Analogico o digitale? Ecco come il cervello conserva le informazioni raccolte

Nuovi indizi sembrano suggerire che il cervello utilizzi un formato digitale.

di Arxiv

Gli ingegneri sanno che la raccolta dati digitale ha chiari vantaggi sull’analogico, in particolare per quanto riguarda la capacità di resistere nel tempo. Laddove brani musicali conservati in formato digitale possono essere riprodotti un numero illimitato di volte, sotto una determinata soglia d di rumore, i suoni conservati su cassette o LP, perdono qualità ad ogni utilizzo.

La sequenza di nucleotidi del DNA è una raccolta dati in formato digitale che permette alla mappa della vita di essere trasmessa da una generazione all’altra in Hi-Fi. Da tempo, i Neuroscienziati si domandano in che formato il cervello immagazzini le proprie raccolte dati.

James Tee e Desmond Taylor della University of Canterbury, in Nuova Zelanda, hanno misurato come gli individui prendano determinate decisioni ed analizzato i dati raccolti da un punto di vista statistico. La conclusione della loro analisi porta a concludere che il cervello debba immagazzinare dati in formato analogico, un’informazione importante sia per le neuroscienze che per coloro che studiano dispositivi da connettere al cervello.

Uno dei motivi alla base del dubbio tra i neuro scienziati è l’evidente natura analogica dei segnali neuronali. I neuroni generano impulsi elettrici analogici di potenza variabile tra -40mV e -70mV a livello della membrana cellulare. Ciò però non comporta necessariamente che anche la trasmissione sia analogica. Qualunque segnale elettromagnetico è analogico ad un certo momento, in quanto i circuiti impiegano del tempo per passare da un sistema all’altro. Ciononostante, le informazioni veicolate da questi segnali possono essere trattate come digitali se si ignorano i momenti di transizione. Ecco perché le informazioni trasmesse lungo i neuroni possono essere di natura discreta.

Nel 1948, Claude Shannon, ingegnere e matematico, pubblicò A Mathematical Theory of Communication, in cui dimostrava come il formato discreto permettesse una riproduzione delle informazioni quasi perfetta, fintanto che il rumore si fosse mantenuto sotto una determinata soglia. Non esiste paragone per il segnale analogico, nemmeno una frammentazione del segnale in componenti ancora più piccole permette altrettanta fedeltà. Secondo Tee e Taylor, il cervello non sarebbe nemmeno in grado di funzionare in tal modo. Un processo d’elaborazione di dati analogici, infatti, produrrebbe differenze misurabili nel comportamento di individui posti di fronte a determinate scelte.

Tee e Taylor hanno rivolto la propria attenzione a problemi che richiedono all’individuo una valutazione delle probabilità. Un cervello capace di valutare probabilità in forma ininterrotta, infatti, produrrebbe dei cambiamenti nel comportamento umano fluidi, al variare delle probabilità.
Al contrario, un cervello che opera in formato discreto, finisce per trattare alcune probabilità alla stessa maniera. Tee e Taylor hanno studiato come gli esseri umani prendano decisioni dal punto di vista delle variazioni di probabilità, testando in quale modo un gruppo di più di 80 persone, osservate in più di 2000 test sperimentali giudicava e calcolava le probabilità associate ad un tavolo di roulette.

Ciascuno esperimento è stato condotto con un approccio simile. I partecipanti, per esempio, potevano essere posti di fronte ad una roulette affiancata dalla mappatura di un certo settore ed invitati a valutare la probabilità che la palla cadesse in quel settore, per poi passare a due roulette con differenti settori mappati, ed essere infine invitati a valutare se le probabilità fossero maggiori per la ruota singola o le due ruote. Nel corso dei 2000 test, i ricercatori hanno variato le dimensioni dei settori per coprire il numero maggiore di probabilità possibile. I test sono stati condotti in ordine casuale su di un touch screen ed i partecipanti potevano vincere un bonus in base alla loro performance.

Secondo Tee e Taylor, i risultati suggeriscono che gli individui testati immagazzinano dati in formato digitale. Sarebbe importante capire quanto il cervello divida le probabilità in categorie: tre, quattro, di più? Quanto cambia, secondo il compito, questa categorizzazione? Secondo Tee e Taylor i dati supporterebbero una quantizzazione in 4-bit. “Siamo convinti che la ricerca possa spostare ora l’attenizone dal soppesare discreto o analogico e cominciare a domandarsi quanto raffinata sia questa raccolta dati digitale (in quanti bit),” spiegano Tee e Taylor. E’ facile supporre che differenti parti del cervello possano operare a livelli diversi di digitalizzazione secondo variazioni nei livelli di quantizzazione.”

Gli ingegneri possono confermarlo con esempi pratici: le immagini, infatti, sono codificate in 24-bit mentre la musica su sistemi a 16-bit, in corrispondenza proprio con la nostra massima risoluzione visiva ed auditiva. Questo studio avrà ripercussioni anche sulle tante ricerche che mirano a creare dispositivi capaci di connettere cervello e computer.

Per approfondire: Is Information in the Brain Represented in Continuous or Discrete Form?

(lo)

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