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Nicholas Negroponte lancia un progetto di informatizzazione a basso costo, L’OLPC.

di James Surowiecki

Nei decenni successivi alla Guerra Civile, le biblioteche scarseggiavano in gran parte degli Stati Uniti. Molte città non ne avevano affatto e le biblioteche che esistevano erano in genere piccole e private, gestite da associazioni o logge che avevano messo insieme collezioni di libri da prestare ai loro membri o, a volte, a esterni che pagavano una quota per usufruire del prestito. Quasi tutte le città non avevano strutture per ospitare le biblioteche; le collezioni di libri erano all’interno di modesti uffici o in spazi inutilizzati degli edifici pubblici. Anche nelle città più grandi era spesso un’impresa prendere dei libri in prestito. Fino alla fine del XIX secolo Pittsburgh, per esempio, aveva solo una biblioteca privata che faceva circolare i libri e aveva serie difficoltà a rimanere aperta. Poche persone, ammesso che ce ne fossero, prendevano seriamente l’idea di dotare ogni città di una biblioteca pubblica, in cui i cittadini avessero libero ed eguale accesso ai libri.

Andrew Carnegie modificò questa situazione. Carnegie era la personificazione del sogno americano; nato povero in Scozia, era emigrato negli Stati Uniti e fatto fortuna nell’industria dell’acciaio, diventando uno degli uomini più ricchi del paese e un potente uomo d’affari. Come Carnegie raccontava, quando era un ragazzo aveva dovuto lavorare invece di andare a scuola. Ma Colonel Anderson, un benestante locale, aveva creato una piccola biblioteca di 400 libri e, ogni sabato, Carnegie poteva leggerne e prenderne in prestito alcuni. L’esperienza, scrisse successivamente Carnegie, lo convinse che non esisteva metodo più produttivo per aiutare lo sviluppo dei ragazzi che la costruzione di biblioteche pubbliche. E così, a partire dagli anni 1880, cominciò a farlo in tutte le città del paese.

In senso stretto, Carnegie diede avvio alla sua campagna al di fuori degli Stati Uniti; la sua prima biblioteca, costruita nel 1881, fu nella sua città natia di Dunfermline, in Scozia. La prima biblioteca che costruì negli Stati Uniti, otto anni dopo, aprì a Braddock, in Pennsylvania, dove Carnegie Steel aveva uno dei suoi stabilimenti più grandi. L’anno successivo arrivò la Carnegie Free Library di Allegheny, in Pennsylvania. La biblioteca di Allegheny era importante perché fu la prima finanziata secondo il modello che Carnegie avrebbe seguito successivamente: invece di sostenere i costi iniziali e futuri della biblioteca, egli offrì alla città una generosa sovvenzione di partenza alle condizioni che le spese per il mantenimento venissero sostenute dal comune (in quella che sarà poi definita la “formula di Carnegie”, le città in genere garantiscono un bilancio annuale ” per il mantenimento, i libri nuovi eccetera ” nell’ordine del 10 per cento della donazione iniziale di Carnegie). Queste erano biblioteche realmente pubbliche, dipendenti non dalla generosità di una singola persona, ma dalla volontà della comunità di finanziare l’accesso alla conoscenza.

Non è sempre stato facile ispirare questo desiderio; in alcune città in principio era illegale utilizzare le entrate delle tasse per finanziare le biblioteche. Ma più città sottoscrivevano il patto di Carnegie, più diventava evidente che le biblioteche erano molto popolari una volta che si trovavano sul territorio; molte città, quindi, decisero di dotarsi a loro volta di biblioteche ad accesso libero. Al momento della sua morte nel 1919, circa 30 anni dopo l’apertura della biblioteca di Allegheny, Carnegie aveva donato 350 milioni di dollari del suo patrimonio; aveva speso più di 60 milioni di dollari per la creazione di oltre 2.800 biblioteche, di cui 2.000 negli Stati Uniti e quasi 700 in Inghilterra. Le sue donazioni avevano talmente rivoluzionato l’opinione pubblica che a metà del XX secolo era raro che una città americana avesse il coraggio di non avere una biblioteca pubblica.

