L’elettronica molecolare riconquista la scena

Dopo i fallimenti degli anni 1990, una nuova azienda ha ripreso il timone del settore di ricerca utilizzando singole molecole per realizzare chip per biosensori di qualità, pronti alla commercializzazione

di Karmela Padavic-Callaghan

Nel 1999, il chimico della Rice University Jim Tour ha co-fondato Molecular Electronics Corporation, un’azienda che mirava a utilizzare singole molecole per creare un nuovo tipo di memoria elettronica. Ma Tour aveva sogni ancora più grandi. In un racconto apparso su “Wired” nel 2000, aveva predetto un futuro in cui l’elettronica molecolare avrebbe scavalcato i circuiti a base di silicio, consentendo ai chip dei computer di continuare a diventare più densi e potenti. Ma i finanziamenti al settore crollarono e Tour lasciò il business dell’elettronica molecolare. 

Ora, la startup Roswell Biotechnologies con sede a San Diego spera di dare una seconda vita all’elettronica molecolare e Tour, che fa parte del comitato consultivo scientifico dell’azienda, è pronto a sostenere di nuovo il progetto. Invece di mirare ai circuiti informatici, Roswell si sta concentrando sull’integrazione di singole molecole nei circuiti di biosensori elettronici, un approccio che spera possa presto fornire un modo economico e conveniente per rilevare virus, raccogliere tossine ambientali e valutare gli effetti dei farmaci in tempo reale

A gennaio, in un articolo su “PNAS”, l’azienda ha descritto un set di 16.000 biosensori molecolari funzionali completamente integrati nei circuiti di un chip semiconduttore. Ciò dimostra che questi chip possono essere realizzati utilizzando i metodi di produzione esistenti su scala commerciale e, secondo Barry Merriman, co-fondatore e responsabile scientifico di Roswell, potrebbero costare solo pochi dollari per unità.

“Era tempo che aspettavamo che i produttori di chip facessero qualcosa per noi nelle bioscienze”, afferma Nils Walter, un chimico dell’Università del Michigan e co-fondatore di aLight Sciences, un’azienda che sta sviluppando a sua volta singole molecole come biosensori, con la differenza dell’utilizzo della fluorescenza, o l’emissione di luce, invece dei segnali elettrici per leggere i risultati. 

Roswell non è l’unica azienda ad avere come obiettivo i biosensori basati su chip. Per esempio, Dynamic Biosensors, con sede a Monaco, offre chip con sensori basati sul DNA che utilizzano la luce. “Ma il sistema di produzione di Roswell”, afferma Merriman, “fa riferimento a sensori abbastanza flessibili da lasciare spazio all’idea di un “biosensore universale” che può essere prodotto in serie con le moderne tecniche di produzione di chip. 

Il fulcro dei circuiti di Roswell è un filo molecolare costituito da una catena di amminoacidi che è collegata al resto del chip come se fosse un normale filo metallico. Per creare un sensore, il laboratorio lega una molecola all’altra estremità del filo. Quando questa molecola interagisce con il bersaglio previsto, che può essere un filamento di DNA, un anticorpo o una qualsiasi delle altre molecole biologicamente rilevanti, la sua conduttività elettrica cambia. Il chip registra questa modifica e il software estrae i dettagli delle interazioni corrispondenti. 

Per assemblare migliaia di sensori, Roswell prende le mosse da un chip di silicio tempestato di nanoelettrodi prefabbricati, quindi utilizza la tensione elettrica per estrarre le molecole dalla soluzione e inserirle nel chip. Questa parte del processo di assemblaggio ora dura meno di 10 secondi, ma in passato processi molecolari simili richiedevano ore o addirittura giorni.

L’approccio di Roswell potrebbe far rivivere alcune delle speranze che i ricercatori di elettronica molecolare avevano 20 anni fa. Allora, sembrava che le piccole dimensioni delle molecole potessero aiutare a rendere i componenti del circuito più piccoli e i chip di calcolo più densi. 

È interessante notare che un produttore di chip molecolari potrebbe, in linea di principio, “autoassemblare” circuiti, aggiungendo molecole in condizioni altamente controllate e lasciandole organizzare nelle strutture desiderate da sole, spiega George Church, genetista di Harvard e membro del comitato consultivo scientifico di Roswell.

L’entusiasmo nei confronti di tali proprietà molecolari ha portato a una rapida crescita del campo dell’elettronica molecolare alla fine degli anni 1990. Sembrava il momento perfetto. “Ci sono state tante previsioni sulla fine del silicio“, ricorda Tour, “ma non è successo. Il silicio ha continuato a migliorare le prestazioni“. Philip Collins, fisico dell’Università della California, a Irvine, che ha lavorato come consulente per Roswell, afferma che la conseguente caduta dell’elettronica molecolare è stata drammatica: “Direi che nove ricercatori su 10 hanno abbandonato”. 

Con il nuovo chip, Roswell punta invece a un’applicazione per la quale il silicio non è adatto. Le molecole sono speciali perché “possono essere molto più complesse di quelle binarie”, afferma Collins. “Possono codificare tanti diversi stati, come nella biochimica, a cui semplicemente non abbiamo altri modi di accedere”. 

La nuova visione, condivisa da Roswell e altri produttori di tecnologia molecolare su chip, riguarda i biosensori che consentirebbero alle persone di controllare i biomarcatori come i livelli di vitamine o l’evidenza di un’infezione con quasi la stessa facilità con cui ora si controlla il cuore su uno smartwatch. Nel caso di Roswell, migliaia di biosensori potrebbero rilevare diverse interazioni molecolari contemporaneamente e i chip sarebbero usa e getta.

Walter dell’Università del Michigan osserva che, sebbene il dispositivo di Roswell possa ospitare più di 10.000 biosensori su un chip, averne centinaia di migliaia o milioni in più spingerebbe il dispositivo verso una funzionalità più commerciabile, soprattutto quando si tratta di rilevare basse concentrazioni di biomarcatori all’inizio di una patologia. 

Il mercato delle biotecnologie commerciali non è una nuova arena per Church, Merriman e altri leader aziendali. Ma l’esperienza e la competenza del team di Roswell non hanno reso il percorso di finanziamento dell’azienda così facile come sperava una volta il CEO Paul Mola. 

Dopo il documento aziendale di gennaio, dice Mola, ci  aspettavamo un aumento del capitale di rischio, ma non è successo. Sebbene finora Roswell abbia raccolto oltre 60 milioni di dollari, principalmente da investitori strategici e rappresentanti di famiglie benestanti, a febbraio ha dovuto quasi dimezzare il personale. 

Mola, che è nero, afferma che parte del problema risiede nel problematico rapporto dell’industria biotecnologica con la diversità, come già segnalato da STAT all’inizio di marzo. “Quando si pensa a un’azienda importante, generalmente si ha in mente un imprenditore nella loro famiglia con reti di accesso agli investitori. Questo non è vero per un imprenditore nero”, sostiene Mola.

Roswell è ancora sulla buona strada per rilasciare un dispositivo commerciale entro la fine dell’anno. La startup sta per iniziare il suo prossimo giro di finanziamenti. Sta inoltre introducendo un servizio che potrebbe attirare i clienti prima di vendere loro direttamente i chip: gli scienziati potranno ora inviare campioni a Roswell e far lavorare internamente i suoi biosensori molecolari, raccogliendo dati preziosi, come per esempio la funzione in tempo reale dei nuovi farmaci. 

Karmela Padavic-Callaghan è una giornalista freelance con sede a Brooklyn, New York.

(rp)

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