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Jennifer Doudna, premio nobel per la chimica nel 2020 per la “forbice molecolare”, lavora a un sistema di editing genetico per creare piante affamate di carbonio

Casey Crownhart

L’Innovative Genomics Institute (IGI), un gruppo di ricerca a Berkeley, in California, fondato dal co-inventore di CRISPR Jennifer Doudna, ha annunciato un nuovo programma per utilizzare il rivoluzionario strumento di modifica genetica sulle piante per aumentare la loro attitudine allo stoccaggio del carbonio. Il programma iniziale durerà tre anni ed è finanziato da una sovvenzione di 11 milioni di dollari della fondazione di Mark Zuckerberg e Priscilla Chan.

La ricerca fa parte delle iniziative degli scienziati per aspirare l’anidride carbonica già nell’atmosfera al fine di rallentare il cambiamento climatico. L’aumento delle capacità naturali delle piante di assorbirla potrebbe, se fatto su scala sufficientemente ampia, aiutare a ridurre le temperature di picco in un mondo in fase di riscaldamento

Mentre molte persone associano la cattura del carbonio agli alberi, la ricerca IGI si sta concentrando sulle colture agricole. La scelta è principalmente una questione di tempi, afferma Brad Ringeisen, direttore esecutivo di IGI. Gli alberi possono avere una vita lunga che consente loro di bloccare il carbonio per decenni o addirittura secoli, ma la maggior parte dei raccolti cresce più velocemente, consentendo ai ricercatori di accelerare la fase di test.

Uno degli obiettivi primari del lavoro dell’IGI sarà quello di modificare la fotosintesi in modo che le piante possano crescere più rapidamente, afferma Ringeisen. Alterando gli enzimi coinvolti, i ricercatori potrebbero eliminare le reazioni collaterali che riducono l’energia, comprese alcune che effettivamente rilasciano anidride carbonica. 

Ma la fotosintesi è solo metà della storia, perché il carbonio nelle piante di solito ritorna nell’aria dopo che le piante vengono mangiate dai microbi del suolo, dagli animali o dalle persone. Mantenere il carbonio nel terreno, o trovare altri modi per immagazzinarlo, è importante almeno quanto catturarlo da subito.

Sistemi che lavorino sulle radici possono immagazzinare più carbonio nel terreno, perché se una pianta muore e parti di essa si trovano in profondità nel sottosuolo, è meno probabile che il carbonio contenuto alle sue basi ritorni rapidamente nell’aria. Le radici non sono l’unica opzione  afferma Ringeisen. Le piante modificate potrebbero anche essere utilizzate per produrre bio-olio o biochar, che possono essere pompati in prodondità per lo stoccaggio.

L’ ottimizzazione delle piante per la rimozione del carbonio sarà una sfida, afferma Daniel Voytas, ingegnere genetico dell’Università del Minnesota e membro del comitato scientifico di IGI. “Molti dei tratti da alterare nelle piante sono influenzati da più geni”, dice, “e possono rendere difficile intervenire con precisione”. E mentre alcune piante, come il tabacco e il riso, sono state studiate così a fondo che i ricercatori sanno come modificarle, la genetica di altre è molto meno compresa.

La maggior parte della ricerca iniziale dell’IGI sulla fotosintesi e sui sistemi radicali si concentrerà sul riso, afferma Ringeisen. Allo stesso tempo, l’istituto lavorerà anche allo sviluppo di migliori tecniche di modifica genetica per il sorgo, una coltura di base rimasta sempre “oscura” per i ricercatori.

Il team spera di comprendere e potenzialmente alterare anche i microbi del suolo.  “Non è facile perché ci troviamo davanti a situazioni complesse”, afferma Ringeisen. La speranza è che di fronte a un problema di grande portata come il cambiamento climatico, “piante, microbi e più in generale l’agricoltura possono effettivamente essere la risposta giusta”.

Immagine: Innovative Genomics Institute

(rp)