In arrivo i test genetici sul QI, ma sottoporvisi potrebbe non essere una scelta intelligente

Gli scienziati hanno trovato un collegamento tra intelligenza e centinaia di geni. Uno psicologo crede che sia ora di testare i bambini a scuola.

di Antonio Regalado

Secondo Robert Plomin, genetista comportamentale, saranno presto a disposizione test del DNA da $50 con cui calcolare quali probabilità si hanno di conseguire una laurea o essere ammessi in una scuola prestigiosa.
Gli studi genetici hanno a propria disposizione un ammontare di dati sufficiente da aver finalmente  permesso ai ricercatori di individuare più di 500 geni correlati ad un alto Quoziente Intellettivo. Presto saranno disponibili i risultati di uno studio volto a trovare una correlazione tra il DNA di un milione di individui ed i loro risultati accademici.

Secondo Plomin, ricercatore americano impiegato al King’s College London, dove dirige uno studio che si occupa di 13.000 coppie di gemelli britannici, queste scoperte ci mettono nelle condizioni di leggere il DNA di un bambino e farci un’idea di quanto sarà intelligente. Proprio Plomin ha descritto nel suo articolo “The New Genetics of Intelligence,”  la possibilità che i genitori delle prossime generazioni vogliano utilizzare test genetici da banco per determinare le capacità mentali dei propri figli e prendere decisioni sul loro futuro, dando vita ad una pratica che Plomin definisce ‘precision education’.

Ad ora, le predizioni non risultano accurate. Le variazioni nel DNA individuate sembrano in grado di giustificare meno del 10 percento delle differenze intellettuali tra i soggetti europei studiati. Ciononostante, secondo le indagini condotte dal MIT Technology Review, alcune delle previsioni di Plomin si stanno già avverando. Già tre servizi online, compresi GenePlaza e DNA Land, stanno offrendo la possibilità di quantificare il QI di chiunque a partire da un campione di saliva. Altre società come la 23andMe, la più grande produttrice di test genetici da banco, si dichiarano preoccupate per l’impatto che una simile informazione potrebbe avere sugli utenti. Molti degli educatori intervistati dal MIT Technology Review, hanno reagito con allarme all’idea che i test genetici possano essere utilizzati per determinare le prospettive accademiche dei bambini. Catherine Bliss, sociologa della University of California di San Francisco, autrice di un libro sulle dubbie applicazioni della genetica nel campo delle scienze sociali, spiega: “Un mondo dove si dividono le persone in categorie determinate in base alle loro capacità innate è un mondo dominato dall’eugenetica.”

In psicologia, i test sul QI misurano una variabile “g”, a partire da fattori quali capacità matematiche, ragionamento spaziale ed abilità verbali, ma anche felicità, salute, durata della vita, introiti. Un alto livello di g sembrerebbe essere ereditabile, oltre che positivo. Lo studio di coppie di gemelli, sia omozigoti che eterozigoti, separati alla nascita o cresciuti insieme, dimostra che nella genetica si dovrebbero trovare le origini di più della metà dell’intelligenza di un individuo. Il resto è il risultato di educazione, dieta ed altri fattori ambientali.

Plomin ha condotto svariati tentativi per individuare i geni dell’intelligenza, rimanendo persino coinvolto nelle traversie di una società cinese, la BGI, il cui progetto fu interrotto sotto l’accusa di star producendo ‘geni in provetta.’ Il successo è arrivato nel maggio 2017, grazie ad una ricerca olandese a cui si deve l’identificazione delle prime 22 variazioni genetiche connesse ai valori dei QI. I geni individuati sono ora 500 ed i risultati verranno pubblicati al conseguimento dei 1.000. Ciascuna variabile genetica finora identificata non ha che un minimo effetto sul QI generale, incrementandolo o diminuendolo. I ricercatori mirano a poter sommare e sottrarre tutti i fattori a favore o sfavore per ottenere la somma finale, un ottimo esempio di applicazione dei “fattori poligenici.”