Oggi, Carnegie è in genere menzionato come precursore di personaggi del calibro di Bill Gates e Warren Buffett, multimiliardari che hanno dedicato buona parte dei loro patrimoni alle opere filantropiche. Ma se si guarda al modo in cui Carnegie ha creato queste biblioteche ” seminando associazioni in tutto il paese e favorendo il coinvolgimento locale nella speranza di convincere le persone del valore dell’accesso libero alla conoscenza ” ciò che viene alla mente non è lo sforzo prodigioso di Gates per finanziare la battaglia contro le malattie infettive, ma un progetto chiamato OLPC (One Laptot per Child, Un portatile per ogni bambino) o, come è familiarmente conosciuto, il portatile da 100 dollari.

L’idea nasce dalla mente fertile e utopistica del guru della tecnologia Nicholas Negroponte, cofondatore e presidente emerito del Media Lab del MIT, imprenditore innovativo e autore nel 1995 di Essere digitali, il peana all’economia digitale. L’iniziativa, che meno di due anni fa Negroponte ha annunciato al World Economic Forum a Davos, in Svizzera, è semplice come il suo nome: fornire a tutti i bambini dei paesi in via di sviluppo un portatile personale. Se realizzeremo questo obiettivo, egli crede, potremo colmare quello che viene normalmente definito il digital divide. I portatili offrirebbero ai ragazzi, dovunque siano, la possibilità di beneficiare di Internet e di collaborare tra loro e apprendere uno dall’altro in forme nuove. OLPC, un’organizzazione senza scopo di lucro che Negroponte ha creato per portare avanti il progetto, si è assunta la responsabilità di progettare il computer e prendere contatti con un industriale estero per la produzione. Ma non sarà l’OLPC a comprare i computer. Questa fase, almeno per ora, prevede l’intervento dei governi, e Negroponte ha detto che i portatili da 100 dollari non andranno in produzione finchè non avrà la garanzia dai governi dell’acquisto di almeno 5 milioni di computer. Quale governo sarà mai felice di sborsare una cifra simile? Negroponte risponde alla domanda con la sua caratteristica franchezza. “Facciamo due conti: anche il paese più povero spende circa 200 dollari all’anno per ogni bambino. Noi abbiamo valutato che la proprietà e il funzionamento del portatile da 100 dollari con accesso illimitato a Internet costerà 30 dollari l’anno. Uno dei migliori investimenti che si possano fare. Non c’è discussione”.

Al di là del richiamo che esercita questa visione, il progetto di Negroponte ha suscitato consensi e attirato altrettante critiche. In parte ciò accade a causa di Negroponte stesso, che a volte eccede con il suo ottimismo. In ogni caso l’OLPC è diretto contemporaneamente al raggiungimento di due importanti obiettivi: abbassare i costi dei computer fino a renderli accessibili alle popolazioni più povere, vale a dire alla maggioranza della popolazione mondiale; definire un nuovo modello di filantropia, che si richiami comunque all’opera di Carnegie, mettendo insieme privati, associazioni senza scopo di lucro e governi per creare un progetto di vasta scala e alte finalità con un budget sorprendentemente limitato, anche secondo gli standard filantropici.

Naturalmente tutto ciò funzionerà se OLPC potrà mantenere le sue promesse, e il problema al momento è che non si può comprare nulla che si avvicini a un computer, meno che mai un portatile, a 100 dollari. OLPC deve progettare e produrre un tipo completamente nuovo di portatile, una macchina resistente, che funzioni anche in assenza di un rifornimento costante di energia, consenta un facile accesso in rete e il cui piccolo, ma leggibile schermo utilizzi una tecnologia a bassissimo costo. Non sorprende che i critici sollevino forti dubbi sulla realizzabilità di questa iniziativa. Tuttavia, lo scorso anno, Negroponte ha messo insieme una serie impressionante di collaboratori per la fornitura dei componenti del computer, tra cui AMD e Red Hat, mentre Quanta, l’azienda di Taiwan che produce circa un terzo dei portatili in tutto il mondo, si occuperà della produzione delle macchine.

