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I ricercatori stanno cercando di riprogettare geneticamente le retine per ripristinare la vista.

di Antonio Regalado

L’uomo di 58 anni era cieco, a malapena in grado di percepire se fosse giorno o notte. Dopo esser stato sottoposto a terapia genica per aggiungere molecole sensibili alla luce a una delle sue retine, ha potuto individuare un taccuino su un tavolo. Alcuni scienziati in Europa e negli Stati Uniti riferiscono oggi quello che descrivono come il primo uso riuscito dell’optogenetica per migliorare la capacità di vedere di una persona. Il tutto grazie all’introduzione di un gene dalle alghe nella retina umana.  

“Penso che siamo davanti a un nuovo campo di studi”, ha detto Botond Roska, il professore dell’Università di Basilea responsabile della ricerca, durante una teleconferenza con i giornalisti. Su “Nature Medicine”, gli autori descrivono come il loro paziente abbia perso la vista dopo una diagnosi, risalente a 40 anni prima, di retinite pigmentosa, una malattia degenerativa che distrugge i fotorecettori, le cellule sensibili alla luce nella retina.

I medici hanno utilizzato la terapia genica per aggiungere una molecola sensibile alla luce a uno degli occhi dell’uomo. Il gene che hanno aggiunto, chiamato chrimson, proviene da una specie di alghe unicellulari in grado di percepire la luce solare e spostarsi verso di essa. L’idea dietro all’aggiunta del gene, dice Roska, è quella di ingegnerizzare le cellule della retina chiamate gangliari in modo che siano in grado di rispondere alla luce, inviando segnali visivi al cervello.

La ricerca, finanziata dall’azienda francese GenSight Biologics, richiede ai pazienti di indossare una serie di occhiali elettronici che catturano i contrasti di luce nell’ambiente e quindi proiettano un’immagine ad alta intensità sulla retina, utilizzando la lunghezza d’onda specifica della luce giallo-arancione che innesca la molecola chrimson.

Secondo José-Alain Sahel, un ricercatore dell’Università di Pittsburgh che ha coordinato l’esperimento ed è cofondatore di GenSight, la persona non vedente all’inizio non ha notato alcun effetto, ma gradualmente ha iniziato a riferire di aver visto forme mentre indossava gli occhiali. Sahel descrive il paziente come “il primo in assoluto a beneficiare dell’optogenetica”.

Con l’addestramento, l’uomo è stato in grado di percepire se un taccuino era stato posizionato su un tavolo di fronte a lui. Poteva anche contare le tazze di colore scuro poste davanti a lui, anche se non sempre con precisione.

L’optogenetica è ampiamente utilizzata negli esperimenti di neuroscienza sugli animali, durante i quali le molecole sensibili alla luce vengono aggiunte alle cellule cerebrali. Quindi, utilizzando impulsi di luce forniti tramite cavi in fibra ottica, i ricercatori possono provocare l’attivazione di nervi specifici, in alcuni casi per indurre comportamenti specifici.

I tentativi di adattare la tecnica come cura della cecità sono iniziati nel 2016, quando una donna del Texas è diventata la prima persona con cui è stata adottata la tecnica optogenetica da parte di una piccola azienda, RetroSense, che è stata successivamente acquisita da Allergan.

I risultati di quello studio non sono mai stati riportati pubblicamente, anche se i funzionari di Allergan in seguito hanno affermato che alcuni pazienti hanno affermato di vedere la luce, alla stregua della percezione della luminosità di una finestra in una stanza buia.

Vedere Bio, una startup di Cambridge, in Massachusetts, porta avanti a sua volta terapie optogenetiche. Secondo Roska e Sahel, diversi pazienti sono stati ora presi in carico nella sperimentazione clinica sponsorizzata da GenSight, ma solo l’uomo il cui caso viene descritto oggi ha usato gli occhiali. Il livello di visione ripristinato nel paziente rimane estremamente limitato. Ciò che vede attraverso gli occhiali è monocromatico e la risoluzione non è abbastanza alta per leggere o anche per distinguere un oggetto da un altro.

Immagine di: Ms Tech / Getty

(rp)