Mini-fattorie di alghe offshore contro la CO2

L’acquacoltura su larga scala sembra una tecnologia promettente per contrastare il cambiamento climatico. I pro e i contro di una tecnica innovativa

James Temple

Running Tide, un’azienda di acquacoltura con sede a Portland, nel Maine, prevede di mandare alla deriva dell’oceano decine di migliaia di piccoli allevamenti di alghe galleggianti nel Nord Atlantico tra questa estate e la prossima. La speranza è che le macroalghe in rapida crescita alla fine affonderanno sul fondo dell’oceano, immagazzinando migliaia di tonnellate di anidride carbonica.

L’azienda ha raccolto milioni di dollari in finanziamenti di venture capital e ha ottenuto un’ampia attenzione da parte dei media. Tra i suoi clienti annovera grandi nomi come la Chan Zuckerberg Initiative. Ma Running Tide ha avuto problemi a far crescere le alghe lungo i galleggianti in mare aperto durante i primi tentativi dell’anno scorso ed è stata abbandonata da alcuni scienziati negli ultimi mesi, affermano fonti ben informate con cui “MIT Technology Review” ha avuto modo di parlare.

Buona parte di coloro che sono andati via erano preoccupati che i dirigenti dell’azienda non prestassero sufficiente attenzione alle potenziali ricadute dei loro progetti sul piano ecologico. Una parte dei dipendenti era anche turbata dal fatto che Running Tide stesse discutendo di iniziative più controverse, inclusa l’aggiunta di nutrienti all’oceano per stimolare la crescita delle macroalghe.

Lo scorso anno, in una domanda di brevetto, l’azienda ha descritto un apparato galleggiante che potrebbe essere seminato con gametofiti o spore di macroalghe e “potenziato con un carico utile di nutrienti” che potrebbe “rilasciare ossido di ferro nell’acqua”. Questa potenziale fertilizzazione degli oceani ha suscitato critiche pubbliche e ha indotto a forme di regolamentazione internazionali un decennio fa.

In un’intervista e nella successiva e-mail, il CEO di Running Tide Marty Odlin ha sottolineato che l’azienda non ha attualmente piani per implementare il brevetto. Inoltre, ha respinto l’affermazione secondo cui l’azienda non sta prendendo abbastanza sul serio le preoccupazioni ecologiche e ha contestato le affermazioni relative ai presunti abbandoni da parte di alcuni ricercatori e alle difficoltà incontrate sul campo. 

Running Tide persegue un mercato redditizio anche se poco regolamentato: vendere le cosiddette compensazioni di carbonio alle aziende. La speranza è che le foreste di alghe sul fondo oceanico permettano di sequestrare ulteriori tonnellate di anidride carbonica che possono bilanciare le emissioni aziendali in corso o contribuire ad abbattere parte dei miliardi di tonnellate che dovranno essere rimosse per mantenere le temperature globali sotto controllo nei prossimi decenni.

I critici, tuttavia, temono che man mano che sempre più aziende sviluppano piani a zero emissioni nette, le pubbliche relazioni e gli incentivi finanziari stiano spingendo gli attori su tutti i lati di questo mercato in un’unica direzione: lo sviluppo, il finanziamento, l’accreditamento, la vendita e l’acquisto di quante più emissioni di carbonio crediti possibili, anche se alcune delle iniziative intraprese hanno vantaggi discutibili o potrebbero infliggere danni ambientali. 

Una miriade di startup sta perseguendo una varietà di nuovi modi per produrre o vendere i crediti, supportati da investimenti in capitale di rischio e commissioni elevate per ogni tonnellata di carbonio presumibilmente aspirata e immagazzinata. Ma i dubbi dei ricercatori sono crescenti. In particolare su Running Tide, documenti recenti hanno posto una serie di domande sui possibili rischi ecologici della crescita e dell’affondamento delle alghe

Secondo le fonti ufficiali, l’azienda mira a sequestrare 1 miliardo di tonnellate di anidride carbonica entro il 2025 e prevede di continuare negli anni successivi con una quota di un miliardo o più di tonnellate. Diversi esperti di alghe e biogeochimici marini hanno sottolineato nelle interviste che gli interventi di Running Tide potrebbero danneggiare ecosistemi altamente complessi, interconnessi e delicati. 

Tra gli altri rischi, l’alga potrebbe estromettere le comunità di fitoplancton che già rimuovono grandi quantità di carbonio e costituiscono la base delle catene alimentari marine che supportano la pesca globale. In altre parole, potrebbe danneggiare i sistemi globali che già regolano il clima e forniscono fonti cruciali di reddito e cibo.