I progettisti di OLPC ritengono di aver risolto i problemi più seri che si sono trovati di fronte. Quando il portatile non è collegato a una spina, può essere alimentato per mezzo di un pedale a piede (o tirando una corda, a seconda della decisione finale) che genererà 10 minuti di energia per ogni minuto di sforzo. I portatili saranno connessi tra di loro per formare una rete a maglie che trasformerà ogni computer in un nodo di trasmissione, consentendo alle macchine di parlare una con l’altra e di amplificare oltre misura la qualità di qualsiasi connessione a Internet. Lo schermo avrà sia una modalità ad alta risoluzione in bianco e nero, riflettiva, leggibile anche in piena luce, sia una modalità a colori, retroilluminata, a bassa risoluzione . Gli ideatori sostengono che lo schermo sarà leggibile quanto i display LCD oggi in uso, ma consumerà molta meno energia, e che verrà a costare circa 35 dollari, vale a dire un quarto del prezzo medio attuale di uno schermo. Sarà uno schermo molto piccolo per un portatile ” 7 pollici e mezzo (tra i 18 e i 19 cm) ” ma se funzionerà, rappresenterà un autentico balzo in avanti ingegneristico.

In ogni caso, il portatile da 100 dollari non è ancora una realtà (in effetti, lo stesso nome è improprio: da oltre un anno Negroponte sta continuando a ribadire un costo iniziale di circa 150 dollari, anche se prevede, come già succede con numerosi prodotti elettronici, che il prezzo del portatile diminuirà con il passare del tempo e con i maggiori volumi di produzione). OLPC deve ancora mostrare un prototipo funzionante del portatile; Negroponte sostiene che i primi modelli, le cosiddette macchine B, usciranno dalla catena di montaggio a brevissimo, per poi essere sottoposte a una severa serie di test in cinque paesi in via di sviluppo ” Brasile, Argentina, Libia, Tailandia e Nigeria ” per vedere il loro comportamento. Anche se andrà tutto per il verso giusto, rimane ancora in piedi il problema di convincere i governi a comprarle. Negroponte ha compiuto progressi reali su questo fronte. A ottobre, la Libia ha firmato un memorandum d’intesa che impegna il paese a comprare un milione di portatili, sempre che le macchine B superino i test, e le altre quattro nazioni sono vicine a firmarne di simili alle medesime condizioni. Ma cinque milioni di portatili, secondo gli standard decisi dall’OLPC, rappresentano solo l’inizio. Al di là di come andranno le cose nei prossimi mesi, Negroponte può quasi certamente dedicare molte energie a trattare con i ministeri governativi di tutto il mondo. In questo senso, oltre ad aspettare di vedere come funzioneranno i portatili di OLPC, siamo in attesa di verificare se avrà successo il modello “commerciale”. Se così non sarà, il progetto verrà ricordato come un’interessante nota a margine nella storia dei computer. Se invece sarà coronato dal successo, OLPC troverà un suo posto importante nella storia di un fenomeno di grande importanza del decennio passato: la rivoluzione della filantropia.

Filantropia imprenditoriale

Come indicano i nomi delle Fondazioni Carnegie, Ford e Rockefeller, la filantropia americana è sempre stata profondamente legata a uomini d’affari americani. Ma con qualche eccezione ” come le biblioteche Carnegie o l’Esercito della Salvezza, che Peter Drucker definì una volta “l’organizzazione più efficiente degli Stati Uniti” ” il fatto che le fondazioni sono state create per lo più da imprenditori non significa che si comportassero come tali nel loro approccio. Nell’ultimo decennio o giù di lì, tutto ciò è profondamente cambiato. A partire intorno a metà degli anni 1990, due tendenze hanno confluito per ridisegnare la filantropia negli Stati Uniti: l’inarrestabile boom dell’economia statunitense e dei mercati azionari, e un crescente desiderio da parte di uomini d’affari ricchi di applicare le loro tecniche per fare soldi ad altri comparti non strettamente commerciali. Il boom economico ha implicato una circolazione maggiore di denaro: alla fine degli anni 1990 le donazioni filantropiche negli Stati Uniti crescevano annualmente del 10 per cento. Ciò ha anche significato un discreto numero di nuovi ricchi, molti dei quali imprenditori, che erano interessati a capire come spendere quel denaro nel modo più intelligente possibile. Il risultato è stato un’esplosione di nuove forme di investimenti filantropici e una serie di tentativi di identificare l’equivalente filantropico delle opportunità aziendali: aree in cui né le aziende né i governi avevano ritenuto di intervenire. E anche se la crescita delle donazioni filantropiche è rallentata con il crollo del mercato azionario e la recessione, ha subito poi un nuovo picco, con un incremento delle donazioni del 23 per cento tra il 2001 e il 2005.

