undici paesi e gode del sostegno della Commissione Europea. Ma di che cosa si tratta? I MOOC sono corsi universitari on-line che permettono a tutti di accedere a un insegnamento di qualità senza lasciare il proprio luogo di residenza o di lavoro. Sono attualmente un centinaio di corsi, comprendenti un’ampia gamma di materie e saranno presto disponibili in dodici lingue.
L’iniziativa è coordinata dall’Associazione europea delle università per l’insegnamento a distanza (European Association of Distance Teaching Universities, EADTU). Le nazioni interessate sono: Francia, Lituania, Paesi Bassi, Portogallo, Slovacchia, Spagna, Regno Unito, Russia, Turchia e Israele. Anche l’Italia è presente tra i soci fondatori dell’iniziativa, rappresentata dall’Università Telematica Internazionale Uninetturno di Roma, in sigla UTIU.
Will Swann, presidente dell’EADTU, ha dichiarato: «Le università aperte europee e i loro partner forniscono un insegnamento e un apprendimento di massima qualità per tutti coloro che intendono usufruirne. L’iniziativa paneuropea MOOC dimostra la nostra passione collettiva per il perseguimento dell’innovazione. Intendiamo ampliare la gamma di corsi proposti dai partner originari e accoglieremo nuovi partner dal mondo intero che condividono le nostre idee e le nostre prassi per un insegnamento superiore flessibile e reattivo».
I settori coperti dai corsi vanno dalla matematica all’economia, passando per le competenze digitali, il commercio elettronico, il cambiamento climatico, il patrimonio culturale, la responsabilità sociale delle imprese, l’apprendimento delle lingue e la scrittura creativa, i processi culturali e della comunicazione contemporanea, la pubblicità e l’organizzazione di eventi. Ogni partner propone corsi sulla propria piattaforma d’apprendimento, almeno nella sua lingua nazionale. È attualmente possibile scegliere tra le 11 lingue dei partner, più l’arabo, come nel caso dell’italiana UTIU diffusa nel Maghreb fino dalla sua fondazione.
I corsi possono venire seguiti secondo un calendario prefissato o in qualunque momento, al ritmo proprio dello studente. I corsi comprendono normalmente dalle 20 alle 200 ore di studio. Tutti i corsi possono portare a una qualche forma di riconoscimento: un attestato di completamento del corso, un cosiddetto “badge” o certificato di crediti che possono venire presi in considerazione per l’ottenimento di un diploma.

Aprire l’istruzione

La nuova iniziativa della Commissione è intitolata Aprire l’istruzione. Tale strategia intende promuovere l’utilizzazione delle tecnologie di formazione a distanza e delle risorse educative a tutti i livelli dell’istruzione al fine di fornire alle generazioni attuali e future di studenti le competenze di cui hanno bisogno.
Internet con le sue luci e ombre è il più grande spazio pubblico che mai il mondo abbia avuto, connette il pensiero umano a livello globale e ciò richiede un nuovo modello educativo e quindi anche un nuovo modello di università. La creazione di un network globale per l’istruzione superiore in cui docenti e studenti di diverse parti del mondo partecipano alla costruzione collaborativa del sapere non è più un’utopia e può portare alle università una nuova forma di vitalità facendole diventare protagoniste dell’economia globale.
Il futuro non è un dono, è una conquista che richiede a ogni generazione lotte e sacrifici per soddisfare le esigenze di una nuova era che, mai come in questo momento, accomuna i popoli del Nord e del Sud del mondo e li mette di fronte a una nuova sfida: la risposta ai bisogni di un mondo globalizzato e interconnesso.

Gianpiero Gamaleri è professore ordinario di Sociologia dei processi culturali e comunicativi e preside della Facoltà di Scienze della comunicazione a Uninettuno.

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