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    Una via italiana alle smart cities

    Scegliere la strada delle “smart cities” rappresenta per le città italiane e per il Paese l’opportunità di ripensarsi e rigenerarsi come sistema complessivo.

    di Graziano Delrio

    Presidente ANCI (Associazione dei Comuni Italiani)

    Scegliere la strada delle “smart cities” su cui ci orienta Europa 2020 e su cui il Governo e Anci, l’associazione dei Comuni, stanno lavorando nella stessa cabina di regia rappresenta per le città italiane e per il Paese l’opportunità di ripensarsi e rigenerarsi come sistema complessivo.

    L’Italia del municipalismo, dove solo 15 città su ottomila comuni superano i 200mila abitanti,in un un ambiente aperto al mondo , ‘glocal’, fatto di qualità di vita e forti legami con il territorio, delle identità culturali e storiche molteplici, che è sulla carta il migliore dei contesti, il migliore degli hardware possibili in cui calare il software dell’innovazione tecnologica e dell’intelligenza digitale.

    Una via obbligata, dunque, per cui identificare la via italiana alle’smart cities’0, le città intelligenti e attrattive.

    Questa stessa molteplicità rappresenta, come ben sappiamo, anche la complessità italiana e per questo la sfida è ancora più alta e intrigante.

    Oggi succedono già molte cose in Italia e non mancano ottimi esempi: a Genova è stata costituita un’associazione Genova Smart City con 60 soggetti che sta integrando vari strumenti di pianificazione in chiave smart, a Torino la Fondazione specifica ha una piattaforma progettuale che ha messo in fila progetti su patrimonio edilizio, mobilità, energia, Bari ha predisposto con un ampio partenariato 78 azioni. Poi ci sono tante azioni sparse che fanno fare passi avanti alle nostre città, nell”opendata’, nel ‘wifi’, nel traffico intelligente.

    Nello stesso tempo si verificano anche dispersioni di energie e mancanza di coordinamento, mentre i sindaci cominciano ad essere investiti dalle proposte più varie e diverse, a pochi chilometri di distanza e con una visione a dir poco limitata capace di portarci ad avere aule scolastiche multimediali ma senza banda larga, eccellenze a macchia di leopardo che non dialogano tra loro, sistemi che viaggiano su binari diversi.

    Nella pur giusta competizione tra aree territoriali e città occorre tuttavia che le buone pratiche si compongano in un disegno complessivo e strategico, per evitare che la via italiana si trasformi in una via “all’italiana” e per far sì che, forte delle sue cento città, cento “piccole patrie”, l’Italia intera si ponga in modo competitivo in Europa e nel mondo.

    La madre di tutte le innovazione nel nostro Paese è indubbiamente nella capacità di governo strategico dei processi. Serve un approccio che guardi lontano e che attraversi le politiche, in una ‘governance’ in cui il pubblico, ai vari livelli istituzionali, sappia fare la regìa e scegliere l’indirizzo per creare le condizioni delle città intelligenti, governare i processi autorizzativi e le selezioni, controllare severamente le esecuzioni, ma sia poi il player privato, in un partenariato con il sistema pubblico, a mettere in gioco la propria competenza e capacità imprenditoriale a beneficio di una vita più facile, intelligente, inclusiva, sostenibile delle nostre comunità comunità.

    Bene dunque la cabina di regìa della amministrazione pubblica sull’Agenda Digitale Italiana, alla quale i Comuni possono dare un contributo importante.

    Infatti, per mantenere una visione come dicevamo generale e strategica, Anci ha dato vita a un proprio osservatorio sulle esperienze in corso nelle grandi città, nei comuni medi e nei contesti di area vasta, è in relazione con il Miur per l’avviso ‘Smart Cities Communities’ e sta lavorando alla definizione di accordi quadro con le principali istituzioni e player sul mercato.

    Passando alle cose da fare, la condizione fondamentale per le smart cities è ovviamente la disponibilità di una rete in banda larga ad alta capacità trasmissiva. E’ questa l’infrastruttura su cui viaggeranno le innovazioni che il Paese deve assicurare e i Comuni hanno in mano le chiavi perché le reti permeino il territorio.

    Per nulla secondario è il tema delle risorse. L’attuale fase di contrazione obbliga a un utilizzo integrato e intelligente delle tecnologie. Il patto di stabilità interno, che speriamo possa arrivare a una diversa modulazione, frena investimenti utili. A oggi le città hanno fatto ricorso a fonti di finanziamento “tradizionale”, bilanci, bandi europei e nazionali, risorse regionali finora relativamente incisive. E’ necessario quindi che aumentino le programmazioni comunitarie di risorse esplicitamente dedicate alle innovazioni in ambito urbano, con il coinvolgimento degli enti locali, ma più importante debbono diventare i modelli di partenaraiato, ‘procurement ‘innovativo e di project financing.

    Gli ambiti di applicazione dell’intelligenza devono, dal nostro punto di vista, essere in grado di differenza nella qualità di vita dei cittadini.

    Attraversare quindi tutte le dimensioni a cui guardano gli obiettivi di Europa 2020: la sostenibilità ambientale, dell’innovazione digitale e della inclusione sociale.

    Quello che ci interessa è che per gli anziani la vita sia più facile anche se non hanno lo ‘smartphone’, che per i bambini in bicicletta le strade siano più sicure, che insegnanti e studenti a scuola trovino un ambiente sereno, che le donne, su cui continua a pesare troppo il carico del welfare italiano, possano sentirsi sostenute, che l’aria sia più pulita e ne benefici la salute di tutti e così via.

    Non saranno i Comuni a trovare le soluzioni, ma la ricerca, l’Università, il sistema delle imprese, il trasferimento tecnologico. Possiamo ambire a città italiane che siano “smart” in un modo unico al mondo. Le città insisteranno perché il futuro intelligente, sia anche un futuro del prendersi cura, dell’educazione, della convivenza.

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