Alcune iniziative filantropiche si confrontano con immensi problemi di portata globali. La Fondazione Gates è diventata, abbastanza ovviamente, uno delle organizzazioni promotrici più importanti al mondo della ricerca su malaria, tubercolosi e AIDS, mentre Bill Clinton sta raccogliendo miliardi di dollari per migliorare la ricerca e le terapie su l’AIDS. Altre associazioni sono impegnate sul fronte di problemi locali, di minore impatto. Il Fondo Acumen, per esempio, opera come un fondo filantropico di capitale di rischio, collaborando con aziende del mondo in via di sviluppo alla definizione di prodotti e servizi destinati specificamente ai 4 miliardi di abitanti che vivono con meno di 4 dollari al giorno; i suoi progetti includono impianti di irrigazione a gocce in India e zanzariere antimalaria in Africa. La rete Omidyar finanzia imprese alla ricerca di profitto e aziende senza scopo di lucro, mentre le varie associazioni filantropiche di Google investono in tutto, dal settore nonprofit tradizionale a progetti come OLPC ad aziende alla ricerca di profitto.

Ciò che hanno in comune tutte queste organizzazioni è la grande attenzione al “ritorno”, inteso più in termini di valore sociale che finanziario, che hanno dai loro investimenti in opere di beneficenza. Spesso, esse chiedono esplicitamente che i destinatari dei finanziamenti raggiungano determinati obiettivi come accade normalmente per qualsiasi reparto aziendale. Il punto di partenza è che è possibile portare maggiore razionalità non solo al processo di assegnazione dei finanziamenti, ma alle azioni concrete delle organizzazioni filantropiche. Questo nuovo modello è talvolta chiamato “filantropia ad alto coinvolgimento”: come un capitalista di rischio esercita spesso un ruolo importante nel definire le strategie delle aziende che finanzia, queste nuove fondazioni vogliono essere coinvolte molto più direttamente nelle decisioni operative dei destinatari delle loro donazioni.

OLPC è parte di questo ampio movimento: sebbene riceva finanziamenti più che darne ” Google e News Corp. sono tra i suoi finanziatori ” appare come un eccellente esempio dell’applicazione della logica aziendale ai problemi sociali. Da un certo punto di vista, in effetti, OLPC sembra più un’azienda che un tradizionale istituto di beneficenza, nel senso che progetta e commercializza un prodotto e appalta la sua produzione a ditte che vogliono trarne un profitto. Invece di eludere il mercato, OLPC vi lavora all’interno, e Negroponte si affida alle efficienze generate dai processi di mercato per far scendere progressivamente i prezzi dei portatili. Allo stesso tempo, poiché OLPC punta all’acquisto dei suoi prodotti da parte dei governi, deve investire una gran parte di tempo a tenere i contatti e fare pressioni sui funzionari governativi, un compito assai familiare agli attivisti delle organizzazioni.

