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    Una occasione per cambiare

    Il prof. Negrotti, docente di Metodologia della Scienze Umane e direttore del Laboratorio per la Cultura dell’Artificiale presso la Università di Urbino “Carlo Bo”, interviene nel dibattito aperto da Alessandro Ovi sulle conseguenze della Brexit per la ricerca europea.

    di Massimo Negrotti

    Sicuramente l’uscita della Gran Bretagna dall’UE produrrà problemi notevoli d’ordine organizzativo e finanziario per le università inglesi e, parallelamente, per quelle europee, quanto meno per quelle fortemente impegnate in progetti comuni di ricerca o didattici. E’ però poco probabile che si crei una situazione di stallo o, peggio ancora, di arretramento della produzione di conoscenze da parte dei gruppi di scienziati e studiosi attualmente coinvolti in attività di indagine internazionale.

    Il distacco dall’Europa implicherà per la Gran Bretagna una più intensa collaborazione con gli USA e ciò si rifletterà anche sulla ricerca europea che dovrà rivedere le proprie relazioni. Ma tutto questo, alla fine, non modificherà le linee attuali di indagine e la loro portata salvo che per progetti nei quali le grandi aziende private inglesi e americane vedano importanti opportunità di investimento.

    Il loro possibile intervento finanziario è per ora imprevedibile ma, se avverrà, avrà come conseguenza una nuova mappatura degli obiettivi e una riconfigurazione delle reti di ricercatori.

    I Paesi europei, d’altra parte, come si evince anche dal parere del prof. Veronesi, potrebbero vivere una nuova stagione di produttività grazie al compattamento intra-europeo che la nuova situazione impone.

    C’è infine da sottolineare la diversa circostanza nella quale si trovano da un lato le scienze naturali e le discipline tecnologiche e, dall’altro, le discipline umanistiche e sociali.

    Per le prime la necessità di risorse fisiche, in fatto di attrezzature e di laboratori, è decisamente elevata e, dunque, eventuali strozzature organizzative e finanziarie potrebbero creare, nel breve periodo, qualche problema rilevante. 

    Per le seconde, invece, l’internalizzazione è e rimane solidamente efficiente non solo per la loro natura svincolata da aspetti strumentali ma, oggi, anche dalla possibilità, attraverso Internet, di sviluppare rapporti, meeting e persino veri propri avanzamenti di studi senza esigere spostamenti fisici né processi burocratici di alcun tipo.

    Tirando le somme, credo che Brexit si dimostrerà, sul piano della ricerca così come su altri piani, un fenomenale stimolo per nuovi modelli di politica della scienza, ora non immaginabili ma forse già in incubazione da prima senza però che potessero manifestarsi, non solo per la loro intempestività ma anche perché incoerenti con i lacci e i laccioli di un’Europa che stenta tuttora a mettere a profitto la sua immensa potenzialità.

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