Philip Boyd, professore di biogeochimica marina all’Università della Tasmania, ha scritto un articolo su “Nature Ecology & Evolution” in cui prende in considerazione gli effetti della proposta di Running Tide e afferma che le conoscenze scientifiche del settore non permettono di affrontare una sfida simile.  “Non sto dicendo di non farlo. Ma prima serve una riflessione molto più approfondita”, spiega.

L’innovazione procede velocemente

Odlin ha affermato che il sistema e i processi dell’azienda includono numerose “salvaguardie per ridurre al minimo qualsiasi possibile perturbazione ecologica e che Running Tide fa affidamento sulla migliore scienza disponibile grazie ai continui contatti con numerosi esperti oceanici”. Ricorda che il gruppo di ricerca Ocean Visions ha da tempo istituito un team di esperti per consigliare e valutare le operazioni di Running Tide.

Il team, che comprendeva scienziati della Woods Hole Oceanographic Institution e del Monterey Bay Aquarium Research Institute, ha pubblicato un rapporto nel 2021 che ha evidenziato una serie di potenziali effetti ambientali derivanti dall’affondamento delle alghe su varie scale e ha fornito una guida sugli sviluppi futuri della ricerca. L’8 giugno di quest’anno Ocean Visions ha anche annunciato la formazione di un comitato consultivo scientifico indipendente per l’azienda. 

Odlin ha insistito sul fatto che l’azienda non ha registrato un livello di turnover insolitamente alto per una startup di cinque anni e ha ricordato che tra il suo personale annovera 17 ricercatori, di cui sette con dottorato di ricerca, che hanno esperienza in agronomia e scienze oceaniche. “L’innovazione procede a passo accelerato al nostro interno”, continua, “e per noi la priorità rimane il ripristino degli ecosistemi marini danneggiati dai cambiamenti climatici e da altri effetti dell’attività umana. Siamo terrorizzati da ciò che stiamo vedendo“.

Odlin, la cui famiglia opera da generazioni nel settore della pesca commerciale, ha fondato l’azienda nel 2017 e sostiene con convinzione che le sue attività di allevamento in acqua, tra cui la produzione di molluschi, possono aiutare a ripopolare gli habitat marini. Ma i piani di Running Tide per far sprofondare le macroalghe in fondo all’oceano hanno conquistato la sua attenzione.

L’interesse per le alghe come strumento per la rimozione dell’anidride carbonica è aumentato negli ultimi anni poiché gli studi hanno scoperto che il mondo potrebbe aver bisogno di abbattere enormi quantità di gas serra e che diversi tipi di macroalghe possono naturalmente immagazzinare quasi 200 milioni di tonnellate di carbonio in un anno.

Gran parte dell’attenzione si è concentrata sull’alga kelp, che può crescere fino a 60 cm al giorno. Cresce principalmente lungo le coste, attaccandosi al fondale roccioso e assorbendo i nutrienti dalle acque relativamente fresche e poco profonde. Attraverso la fotosintesi, l’alga bruna assorbe rapidamente anche il carbonio disciolto nell’acqua di mare. Le acque superficiali, a loro volta, assorbono ulteriore anidride carbonica dall’aria nelle settimane o nei mesi successivi, ripristinando l’equilibrio tra gli oceani e l’atmosfera. 

Running Tide e altre aziende sperano di moltiplicare questo processo coltivando alghe, di più tipologie, sui galleggianti nelle profondità dell’oceano dove non subiranno l’influenza di altre operazioni marittime. I modelli di circolazione oceanica indicano che gran parte del carbonio nella biomassa che discende in alcune parti dell’oceano profondo potrebbe rimanere lì per decenni o secoli. Un rapporto della National Academies of Sciences dello scorso anno ha stimato che la coltivazione di alghe potrebbe rimuovere da 100 milioni a 1 miliardo di tonnellate di anidride carbonica all’anno.

L’azienda ha affermato che le sue microfattorie fluttuanti potrebbero essere seminate con sporofiti di kelp e dotate di un sistema meccanico per affondare dopo sei-otto mesi, idealmente a meno di 1.000 metri. Shopify, Stripe e Chan Zuckerberg Initiative hanno tutti acquistato la futura rimozione di anidride carbonica da Running Tide, al prezzo di 250 dollari a tonnellata nel caso di Stripe. L’azienda non ha rivelato i suoi finanziamenti, ma un rapporto di PitchBook parla di più di 15 milioni di dollari di raccolta fondi a partire da questa primavera da parte di Lowercarbon Capital, Venrock, Incite Ventures e altri investitori. 