OLPC si muove in modo inusuale, affidandosi a tre diversi tipi di imprese ” private, senza scopo di lucro e governative ” per portare a termine i suoi programmi. Da una parte questa struttura rende probabilmente il progetto più robusto, in quanto OLPC può attingere ai diversi punti di forza di ognuno. Dall’altra, ogni cosa diventa più complessa. Negroponte, per esempio, dice che tutti i suoi consulenti credevano che OLPC dovesse diventare un’azienda in cerca di profitti per attirare i talenti necessari (“Sbagliavano”, egli chiarisce). Ancora più importante, dato che OLPC non è una semplice associazione filantropica, ha più difficoltà a ottenere dei risultati di quante ne avrebbe distribuendo soldi. Fare accordi con i governi non è facile, in particolare perché OLPC ha scelto fin dall’inizio di provare a collaborare con i governi di grandi stati: Argentina, Brasile, Nigeria, Tailandia e Cina (forse non è stata una coincidenza che sia stato un piccolo paese, la Libia, il primo a sottoscrivere un impegno per il progetto). “I governi sono ostici; i governi dei paesi più grandi sono più ostici; i ministri della pubblica istruzione sono ancora più ostici”, afferma Negroponte. “Noi abbiamo affrontato i più ostici degli ostici tra gli ostici”. Non tutto è andato liscio a OLPC nel corso dei contatti con i governi. A giugno, Sudeep Banerjee, il Ministro della pubblica istruzione indiano, ha scritto una lettera agli altri membri del suo governo per dire che il paese non era interessato a comprare portatili per i suoi studenti e che “non possiamo prefigurare la situazione dei prossimi decenni” per giustificare il programma. La Cina, invece, rimane ancora una strada aperta. Negroponte si è incontrato due volte con il ministro cinese della pubblica istruzione.

Con tutte le particolarità che presenta la struttura di OLPC, a metà strada tra associazione filantropica e azienda in cerca di profitti, è difficile capire come possa avere successo un simile progetto, almeno nelle dimensioni volute da Negroponte. “Il primo anno vorremmo far circolare da 5 a 7 milioni di computer”, spiega Ethan Beard, un impiegato di Google che fa parte del comitato direttivo di OLPC. “Si tratta già di una quantità di denaro di tutto rispetto. Ma in futuro vorremmo salire a 20 milioni di computer l’anno, il che vuol dire 2 miliardi di dollari o più, e ci sono molte poche organizzazione nonprofit, sempre che ve ne siano, in grado di gestire un progetto di queste dimensioni”. Se OLPC fosse stata un’azienda a scopo di profitto, persuadere i governi a comprare i portatili da 100 dollari sarebbe stato ancora più difficile. “Quando si va a parlare di educazione con un ministro e si presenta un progetto nuovo e ambizioso, come questo”, dice Beard, “è necessario chiarire: Non lo stiamo facendo per soldi, perché altrimenti verranno messe in discussione le motivazioni adottate per sostenerlo”. In realtà, esiste almeno un’importante eccezione a questa regola. “La Cina non capisce cosa siano le strutture senza scopo di lucro”, afferma Negroponte, “e molte persone non riescono a credere che stiamo facendo tutto ciò per filantropia”.

I critici

Fin dall’inizio sono state sollevate obiezioni al portatile da 100 dollari. Molti si limitavano a sostenere semplicemente che il progetto era senza speranze, che non esisteva alcun modo di produrre un portatile funzionante a quel prezzo e nessuna possibilità di avere collaboratori con risorse adeguate. “Vediamo un po’, costruire Xbox 3 per Microsoft o PC a scopo di beneficenza. Hmm, una scelta veramente difficile”, ha scritto Doug Mohney, sul sito web tecnologico Inquirer; Tony Roberts, amministratore delegato dell’associazione filantropica inglese Computer Aid International, ha detto che l’intero progetto era basato su una “scarsa comprensione della storia della tecnologia”. Altri insistevano, e continuano a insistere, che qualsiasi macchina verrà prodotta alla fine di questa storia, sarà poco più di un giocattolo. A dicembre del 2005, Craig Barrett, ex amministratore delegato di Intel, ha liquidato il prodotto come un “aggeggio da 100 dollari”.

