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Quattro colossi tecnologici, Amazon, Apple, Google e Facebook, sono l’obiettivo di una nuova inchiesta da parte del governo degli Stati Uniti: la Federal Trade Commission, il Dipartimento di giustizia e il Congresso intendono verificare se queste aziende abbiano un eccessivo potere.

di Angela Chen

Perché Facebook, Amazon, Apple e Google sono accusate di comportamenti monopolistici?

Amazon è il negozio online più grande del mondo. Vende hardware come l’Echo, gestisce una piattaforma informatica, realizza programmi televisivi e cinematografici con Amazon Studios, possiede Whole Foods e Zappos. Si dice che Amazon uccide le aziende copiando le loro idee.
Apple naviga intorno al valore di mercato di 1 trilione di dollari. Attualmente è citata in una class action che la accusa di fare indebitamente crescere i prezzi nel suo Apple Store.

In quanto motore di ricerca di gran lunga più popolare, Google controlla i flussi delle informazioni. Possiede anche attività di navigazione (Maps, Waze), video (YouTube), sistemi operativi mobili (Android) e altro. Il problema è che Google concede un trattamento speciale alle proprie aziende.

Facebook ha oltre 2 miliardi di utenti e possiede Instagram e WhatsApp. È stata accusata di violare la privacy degli utenti, diffondere disinformazione e incitare al genocidio.

Tutto ciò porta a enormi conflitti di interesse, afferma Sally Hubbard, responsabile delle strategie operative presso l’Open Markets Institute. Google può promuovere i propri prodotti nei risultati di ricerca e Amazon può fare la stessa cosa sul mercato. Apple prende una commissione del 30 per cento dagli sviluppatori di app e può impedire loro di vendere altrove.

Giuristi e attivisti affermano da anni che le società tecnologiche hanno troppo potere. Ora politici come la senatrice e candidata democratica alla presidenza Elizabeth Warren insieme al senatore repubblicano Josh Hawley stanno portando avanti una istanza di cambiamento.

In che modo la Big Tech è diventata così potente? Aziende come Google e Amazon raccolgono una enorme quantità di dati, che usano per migliorare i servizi, ma anche per continuare a crescere, punendo i concorrenti. 

Anche l’effetto rete gioca un ruolo importante. Se tutti usano già Facebook, l’adesione a una nuova rete sembra inutile. Poiché le aziende di Big Tech offrono molti servizi gratuitamente, gli utenti sono soddisfatti che continuino a crescere.

Secondo questo punto di vista, Google è un motore di ricerca e YouTube è una piattaforma video. Le aziende non competono direttamente, quindi un’acquisizione non dovrebbe essere un problema. Tuttavia, «bisogna considerare che le ipotesi di fusione si basano sulla possibilità di accedere a una quantità sempre maggiore di dati e sono questi dati ad aiutare l’azienda nell’ottenere o nel mantenere il suo dominio», afferma Maurice Stucke, esperto di antitrust presso l’Università del Tennessee a Knoxville e coautore di Big Data and Competition Policy.

Tutto ciò sta cambiando. Ora, alcuni studiosi ritengono che si debbano chiedere informazioni sulle “componenti non di prezzo della concorrenza”, come la privacy, anche se queste componenti sono più difficili da misurare del prezzo. E che si debba valutare non solo se due società competano fra loro, ma se l’acquisto dell’una o dell’altra alteri il mercato nel suo complesso.

Questo problema è già stato affrontato in Europa. L’Unione europea ha chiamato in causa Google, in merito alla sua rete pubblicitaria, alle ricerche per gli acquisti e al vincolo per cui i telefoni Android devono venire caricati con altre app Google. Le autorità tedesche hanno recentemente stabilito che Facebook non possa tracciare automaticamente i propri utenti su altri siti Web o unire i dati sensibili di WhatsApp e Instagram con quelli di Facebook, ma debba offrire una scelta.

Le autorità di regolamentazione europee hanno multato Google per 9 miliardi di dollari negli ultimi tre anni, ma le multe non hanno cambiato nulla. Secondo Gary Reback, un avvocato dello Studio Carr & Ferrell, «non c’è multa che possa fare la differenza nei loro comportamenti». È improbabile che le autorità europee di regolazione siano in grado di costringere le società americane a interrompere la loro attività, aggiunge Reback. Ma la documentazione raccolta nelle loro indagini potrebbe accelerare quelle negli Stati Uniti.

I discorsi di solito si concentrano su Facebook, Amazon e Google. Nella sua proposta, Elizabeth Warren sostiene che Facebook dovrebbe separare Instagram e WhatsApp, Amazon dovrebbe cedere Whole Foods e Zappos, Google dovrebbe rinunciare a Waze, a Nest, la sua società per la casa intelligente, e a DoubleClick, la sua società pubblicitaria.

Il piano della Warren costringerebbe essenzialmente queste aziende tecnologiche a gestire esclusivamente una piattaforma, senza però poterla uusare. Ciò significa che Amazon non potrebbe al tempo stesso gestire il suo mercato online e commercializzare Amazon. Google, da parte sua, dovrebbe alienare la sua attività pubblicitaria.

Suddividere Apple, Amazon, Google e Facebook costituisce l’unica strada da percorrere? Alcuni esperti sostengono che la suddivisione sarebbe eccessiva e renderebbe peggiori i nostri strumenti tecnologici: per esempio, la ricerca risulterebbe meno funzionale. 

Altri pensano che i problemi potrebbero essere affrontati rendendo più facile prendere i dati da una piattaforma e usarli su un’altra (la “portabilità dei dati”), o costringendo diversi servizi a lavorare l’uno con l’altro (la “interoperabilità dei dati”), in modo che non si debbano bloccare gli utenti. Facebook e un altro social network potrebbero comunicare allo stesso modo in cui le persone con account Yahoo e Gmail si possono inviare messaggi di posta elettronica a vicenda.

Un’altra tattica sarebbe quella di accentuare le regole di non discriminazione in modo che Google e Amazon non possano riservarsi un trattamento speciale, nel raccomandare i propri prodotti sul proprio sito Web o nel dare la priorità ai propri contenuti.

Una terza proposta viene dall’esperto di Internet Viktor Mayer-Schönberger, secondo il quale il problema fondamentale è che queste aziende gestiscono troppi dati. La soluzione potrebbe essere quella di costringerle a condividere i dati con concorrenti più piccoli.

Anche se le autorità di regolamentazione hanno costretto le aziende ad alienare alcune aree di attività, ciò potrebbe non risolvere alcuni problemi chiave. Nel caso di Facebook, per esempio, il suo modello di business richiede di tenere le persone sul sito e raccogliere dati per annunci mirati, creando la condizione per tracciare i suoi utenti e diffondere disinformazione. Questa situazione non si risolverebbe portando via Instagram.

Non ci sono risposte facili. Capire il modo migliore per regolare le società tecnologiche coinvolgerà molte diverse normative: proprietà, privacy, protezione dei consumatori, proprietà intellettuale e altro ancora. Bisogna fare attenzione a chiunque offra ricette troppo semplici.