Ma i critici sostengono che i primi tentativi di far crescere le alghe in mare aperto non hanno prodotto grandi risultati. Il sistema di imaging remoto di Tide ha mostrato che le giovani kelp seminate sui galleggianti sono cresciute nell’oceano, ha detto Odlin in un’e-mail, ma ha ammesso che “la resa e la consistenza non sono ancora commisurate a quelle necessarie per la rimozione del carbonio su larga scala”.

“Nessuno ha detto che sarebbe stato facile”, ha continuato Odlin, osservando che l’azienda sta lavorando con complicati sistemi biologici e una varietà di specie di macroalghe. “Alcuni sistemi funzioneranno bene, altri meno. “Ci potrebbero volere 30, 40 implementazioni per trovare un punto di equilibrio”, conclude “e siamo ancora ‘molto lontani’ da qualsiasi ‘distribuzione significativa’”. 

I dubbi sull’impatto ecologico sono diffusi

Secondo LinkedIn, i seguenti dipendenti hanno abbandonato l’azienda dopo meno di un anno: Margaux Filippi, direttrice di scienze oceaniche, Raj Saha, scienziato dei dati, Olivia Alcabes, esperta di dati, Jean Bertrand Contina, responsabile dell’agronomia per la produzione di macroalghe e il biologo Maxwell Calloway. 

Alcune fonti sostengono che i dirigenti di Running Tide sono stati sprezzanti nei confronti delle preoccupazioni sollevate da questi ricercatori sui potenziali impatti negativi della coltivazione di alghe. Odlin nega, affermando che i dubbi dei dipendenti sono sempre stati presi in considerazione dal dipartimento di ricerca e dal team esecutivo.

Una parte degli esperti esterni ritiene che i primi risultati della coltivazione di alghe in mare aperto possano essere indicativi di sfide più grandi. Boyd, per esempio, non si dice affatto sorpreso dei risultati perché le alghe si adattano alle acque ricche di nutrienti in gran parte concentrate lungo le coste. Inoltre, a suo parere, ci sono altre potenziali incertezze su alcune varietà che crescono in mare aperto, come il sargassum. 

In un articolo del 2021 di cui è coautore, apparso su “Nature Communications”, ha utilizzato come modello la massiccia fioritura di alghe sargassum nell’Atlantico negli ultimi anni e ha concluso che l’allevamento di alghe nell’oceano potrebbe persino diventare una fonte di aumento dell’anidride carbonica. Questo perché l’alga è in competizione per i nutrienti con altre specie che succhiano carbonio come il fitoplancton, tra gli altri complessi effetti di feedback biogeochimico. Il fatto che galleggi, inoltre, potrebbe rendere necessarie misure o meccanismi aggiuntivi per garantire che la maggior parte delle alghe raggiunga il fondo dell’oceano.

Lo sviluppo di tali sistemi e la fornitura di nutrienti in mare potrebbero aggiungere costi e complessità, favorendo sfide legali e reazioni negative da parte dell’opinione pubblica, come è successo nei primi tentativi di fertilizzazione degli oceani. Il brevetto depositato da Running Tide descrive un metodo in cui una fune potrebbe essere “avvolta, arrotolata e/o intrecciata” con “ferro o un filo, filamento o spago contenente ferro per fornire un nutriente.

L’ONU ha promulgato una moratoria sulla fertilizzazione degli oceani per scopi commerciali più di un decennio fa. Quella decisione, di per sé non vincolante, è stata in parte guidata dal crescente interesse tra le aziende per la possibilità di aggiungere nutrienti agli oceani per stimolare la crescita delle specie marine per risucchiare l’anidride carbonica. Inoltre, le nazioni che hanno sottoscritto la Convenzione di Londra, un trattato marittimo internazionale che regola il dumping oceanico, hanno approvato una risoluzione che limita questo tipo di intervento

Allo stesso modo, i sottoscrittori del Protocollo di Londra, che dovrebbe sostituire quel trattato, hanno approvato un emendamento restrittivo. Sebbene non sia stato ufficialmente emanato, la maggior parte delle nazioni ha rispettato le normative fino ad oggi.