In modo più argomentato, e solo più di recente, i critici hanno sostenuto che come strumento per colmare le distanze della divisione digitale, il portatile da 100 dollari è la tecnologia sbagliata. Il successo del portatile, spiegano i critici, è strettamente legato alla costruzione di nuove infrastrutture nel mondo in via di sviluppo, invece di affidarsi a quelle che già esistono in questi paesi. Nelle prime fasi di OLPC, sembrava ci fossero buone probabilità che Microsoft fornisse il sistema operativo del portatile. Ma mentre l’accordo falliva ” Negroponte ha optato per il software a sorgente aperto ” Bill Gates e Craig Mundie, responsabile della ricerca e delle strategie di Microsoft, hanno presentato un’alternativa al piano di Negroponte, sotto forma di un telefono cellulare potenziato per il mondo in via di sviluppo. I telefoni cellulari ” e le torri per cellulari ” si trovano dovunque nel Terzo Mondo e sono in buona parte disponibili, mentre la connettività Internet è al di là da venire. Molto di ciò che si può fare su un portatile connesso a Internet, può anche essere fatto su un cellulare, sebbene più lentamente e meno comodamente. Gates e Mundie sostengono, essenzialmente, che sarebbe più semplice usare questa infrastruttura già esistente per consegnare direttamente a genitori e figli telefoni cellulari abilitati alla rete che partire da zero. A luglio 2006, Mundie ha presentato un rudimentale prototipo di un telefono Microsoft, chiamato FonePlus, e ha mostrato che il modello permette la lettura di e-mail, la gestione di applicazioni come PocketOffice e la navigazione in Web. É anche possibile collegare il cellulare a una TV e a una tastiera.

Al di là di tutto ciò, l’argomento più semplice e più serio contro il portatile da 100 dollari è che, ammesso che venga prodotto e che funzioni più o meno come ha promesso Negroponte, rimane comunque una inutile perdita di soldi. In un mondo ideale con bilanci governativi illimitati, argomentano i critici, mettere a disposizione di ogni bambino un portatile sarebbe un atto di grande valore e giustizia. Ma nel mondo reale dei paesi in via di sviluppo, che generalmente dispongono di bilanci esigui e sono alle prese con gravi problemi sociali, computer del valore di milioni o miliardi di dollari sono un lusso che i governi non possono permettersi. Il Brasile, per esempio, che probabilmente comprerà un milione di portatili da OLPC appena saranno pronti, ha circa 45 milioni di bambini in età scolare: dotarli tutti di computer dovrebbe costare qualcosa come 6 miliardi e 300 milioni di dollari. Considerando l’assoluto livello di povertà di molti brasiliani, è il caso di spendere simili cifre per i portatili?

Il sito tecnologico inglese ZDNet si esprime in questi termini: �Se Bill Gates e Nick Negroponte visitassero questi luoghi senza luce e ascoltassero chi non ha mai avuto voce in capitolo, un portatile per ragazzo non sarebbe in cima alla lista”. In altre parole, le iniziative dei filantropi dovrebbe venire incontro con più attenzione ai bisogno reali delle persone. La verità è che in molti paesi, le città non hanno neanche le biblioteche. Siamo sicuri che la strada giusta sia investire tutto questo denaro in computer? Quando il ministro della pubblica istruzione indiano ha scritto la sua lettera a giugno dichiarando che l’India non avrebbe partecipato al programma, ha sostenuto esattamente questa posizione, affermando che esistono modi molto più efficaci dal punto di vista dei costi per migliorare le prestazioni degli studenti che comprare portatili da OLPC. L’obiezione assume un peso ancora maggiore proprio a causa della inusuale struttura di OLPC. Se l’organizzazione fosse esclusivamente filantropica, producendo e pagando i computer con i suoi soldi, potremmo contestarne le priorità, anche se non è una novità che le associazioni filantropiche spendano miliardi di dollari ogni anno per progetti non di grande urgenza per i quali i loro donatori ricevono continue pressioni. Ma questo stato di cose viene normalmente accettato, perché si parte dal presupposto che è meglio spendere soldi in qualche discutibile opera filantropica che non spenderne affatto. Nel caso di OPLC, invece, sono in discussione i soldi dei contribuenti.

