Buddismo ed etica delle AI

Il Buddismo ci insegna a concentrarci sull’eliminazione della sofferenza nel mondo.

di Soraj Hongladarom

Lo sviluppo esplosivo dell’intelligenza artificiale ha alimentato la speranza che possa aiutare a risolvere molti dei problemi più difficili del mondo. Tuttavia, c’è anche molta preoccupazione per il potere dell’intelligenza artificiale e un crescente consenso sul fatto che il suo utilizzo dovrebbe essere guidato per evitare che vengano violati i nostri diritti.

Molti gruppi ed organizzazioni hanno discusso e proposto linee guida etiche per lo sviluppo e l’implementare della Intelligenza Artificiale. Hanno pubblicato documenti sull’argomento sia l’IEEE (con il contributo dell’autore), un’organizzazione professionale globale per ingegneri, che l’Unione Europea. La AI Ethics Guidelines Global Inventory ha raccolto più di 160 direttive simili compilate in tutto il mondo.

Purtroppo, la maggior parte di questi rapporti è stata sviluppata da gruppi o organizzazioni concentrati in Nord America ed Europa. Un sondaggio condotto dalla scienziata sociale Anna Jobin e dai suoi colleghi, ne ha individuati 21 prodotti negli Stati Uniti, 19 nell’UE, 13 nel Regno Unito, quattro in Giappone, e uno ciascuno in India, Singapore, Emirati Arabi e Corea del Sud.

Le linee guida riflettono i valori delle persone che le emettono. Il fatto che la maggior parte delle linee guida sull’etica dell’AI vengano scritte nei paesi occidentali significa che il campo è dominato da valori occidentali come il rispetto dell’autonomia e dei diritti degli individui, soprattutto perché le poche linee guida emesse in altri paesi riflettono principalmente quelle occidentali.

Documenti compilati in paesi diversi possono essere simili perché alcuni valori sono effettivamente universali. Tuttavia, affinché queste linee guida riflettano veramente le prospettive delle persone nei paesi non occidentali, dovrebbero rappresentare anche i sistemi di valori tradizionali tipici di ciascuna cultura.

Occidente ed Oriente dovrebbero condividere le proprie idee e considerare quelle degli altri per arricchire le proprie prospettive. Poiché lo sviluppo e l’uso dell’AI abbraccia l’intero globo, il modo in cui la pensiamo dovrebbe essere informato da tutte le principali tradizioni intellettuali.

Detto questo, credo che le intuizioni derivate dall’insegnamento buddista potrebbero avvantaggiare chiunque lavori nel campo dell’etica dell’AI, in qualsiasi parte del mondo, non solo nelle culture tradizionalmente buddiste (che si trovano principalmente nell’est e sud-est asiatico).

Il Buddismo propone un modo di pensare all’etica basato sul presupposto che tutti gli esseri senzienti vogliono evitare il dolore. Pertanto, il Buddha insegna che un’azione è buona se porta alla libertà dalla sofferenza.

L’implicazione di questo insegnamento per l’Intelligenza Artificiale è che qualsiasi uso etico dell’AI deve sforzarsi di ridurre il dolore e la sofferenza. In altre parole, ad esempio, la tecnologia di riconoscimento facciale dovrebbe essere utilizzata solo se è possibile dimostrare che riduce la sofferenza o promuove il benessere. Inoltre, l’obiettivo dovrebbe essere quello di ridurre la sofferenza per tutti, non solo per coloro che interagiscono direttamente con l’AI.

Ovviamente possiamo interpretare questo obiettivo in senso ampio per includere la correzione di un sistema o un processo insoddisfacente o la modifica di qualsiasi situazione in meglio. Usare la tecnologia per discriminare le persone, o per sorvegliarle e reprimerle, sarebbe chiaramente immorale. In caso di incertezza sulla natura dell’impatto dell’utilizzo di AI, l’onere della prova spetterebbe a coloro che cercano di dimostrare che una particolare applicazione non causa danni.

Un’etica dell’AI ispirata al Buddismo comprenderebbe anche che vivere secondo questi principi richiede l’auto-coltivazione. Ciò significa che chi si occupa di AI dovrebbe allenarsi continuamente per avvicinarsi all’obiettivo di eliminare totalmente la sofferenza. Raggiungere l’obiettivo non è così importante; l’importante è intraprendere la pratica per ottenerlo. Designer e programmatori dovrebbero riconoscere questo obiettivo e definire i parametri specifici necessari ad incarnare l’ideale.

Affinché tutto ciò sia possibile, aziende e agenzie governative che sviluppano o utilizzano l’AI dovrebbero essere responsabili nei confronti del pubblico. Anche la responsabilità è un importante insegnamento buddista e nel contesto dell’etica dell’AI richiede meccanismi legali e politici efficaci, nonché indipendenza giudiziaria. Questi componenti sono essenziali affinché qualsiasi linea guida sull’etica dell’IA funzioni come previsto.

Un altro concetto chiave del Buddismo è la compassione, o il desiderio e l’impegno di eliminare la sofferenza negli altri. Anche la compassione richiede l’auto-coltivazione e significa che atti dannosi come esercitare il proprio potere di reprimere gli altri non hanno posto nell’etica buddista. Non è necessario essere un monaco per praticare l’etica buddista, ma bisogna praticare l’auto-coltivazione e la compassione nella vita quotidiana.

I valori promossi dal buddismo, tra cui responsabilità, giustizia e compassione, sono per lo più gli stessi di quelli di altre tradizioni etiche. La differenza sta nel ruolo centrale dell’auto-coltivazione nel Buddisimo.

Il Buddismo ha molto da offrire a chiunque voglia ragionare sull’utilizzo etico della tecnologia, AI compresa. Lo stesso vale anche per altri sistemi di valori non occidentali. Le linee guida sull’etica dell’IA dovrebbero attingere alla ricca diversità di pensiero delle molte culture del mondo per riflettere una più ampia varietà di tradizioni e idee.

Immagine di: Ms Tech, Unsplash

(lo)

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