Intervista con Roberto Vittori
di Silvia Andreoli
A guardarlo da qui, il cielo, suggerisce infinite associazioni e pensieri, distici e fantasie. Ma sarebbe limitativo, o quantomeno antistorico, fermarsi a questo. Perché grazie ai numerosi satelliti che orbitano e trasmettono e ci fanno comunicare, sulla nostra testa si apre una sorta di appendice del mondo terrestre. E non è più fantascienza, è scienza, e di grandissimo livello. Però l’importanza della volta celeste non si ferma a questo. Infatti, lo spazio sta diventando, in maniera sempre più credibile, un luogo dove reperire le risorse che il nostro pianeta non possiede più, che abbiamo consumato e anche sprecato, senza pensare che sarebbero, un giorno, finite. Come spiega Roberto Vittori, colonnello dell’aeronautica e astronauta italiano. Vittori, nato a Viterbo nel 1964, con un curriculum d’eccezione ” dopo l’Accademia Aeronautica Italiana e il brevetto di pilota militare negli Stati Uniti, la scuola nazionale dei piloti della Marina americana del Maryland, il Reparto Sperimentale di Volo di Pratica di Mare e il Johnson Space Center a Houston ” nel 2002, ha partecipato a un volo taxi dell’ISS (Stazione Spaziale Internazionale), volo che ha ripetuto tre anni dopo, pilotando la navetta Sojuz (TMA-6). E ci dice a che punto stiamo.
Per secoli ci siamo abituati a pensare lo spazio come un luogo distante e inaccessibile. Oggi, invece, il cielo è pieno di oggetti che l’uomo ha inviato per conoscerlo e ricavarne vantaggi. Come è stato possibile e quali settori sono più coinvolti in questo processo?
Certamente oggi pensiamo allo spazio come opportunità. E gli argomenti sono molteplici. Se si parla di servizi, ci si concentra, principalmente, su tre tematiche: le telecomunicazioni, l’osservazione della terra, la navigazione. Per fare un esempio concreto, che ormai tocca ciascuno di noi, nella famiglia delle telecomunicazioni, rientrano tutte le connessioni internet, quelle televisive e telefoniche tramite satelliti. Satelliti che anche la procedura dei traffici aerei ormai sceglie di usare in via quasi esclusiva. Un ulteriore filone di estremo interesse, anch’esso agganciato alle tecnologie spaziali, è la telemedicina, che sta dando risultati sorprendenti.
Sono insomma tantissime le applicazioni commerciali, industriali, per la sicurezza, la difesa, la protezione civile, che si appoggiano ai satelliti e hanno migliorato la qualità della vita di tutti noi. Ma non è una cosa che sia accaduta dall’oggi al domani. Si è trattato, invece, di un processo, di una autentica rivoluzione silenziosa.
Di solito risulta difficile, durante il percorso che porta da una tecnologia all’altra, avere una chiara percezione di quale sia e quale sarà il punto di arrivo. Però oggi lo spazio è molto vicino. I satelliti che orbitano sulle nostre teste ci danno la possibilità di lavorare con una dimensione aggiuntiva, e questo semplifica, velocizza, amplia, una serie di potenzialità incredibili. E, tuttavia, noi stiamo appena vedendo la superficie di un iceberg gigantesco che sconvolgerà tutto il modo in cui lavoriamo, ci spostiamo, comunichiamo.
Nell’immediato futuro, quali sono le evoluzioni da attendersi?
Auspico che la tecnologia vada verso una reimpostazione di quello che è il concetto attuale di satellite. Oggi disponiamo di una serie di satelliti specializzati nei vari settori menzionati, tutti concepiti e costruiti in maniera classica, ossia sono oggetti massicci, pesanti.
Il microsatellite, il nanosatellite, invece, offre una possibile alternativa, perché permette anche di rivedere la strategia dei lanciatori, ossia come mettere in orbita il satellite che poi viene utilizzato per i vari servizi. Il futuro potrebbe lasciare la possibilità a una gestione più diretta, immediata, semplice, anche partendo dalla semplice riduzione del peso e delle dimensioni. Su questo punto, siamo ancora in fase di progetto, di sperimentazione di prototipi, capaci di sfruttare la miniaturizzazione della tecnologia.
Dello spazio si parla anche come di una possibile risorsa attiva per la terra, come luogo dove reperire quanto abbiamo consumato. È davvero un’ipotesi percorribile?
Esiste un importante filone di opportunità di applicazioni delle tecnologie spaziali, che riguarda proprio la possibilità che sia lo spazio a fornire una risposta agli inquietanti problemi energetici e di inquinamento, che fronteggiamo con l’uso indiscriminato del combustibile fossile. In realtà, dovremmo convincerci che il combustibile fossile, più che un bene, è un male. È un’evidenza sotto gli occhi di tutti: il suo utilizzo turba in maniera significativa e rapida l’ecosistema terrestre.
L’alternativa esiste, e se ne sta parlando di più, dall’energia solare, all’idrogeno, all’energia nucleare, fusione, fissione. In questo scenario, lo spazio potrebbe avere un ruolo fondamentale. Faccio un esempio teorico che rende bene l’idea: supponiamo che oggi fossimo in grado di riconvertire tutta la flotta di automobili a benzina in macchine a idrogeno. L’idrogeno, sulla terra, non si trova in forma pura, deve essere estratto dall’acqua. Se, però, si studiasse la maniera di estrarre l’idrogeno nello spazio e lo si portasse sul nostro pianeta, questo ostacolo si risolverebbe e cancellerebbe, al tempo stesso, il problema dell’inquinamento nel suo complesso, in quanto queste ipotetiche macchine a idrogeno funzionerebbero dando, come prodotto di scarico, acqua.