In definitiva, le critiche a OLPC possono essere raggruppate in due grandi filoni: quelle che hanno a che fare con la tecnologia e quelle che hanno a che fare con questioni di ordine etico. Alcune delle obiezioni a sfondo tecnologico possono apparire futili: una macchina con uno schermo leggibile di circa 18-19 cm, 3 porte USB 2.0, caratteristiche di risparmio energetico, 512 megabyte di memoria di tipo flash e un sistema operativo funzionante non sembra un “aggeggio�. Alcune questioni avranno una risposta solo tra qualche mese, quando si saprà se il portatile avrà superato i test sul campo. Inoltre, se è vero che nel futuro immediato i telefoni cellulari offrono un più semplice accesso a Internet in gran parte dei paesi in via di sviluppo, i loro vantaggi devono essere bilanciati con gli svantaggi: uno schermo minuscolo e la mancanza di una tastiera. “Avanzare l’ipotesi che i cellulari siano un’alternativa valida è come dire che si possono usare i francobolli per leggere testi”, afferma Negroponte. “I libri hanno dimensioni accuratamente studiate, basate su come l’occhio lavora e sulla capacità di impegnare contemporaneamente la visione foveale e periferica per scorrere il testo. Non è un caso che gli atlanti siano più grandi delle tabelle orarie”. É vero che la connessione tra cellulare, tastiera e televisione dovrebbe garantire le stesse prestazioni di un computer. Ma in questo modo si andrebbero a erodere i vantaggi di costo dei cellulari e, ancora peggio, si vincolerebbero gli studenti a luoghi particolari (dando per scontato, inoltre, che abbiano la televisione).

Anche se nel progetto OPLC la connessione dei portatili a Internet è senza alcun dubbio fondamentale per cambiare la vita dei ragazzi, rimane vero che la tecnologia della rete a maglie inclusa nei portatili sarà preziosa soprattutto quando non saranno disponibili le connessioni a Internet. “Per me, al momento, un computer che non è connesso alla rete è inutile”, dice Beard. “Ma mettere in rete tutti i computer della scuola, anche senza collegamento a Internet, è realmente importante dal punto di vista educativo, perché consente ai bambini di collaborare tra loro e di apprendere uno dall’altro in modi completamente nuovi rispetto a quelli attuali”. In ogni caso, il successo di OLPC non significa la sconfitta dei telefoni cellulari, e viceversa: al contrario, è molto meglio per il mondo in via di sviluppo se decine di aziende e organizzazioni senza scopo di lucro si mettono in concorrenza per fornire loro nuove tecnologie.

Potrebbe essere difficile per i governi dei paesi più poveri giustificare la spesa di una buona parte dei loro bilanci nel campo dell’educazione per l’acquisto di computer. Ma la realtà degli investimenti filantropici e governativi è che il denaro va spesso a progetti che non aiutano così tante persone, o chi ne ha effettivamente bisogno. Questi progetti possono anche non essere perfetti, ma sono in grado egualmente di avere un’influenza positiva. Negli Stati Uniti del periodo successivo alla Ricostruzione c’erano numerose iniziative meritevoli che Carnegie avrebbe potuto intraprendere con il suo denaro; in effetti, in molte delle città dove costruì biblioteche, i cittadini si lamentavano che i soldi delle loro tasse dovevano essere spesi per qualcosa di realmente importante. Tuttavia, nel lungo periodo, sarebbe arduo sostenere che Carnegie o quei cittadini abbiano buttato via quel denaro, perché i benefici sociali della diffusione della conoscenza sono immensi.

Allo stesso modo, sarebbe un errore ritenere che la tecnologia sia qualcosa che solo le nazioni ricche possono sviluppare e che i paesi più poveri devono solo concentrarsi sui beni di base, come la salute e l’acqua. Al contrario, un paese può, come ha detto di recente il Primo ministro etiopico, essere “troppo povero per non aver investito in tecnologie delle comunicazioni e dell’informazione”. La tecnologia dell’informazione è spesso un sistema efficace per migliorare i collegamenti con il mondo esterno e creare di conseguenza maggiori possibilità di scambio. E per i bambini, l’accesso alle nuove tecnologie promette di accelerare drasticamente l’apprendimento. “Non ho mai incontrato qualcuno che dice di essere troppo povero per investire in educazione, né qualcuno che ritenga questo investimento una perdita di denaro”, afferma Negroponte. “Se qualcuno muore di fame, la priorità è il cibo. Se qualcuno muore per la guerra, la priorità è la pace. Ma se il mondo deve diventare un posto migliore, lo strumento principale è l’educazione”.