Secondo alcune fonti, l’azienda ha esplorato un altro modo, potenzialmente più veloce, per iniziare a sequestrare il carbonio negli oceani: affondare quantità significative di trucioli di legno o altri tipi di legno di scarto, possibilmente con alghe più piccole che vi crescono intorno. Questa procedura ha a sua volta suscitato preoccupazioni interne sui potenziali effetti ecologici. Odlin ha detto di non sapere nulla di un simile piano.

“Queste preoccupazioni sembrano essere radicate in idee decontestualizzate emerse durante i nostri eventi di brainstorming in cui consideriamo apertamente la gamma di tutti i modi possibili per risolvere sfide difficili “, ha scritto, aggiungendo che “ci sono molti passaggi tra le potenziali idee che emergono da queste sessioni di brainstorming e la loro attuazione come strategia di rimozione del carbonio”.

Odlin ha affermato che l’azienda ha pianificato da tempo di utilizzare il legno in qualche modo nelle sue zattere di alghe, osservando che potrebbe anche abbattere il carbonio nella sua biomassa mentre affonda. Come riportato di recente da “Atlantic”, Running Tide ha recentemente esplorato l’utilizzo di boe di legno rivestite di calcare, per facilitare l’acidificazione degli oceani.

Una grave minaccia

Gli oceanografi affermano che l’affondamento di quantità significative di legno potrebbe alterare drasticamente gli ecosistemi delle acque profonde. Nel 2010, gli scienziati dell’Università delle Hawaii a Manoa hanno affondato quasi 200 kg di tavole di abete Douglas a 1.700 metri di profondità nel bacino di Santa Cruz, al largo della costa della California e hanno riscontrato nette differenze nell’ecosistema nei mesi e negli anni successivi. 

I bivalvi xilofagi si sono rapidamente messi al lavoro sul materiale sommerso, seguiti da batteri aerobici e poi anaerobici che riducono rispettivamente l’ossigeno e producono solfuro. Si sono anche sviluppate specie opportunistiche, inclusi gamberetti incappucciati e policheti, che consumano biomateria e possono tollerare i solfuri. Ma la biodiversità è “diminuita in modo significativo” poiché la chimica dell’acqua è diventata tossica per altre specie a causa dell’attività batterica, afferma in uno studio Craig Smith, professore di oceanografia all’università.

Se tale materiale fosse affondato su scale molto grandi nel corso degli anni, tratti significativi del mare profondo potrebbero diventare zone impoverite di ossigeno e dominate da microbi dove poco altro potrebbe vivere, sostiene Smith. ”Si tratterebbe, a suo parere, di una “enorme perturbazione dell’ecosistema”.

I ricercatori hanno evidenziato numerose sfide aggiuntive nell’aumento generalizzato del ciclo naturale del carbonio delle alghe come strumento su grande scala per la rimozione e lo stoccaggio dei gas serra. Mentre Running Tide punta a circa un miliardo di tonnellate di anidride carbonica all’anno, il rapporto delle National Academies ha fatto notare che la semplice rimozione di 100 milioni di tonnellate all’anno potrebbe richiedere l’equivalente di una cintura di allevamenti di alghe larga circa 100 metri lungo oltre 700.000 km di costa. Stiamo parlando di più del 60% della costa globale, vale a dire un’area grande quasi quanto l’Irlanda.

E’ anche sempre più evidente che non ogni tonnellata di carbonio assorbita dalle alghe può contare come una tonnellata di carbonio rimossa. Gli oceani non aspirano necessariamente una quantità equivalente dall’aria. La miscelazione naturale degli oceani potrebbe sostituire una quantità significativa del carbonio inorganico disciolto assorbito dalle alghe o spostare le acque lontano dalla superficie, tra gli altri fattori che possono entrare in gioco. Come notato in precedenza, l’aumento della crescita delle macroalghe può anche andare a scapito di altre specie che assorbono carbonio.

Infine rimane aperta la domanda su dove vanno a finire le alghe. Kelp perde continuamente le sue lame e fronde mentre cresce. Quando si riversano sulle spiagge, le alghe vengono inghiottite da invertebrati e batteri o si rompono in altro modo prima di raggiungere le profondità oceaniche. In questi modi gran parte del carbonio contenuto può semplicemente tornare nell’aria, afferma Catriona Hurd, professoressa all’Università della Tasmania che si concentra sull’ecologia delle alghe e autrice di una ricerca che ha evidenziato le sfide della contabilizzazione del carbonio delle alghe.