Svariati scienziati, intervistati dal MIT Technology Review, hanno dichiarato di non credere che i test genetici sul QI possano rivelare nulla di interessante. “Non saremo mai in grado di analizzare il genoma di un individuo e predire con precisione il suo QI,” spiega Danielle Posthuma, già alla direzion dello studio del 2017. Posthuma conduce questi studi volti a individuare quali geni possano essere associati al livello d’intelligenza allo scopo di indagare sul funzionamento del cervello. Plomin, fa notare il fatto che i test sul QI intellettivo non diano risultati apprezzabili nei bambini, a differenza di quanto potrebbe fare il DNA, presente ed immutaible sin dalla nascita.

Rimane il problema della precisione di questi calcoli. Secondo gli stessi dati raccolti da Plomin studiando i fattori poligenici di innumerevoli coppie di gemelli, individui con un basso fattore genetico hanno dato ottima prova di sé a scuola, laddove altri hanno fallito nonostante le ottime premesse genetiche. Come fa notare Aaron Panofsky, sociologo alla University of California, Los Angeles, il rischio di etichettare un Einstein come sciocco sin dalla più tenera età, non è un problema da poco.

Ciononostante, utenti della 23andMe o della Ancestry.com, muniti del proprio genoma, possono già caricarlo online su piattaforme come GenePlaza, o DNA Land, per ottenerne una valutazione genetica del proprio potenziale intellettivo. Gli utenti vengono avvisati del fatto che i risultati non valgono molto, in quanto non sono in grado di predire che 5 punti del QI. Per ora, le società più importanti nel campo dei test genetici si stanno tenendo alla larga dalle analisi dell’intelligenza, preoccupate “di come vengono utilizzate e di come se ne parla,” spiega James Lu, cofondatore della californiana Helix.

La storia dell’eugenetica è infatti, strettamente correlata a nazismo e razzismo. Né è certo che i clienti debbano avere una reazione positiva di fronte ad un’eventuale valutazione bassa della propria intelligenza. La 23andMe, in possesso del DNA di più di cinque milioni di persone, contribuisce alla ricerca dell’intelligenza mettendo i propri dati a disposizione dei ricercatori. Perché non parlarne ai clienti? Secondo Shirley Wu, della 23andMe, la società avrebbe deciso altrimenti prendendo in considerazione vari fattori, tra cui: “I rischi di possibili interpretazioni scorrette.”

Per quanto sia ancora tabù parlarne, c’è già chi sta studiando come applicare i fattori poligenici legati all’intelligenza alla scelta del miglior embrione in vitro, come alla selezione del donatore di sperma più promettente o dei feti meno a rischio. Dalton Conley, sociologo della Princeton University, chiama ‘genotocrazia’ la società che rischia di evolvere in assenza di un serio dibattito etico sull’eugenetica personale. Dato il costo della fertilizzazione in vitro, ci potremmo trovare di fronte ad una società in cui i ricchi possono selezionare la genetica migliore per i propri figli, andando ad inasprire sempre più le condizioni di ineguaglianza socio-economica esistenti. Altri sono allarmati dalla possibilità che i modelli di intelligenza genetica possano essere applicati ad un confronto tra razze, gruppi etnici, ecc. David Reich, biologo della Harvard University, ha citato le indagini sull’intelligenza in un articolo comparso sul New York Times per invitare alla cautela. Se differenze di QI fossero dovute alla genetica, più che alle circostanze, i fattori poligenici potrebbero dimostrarlo.

Secondo Stuart Ritchie, psicologo della University of Edinburgh, serve un dibattito etico sull’utilizzo di queste informazioni, che si tratti della valutazione del QI di un bambino o della selezione di un embrione. Molti di coloro che si dichiarano a favore dell’utilizzo di informazioni relative alla salute, dubitano della necessità di informare i genitori sul potenziale futuro intellettuale dei figli. Plomin, invece, è convinto che, man mano che il calcolo dei fattori poligenici rivelerà il ruolo dell’intelligenza sul salario, sulla scelta del coniuge e sulla struttura della società in generale, la gente sarà interessata in queste informazioni.

Immagine: Tim Lahan

(lo)

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