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Il Belpaese è terra di odori e sapori, ma non solo, perché l’Italia non e solo cibo, moda e design, ma ma anche tanti momenti di eccellenza, come nel caso del riutilizzo di una grande parte dei materiali che si generano lungo le diverse filiere produttive.

di Eniday Staff

Si chiama bioeconomia e comprende le attività che sfruttano in maniera intelligente le risorse di origine biologica, secondo un’impostazione circolare sempre più avanzata, che permette di non sprecare e incrementare il valore delle attività produttive.

A promuoverci come primi della classe in quest’ambito è il V Rapporto sulla Bioeconomia in Europa della Direzione Studi e Ricerche di Intesa San Paolo per conto di Assobiotec, l’Associazione nazionale per lo sviluppo delle biotecnologie che fa capo a Federchimica e Confindustria.

La bioeconomia è costituita dall’insieme delle attività economiche che utilizzano le risorse biologiche terrestri e marine come input per la produzione di alimenti, manufatti ed energia. Dalle attività agricole (considerate bio-based al 100 per cento) all’industria alimentare e delle bevande (dove la componente biologica resta rilevante); dall’industria per il trattamento della frazione organica dei rifiuti e delle acque reflue ai settori produttivi – compreso tessile e abbigliamento – fino all’industria del legno e della carta, della chimica e della farmaceutica. La bioeconomia ha raggiunto dimensioni significative.

Nel 2017, il totale delle attività ad essa riconducibili hanno generato un output in Italia di circa 328 miliardi di euro, occupando oltre due milioni di persone, vale a dire un decimo circa del totale dell’economia del nostro Paese. Un dato in costante crescita che, già allora, registrava un +1,9 per cento (oltre l’incremento del Pil del 2017). 

Ma non solo. A confronto con gli altri Paesi europei, l’Italia primeggia. In valore assoluto, si colloca al terzo posto, dopo Germania (oltre 400 miliardi) e Francia (quasi 360 miliardi), ma in rapporto relativo su bioeconomia e totale delle economie europee si colloca al primo posto, a pari merito con la Spagna e molto avanti rispetto a Germania e Regno Unito.

Un risultato importante tutto Made in Italy, dovuto soprattutto al particolare impegno speso in questi anni dal nostro Paese in diversi ambiti. In primo luogo, in quello del riciclo dei rifiuti, con il recupero della gestione di quelli urbani attraverso l’avvio al ritrattamento del 67 per cento dei residui (rispetto alla media europea del 55 per cento), seguito dai risultati molto importanti ottenuti anche nel comparto della carta e del legno. 

Nel primo ambito, ormai un terzo della produzione è riferito a pasta originata da fibre riciclate; nel secondo, le imprese del settore hanno conseguito risultati significativi nella riduzione degli scarti di lavorazione, riuscendo a compensare la scarsa produzione nazionale di materia prima.

Il Rapporto sulla Bioeconomia dedica poi un focus particolare ai settori che in precedenza erano considerati marginali. Come è il caso della moda italiana e, in particolare, del comparto del tessile bio-based, un settore che da solo vale quasi 10 miliardi di euro di fatturato. A questo si aggiungono i 7 miliardi nel ramo della concia, gli 11 miliardi dell’abbigliamento bio-based e gli oltre 21 miliardi nel settore calzature e pelletteria.

La bioeconomia sta diventando una realtà sempre più in espansione. Permette non soltanto di ridurre inutili sprechi e di valorizzare le risorse naturali, ma anche di ottimizzare i cicli delle diverse attività produttive, incrementandone il valore. 

Il futuro riserverà nuovi importanti sviluppi, soprattutto nel Mezzogiorno. Secondo il Rapporto, infatti, proprio qui si registrano le maggiori potenzialità: nella filiera agroalimentare e della chimica verde, con la moltiplicazione di nuove iniziative, il recupero degli impianti di raffinazione in Sicilia e in Sardegna e la presenza dei centri di sviluppo biotecnologici in Campania, Puglia e Basilicata.