Le aziende “potrebbero affondare un po’ di carbonio sul fondo del mare, ma gran parte verrà scomposto e remineralizzato lungo il percorso”, afferma Hurd. “Sono inoltre necessarie ulteriori ricerche per sapere quanto carbonio rimane sequestrato, per quanto tempo, in luoghi e condizioni variabili”, continua, “anche quando le alghe raggiungono il fondo”. In effetti, uno studio pubblicato questa settimana dal National Oceanography Center del Regno Unito ha rilevato che una quantità notevolmente inferiore di carbonio può rimanere nelle profondità oceaniche per 100 anni o più rispetto a quanto si pensi generalmente.

L’articolo su “Nature Ecology” di Boyd e il rapporto Ocean Visions hanno elencato una serie di potenziali problemi ecologici con l’affondamento delle alghe su larga scala, al di là dei possibili effetti sul fitoplancton. Grandi zattere di alghe galleggianti potrebbero introdurre specie e microbi invasive. Proietterebbero anche ombre che potrebbero distorcere il comportamento dello zooplancton di acque profonde e dei pesci che si spostano verso l’alto intorno al tramonto per evitare di essere mangiati.

Quando le alghe si accumulano sul fondo del mare, potrebbero soffocare una larga varietà di specie che vivono all’interno dei sedimenti oceanici. E potrebbero attrarre e respingere diverse creature, alterando la chimica e la biodiversità dei delicati ecosistemi di acque profonde. Boyd e Hurd evidenziano entrambi che il campo è molto lontano dalla possibilità di creare modelli che stimino accuratamente la quantità di carbonio immagazzinata attraverso l’affondamento di macroalghe su larga scala, come sarebbe essenziale per qualsiasi mercato credibile della compensazione del carbonio

Gli osservatori notano anche che mentre l’assorbimento di carbonio attraverso la piantumazione di alberi e il rimboschimento può essere stimato approssimativamente utilizzando controlli a campione sul campo o immagini satellitari, non è chiaro come qualsiasi organizzazione di accreditamento possa verificare facilmente o in modo economico i risultati di centinaia di aziende di alghe che affondano zattere galleggianti per centinaia di miglia in mare aperto.

Odlin ha affermato che Running Tide esamina continuamente le nuove ricerche nel campo, internamente e con i suoi consulenti scientifici, per determinare se qualcuna di esse “cambia i sistemi di conoscenza condivisi.  “Il consenso scientifico schiacciante”, ha continuato “è che la coltivazione delle alghe rappresenti uno dei percorsi oceanici per la rimozione dell’anidride carbonica più promettenti dell’umanità, come affermato nel rapporto delle National Academies dello scorso anno”.

Il documento, che ha valutato sei approcci di rimozione del carbonio a base marina, ha affermato che c’era “media fiducia” nell’efficacia della coltivazione delle alghe. Ha valutato la base di conoscenza come “medio-alta”, la scalabilità come “media”, la durabilità come “medio-alta” e il rischio ambientale come “medio-alto”.

Gli autori hanno raccomandato un programma di ricerca da 125 milioni di dollari “per comprendere meglio le sfide generali per gli approcci di rimozione della CO2 oceanica, compresi i potenziali impatti economici e sociali” e hanno stimato che saranno necessari 235 milioni di dollari per finanziare le priorità di ricerca per la coltivazione delle alghe in un periodo di cinque anni.

C’è un ampio accordo tra gli scienziati del clima sul fatto che oltre a ridurre le emissioni, il mondo ha bisogno di trovare modi per iniziare ad assorbire rapidamente grandi quantità di anidride carbonica per affrontare i crescenti pericoli del riscaldamento globale. Come farlo in modo economico, affidabile, sicuro e su larga scala rimane una questione scientifica e una sfida aziendale. 

Ma alcuni osservatori temono che la mentalità della Silicon Valley stia prendendo piede nel campo della rimozione del carbonio e ricordano che l’urgenza di risolvere questo problema non libera i ricercatori, i governi o le aziende dalla necessaria cautela quando si tratta dei beni comuni globali come gli oceani del mondo. I ricercatori di Yale, il Woods Hole Oceanographic Institution e l’Environmental Defense Fund hanno messo in guardia da questo pericolo su “Frontiers of Marine Science”. 

Gli autori hanno chiesto al mondo scientifico di adottare un codice di condotta per guidare il lavoro nella rimozione del carbonio in mare, sottolineando la mancanza di normative e i rischi per la ricerca di “ottenere risultati tragici o inaspettati”.

Image by Bessi from Pixabay

(rp)

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