Un rivelatore di singoli fotoni in orbita

Il satellite cinese per la comunicazione quantica Micius ha condotto ad una serie impressionante di scoperte grazie a potenti rivelatori di fotoni capaci di destreggiarsi tra il rumore di fondo.

di Emerging Technology from the arXiv

Uno degli utilizzi emergenti per i singoli fotoni è riempirli di informazioni quantistiche da inviare altrove. Questa tecnica, nota come comunicazione quantistica, sfrutta le leggi della fisica per assicurarsi che le informazioni non possano essere lette da nessun intercettatore. 

Una delle difficoltà è trovare il modo di inviare queste informazioni quantistiche ovunque nel mondo. Si tratta, infatti, di informazioni fragili: qualsiasi interazione tra i fotoni e il loro ambiente le distrugge. I fotoni non possono percorrere più di un centinaio di chilometri attraverso l’atmosfera o lungo fibre ottiche senza perdere le informazioni quantistiche che trasportano. 

Alcuni fisici cinesi hanno trovato una soluzione: irradiare i fotoni verso un satellite in orbita, che li inoltrerà poi a destinazione sulla superficie terrestre, limitando così il passaggio attraverso l’atmosfera terrestre. 

Rimane un problema: le comunicazioni quantistiche richiedono rivelatori in grado di individuare e misurare singoli fotoni. A questo scopo, negli ultimi anni i fisici hanno studiato come costruire dispositivi sempre più sensibili che possano riuscire nel compito, ma la loro stessa sensibilità li rende vulnerabili a qualsiasi tipo di rumore di fondo, capace di sopraffare il segnale dai fotoni stessi. Lo spazio è pieno di rumori indesiderati, provocati da particelle ad alta energia, temperature estreme e luce estranea come quella del sole. 

Ora, Meng Yang e colleghi dell’Università della Scienza e della Tecnologia di Hefei, in Cina, sembrano aver risolto il problema costruendo un rilevatore a singolo fotone capace di operare nello spazio. Negli ultimi due anni, i ricercatori hanno persino testato la loro macchina su di un satellite in orbita e affermano che funziona. 

Questo rilevatore cinese sfrutta un fenomeno noto come effetto valanga, osservato nei chip dei semiconduttori in circostanze speciali. Un semiconduttore come il silicio conduce corrente elettrica sotto forma di elettroni liberi che possono muoversi attraverso il reticolo di un materiale sotto l’influenza di un campo elettrico. 

In circostanze normali, questi portatori di carica sono legati al reticolo e quindi non possono muoversi. Il materiale agisce quindi da isolante. Nel caso, però, in cui un elettrone venga liberato, che sia a causa di fluttuazioni termiche o per via di uno scontro con un fotone, può viaggiare attraverso la struttura, creando una corrente. In queste circostanze, il materiale diviene un conduttore. 

Un singolo elettrone così liberato crea, ovviamente, una corrente minima, difficile da rilevare. L’effetto valanga permette di impostare una tensione che accelera rapidamente un elettrone libero per provocare il rilascio di altri elettroni, in una reazione a catena che si traduce in una corrente più facilmente rilevabile. I più recenti dispositivi creati dai fisici hanno reso sono così sensibili da poter scatenare un effetto valanga a partire da un singolo fotone di una specifica lunghezza d’onda. Il risultato è un rivelatore di singolo fotone in grado di individuare la maggior parte dei fotoni che lo colpiscono. 

Un tale livello di sensibilità ha un prezzo. Una particella ad alta energia può facilmente lacerare un fotodiodo di silicio, rilasciando così elettrodi a valanga. Nello spazio, questo tipo di effetto crea tanto rumore di fondo, chiamato dark count rate, da oscurare il segnale dei fotoni che i fisici intendono misurare. 

La prima correzione apportata da Yang e colleghi è stata semplice: hanno protetto il rivelatore con schermature capaci di bloccare le particelle ad alta energia. Si è trattata di un’operazione delicata, in quanto la schermatura è pesante e quindi costosa da lanciare in orbita. Per di più, l’interazione tra la schermatura e le particelle ad alta energia può creare ricadute di particelle secondarie capaci di peggiorare ulteriormente la situazione. 

I ricercatori hanno ottenuto le migliori prestazioni con uno schermo composto da due strati, uno esterno in alluminio spesso 12 millimetri ed uno interno spesso 4 mm in tantalio, molto più denso e pesante. Lo schermo riduce le radiazioni per un fattore di 2,5 e rappresenta anche un isolante termico. La squadra ha quindi sviluppato dei driver elettronici capaci di spegnere i rilevatori quando sono vulnerabili al rumore di fondo, una tecnica nota come after-pulsing resistance. 

L’efficacia dei nuovi dispositivi protetti è significativa. Laddove per i rivelatori non protetti la dark count rate prevista supera i 200 conteggi al secondo, nel caso del nuovo modello non supera i 0,54 conteggi al secondo. 

Nel 2016, Yang e colleghi hanno testato i loro dispositivi sul satellite cinese Micius, teatro, nel 2017, del primo caso teletrasporto di un singolo fotone dalla superficie terrestre all’orbita e della prima videochiamata quantistica intercontinentale crittografata. 

La Cina è chiaramente all’avanguardia nel campo delle comunicazioni quantistiche basate sullo spazio, pur con la collaborazione di ricercatori europei in settori chiave. L’Europa ha pronto un proprio progetto sulla tecnologia quantistica in orbita chiamato missione Security and Cryptographic (SAGA), elemento di un progetto più ampio volto a creare una rete di comunicazioni quantistiche in tutto il continente. I progetti statunitensi sono invece bloccati. Il programma Quiness lanciato dalla DARPA nel 2012 è rimasto senza finanziamenti.

Per approfondire: Spaceborne, Low-Noise, Single-Photon Detection For Satellite-Based Quantum Communications

(lo)

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