L’elio 3, che abbiamo scoperto essere presente sul suolo lunare, potrebbe diventare il combustibile per reattori a fusione. Un combustibile pulito nel senso che non lascerebbe nessuna scoria radioattiva. Però qui non stiamo parlando di uno sviluppo concreto per domani. Analizziamo, invece, una prospettiva futura, con una serie di ostacoli e problemi da superare.
Ci stiamo lavorando?
Attualmente è in corso un importante progetto che si chiama ITER, in Europa, che potrebbe dare una svolta cruciale verso la conquista di questa incredibile capacità che è la fusione. Con ITER si vuole, di fatto, riprodurre un piccolo sole sulla terra.
Siamo lontani dall’arrivarci, ma questo non deve costituire un problema. Non dobbiamo pretendere di trovare subito una soluzione. Invece abbiamo l’obbligo di impostare la questione.
I dati parlano chiaro: il combustibile fossile è previsto arrivi a metà intorno al 2025, per un ipotetico esaurimento intorno al 2050. Oggi, i ragazzi che frequentano i banchi di scuola, liceo scientifico e università, saranno coloro che tra venti anni avranno la maturità per dover affrontare il problema della transizione dal combustibile fossile all’energia alternativa. Non è allora affatto prematuro dibattere di questo tipo di argomentazioni. Anzi, secondo me, siamo molto in ritardo.
Tuttavia, i progetti in questo senso, non mancano e sono serissimi. L’Agenzia Spaziale Italiana (ASI), nata nel 1988, ha svolto un ruolo costante e straordinario di diffusione dell’importanza strategica di spazio. Giovanni Fabrizio Bignami, che la presiede, ha chiaramente espresso la volontà di rilanciare il ruolo dell’Italia sia in un contesto europeo, sia in un contesto internazionale, come promotore e traino di iniziative volte a sfruttare al meglio il discorso spazio nel settore dei servizi, ma anche in quello della ricerca scientifica, e degli ambiti collegati: sicurezza, difesa e protezione civile. Anche l’Europa, con l’Agenzia Spaziale Europea (ESA), ha un’altrettanto forte determinazione a continuare a costituire l’elemento catalizzatore per gli Stati membri al fine di perseguire progetti importanti, anche d’esempio a livello internazionale. Ed è una finalità tanto più necessaria ora che lo spazio rappresenta un luogo di convergenza di interessi trasversali. Per questo è necessario che l’ASI e l’ESA vengano affiancate da tutte le altre realtà che possono trarre beneficio, ma anche dare un contributo di idee a quello che sarà, e che è, di fatto, uno dei settori più strategici del futuro, lo spazio appunto. Lo spazio, oggi, è la nostra nuova dimensione.
Quali passi stiamo progressivamente compiendo per arrivare a fare dello spazio una vera e propria stazione di rifornimento per il nostro pianeta?
Tanto a livello italiano che europeo fervono le iniziative. Se attualmente, l’ESA sta, per esempio, perseguendo un programma ambizioso, Aurora, che ha come meta ultima una missione umana su Marte, l’ASI ha finanziato una serie di programmi relativi a iniziative e sviluppo di prototipi di tecnologie robotiche per lo sfruttamento e lo studio sulla superficie lunare.
Ma questo 2007 segna una data davvero storica. Stiamo, infatti, ultimando uno sforzo ciclopico, iniziato nel 1998, che è la Stazione Spaziale Internazionale (ISS). L’ISS sostanzialmente offrirà un laboratorio orbitante mai realizzato prima, un passo concreto verso l’accesso e le operazioni autonome nello spazio. In altre parole, l’ISS sancirà la possibilità reale di abitare permanentemente nello spazio. ISS a fine anno ospiterà a bordo Columbus che è il nostro contributo europeo al progetto. Poco prima, verrà lanciato un vettore spaziale chiamato ATV, che è una sorta di camion spaziale per portare viveri e rifornimenti alla piattaforma. Sia Columbus sia ATV sono europei e rappresentano, dunque, il prodotto della nostra industria.
Qual è stato il contributo privato, delle grandi industrie, alle ricerche spaziali per migliorare la nostra vita?
Quello del contributo privato è un argomento complesso e delicato. È chiaro che la grande industria costituisce un valore per una nazione. Significa impegno, posti di lavoro. Però c’è anche un’altra faccia della medaglia: nel momento in cui un’industria raggiunge la maturità, necessariamente mantiene anche una struttura più determinata, come logistica, come personale, insomma comporta una maggiore impostazione. Lo spazio, le questioni che lo riguardano, invece, sono duttili, in continua trasformazione. Se, dunque, certamente la grande industria continuerà a mantenere una posizione importante, personalmente ritengo che la piccola e media industria giocherà un ruolo ancora più rilevante. E questo perchè hanno una flessibilità e una riconfigurabilità che garantiscono la capacità di passare dall’idea alla realizzazione pratica, senza ostacoli. Ossia possiedono la caratteristica fondamentale per un mercato che è tutto da inventare.