Può sembrare strano comprare portatili dove non ci sono biblioteche, ma la promessa è che i computer porteranno il patrimonio dei libri nelle case degli studenti. Al di là della realizzabilità di questa visione, l’idea che la rete permetta ai paesi di saltare i tradizionali stadi di sviluppo è quasi certamente corretta. C. K. Prahalad, il professore dell’Università del Michigan, il cui libro The Fortune at the Bottom of the Pyramid analizza le considerevoli opportunità di mercato nei paesi in via di sviluppo, argomentando in modo convincente che queste nazioni sono un terreno sorprendentemente fertile per le nuove tecnologie. “Si presume che i poveri non accoglieranno le tecnologie”, egli dice. “La verità è che le accetteranno per certi aspetti anche più facilmente di noi, perché il loro processo di socializzazione è pressoché nullo. Essi accolgono rapidamente la tecnologia, almeno fino a che si dimostra utile. Noi abbiamo una curva dell’oblio molto lunga. Loro no, hanno solo una curva dell’apprendimento”.

Comunque, è importante ricordare che il portatile da 100 dollari non è destinato a paesi veramente poveri, anche se ovviamente Negroponte li tiene in considerazione come eventuali clienti. Al contrario, le cinque nazioni al momento coinvolte nell’iniziativa ” Libia, Brasile, Argentina, Nigeria e (anche dopo il colpo di stato che ha rimosso il Primo ministro Thaksin) Tailandia ” hanno economie relativamente sane e bilanci statali più che soddisfacenti. Ciò rende considerevolmente facile per loro giustificare investimenti in una nuova tecnologia, soprattutto una mirata a mitigare uno dei problemi più seri che questi paesi fronteggiano: la profonda divisione tra ricchi e poveri. In questo senso il portatile da 100 dollari potrebbe avere un impatto più immediato rispetto ad altre aree, poiché gli studenti che probabilmente lo riceveranno per primi lo utilizzeranno per espandere capacità che già possiedono; gli studenti dei paesi molto poveri, invece, hanno molte più possibilità di rimanere analfabeti ed estranei a metodi e procedure matematiche.

Mentre coloro che sono coinvolti con OLPC sembrano sicuri che il progetto andrà in porto, rimangono ancora numerosi ostacoli sul suo cammino. I portatili potrebbero essere rubati ai bambini e poi rivenduti, o la distribuzione di computer potrebbe creare una nuova divisione digitale (in Brasile, per esempio, 1 milioni di ragazzi entrerà in possesso di un portatile e gli altri 44 milioni non lo avranno). Inoltre, affidarsi ai governi per l’acquisto di un prodotto espone l’intero processo a rischi di instabilità (specialmente nel caso di regimi non democratici) e indubbiamente la mancata adesione al progetto dell’India è stato un brutto colpo almeno nel breve periodo. Ma, se riuscirà a raggiungere i suoi obiettivi, il progetto OLPC rappresenterà un decisivo passo in avanti per l’informatica e la filantropia.

OLPC avrà delineato la strada per dotare milioni di persone di un potente strumento informatico, per avvicinarle alle nuove tecnologie. Allo stesso tempo, sempre nel caso di buon esito, servirà come modello per una collaborazione efficiente e produttiva tra settori pubblici, privati e nonprofit. In parte a causa del senso di frustrazione per la corruzione e le pastoie burocratiche dei governi, e in parte per la preferenza degli Americani per le soluzioni private più che pubbliche dei problemi sociali, l’idea di collaborare con i governi per aiutare i paesi in via di sviluppo è sempre stata poco attraente per i filantropi. Ma esistono problemi troppo grandi per essere risolti dalle ONG o dalle aziende (o anche dai governi), problemi che richiedono nuovi tipi di alleanze. OLPC non rappresenta, in questo senso, solo il tentativo di costruire un nuovo computer, ma anche un originale progetto filantropico. La questione che rimane aperta è vedere se entrambi i progetti andranno in porto.